| Mi ritrovo in mezzo a una strada. È anonima e vuota.
Avverto un peso sul petto del quale non mi spiego la ragione. Mi sento divisa in due, il mio corpo si muove lentamente, la mia anima lo precede, accelera, guarda in avanti.
Alzo gli occhi: nel cielo, vari colori combattono per il predominio e finiscono con il collidere per poi fondersi in un orizzonte perlaceo, dai riflessi rosati e i contorni d’oro. Posso sentire un sorriso sulle mie labbra.
La lingua grigia della strada si srotola monotona davanti a me. Non potrebbe essere più lontana da quel cielo. Continuo a camminare, stranita. Questo luogo mi è familiare ed estraneo insieme; guardo le abitazioni e le auto addormentate ai bordi del marciapiede. Sono a casa e sono anche da un’altra parte.
Il sole nascente esplode in una pioggia di raggi bianchi che mi fa stringere gli occhi. Quando torno a vedere, il cielo è azzurro e c’è gente per la strada. Qualcuno mi tira per la manica della giacca; una giacca che non indosso da almeno dieci anni. È un’amica d’infanzia con cui non parlo da altrettanto tempo. Mi sorride, inconsapevole.
Mi allontano in fretta.
Mentre cammino, mi rendo conto che la strada su cui mi trovo va avanti all’infinito, sempre uguale. Non una curva, non una traversa laterale. Mi sembra di camminare da ore, ma sono sempre ferma nello stesso punto.
Il cielo ora è una distesa tersa d’indaco intenso, solcato da candide nuvole sfilacciate; il sole è scomparso.
Davanti a me, le solite case e le solite auto. Mi concentro sui dettagli: sento un vociare indistinto di bambini e osservo donne che si attardano davanti alle porte- le braccia cariche di buste della spesa- mentre si scambiano sorrisi tirati e ovvietà incolori.
All’improvviso qualcosa cambia, un suono sovrasta la sonnolenta routine di rumori che mi circonda. Corro verso quel suono. Lo riconosco senza fatica: è un vagito.
Passo davanti a una piccola folla, registro distrattamente volti variabilmente noti. Sono persone del mio passato e del mio presente, gente che conosco o conoscevo bene e gente con la quale non ho mai scambiato più di due parole in tutta la mia vita. Sembrano felici, parlano fitto fitto del tempo, delle bollette e di altre banalità, con fare complice e aria solenne.
Sono tutti rivolti verso la fonte di quel pianto acuto, ma sorridono.
Sgrano gli occhi.
Perché sorridono?
Non vedono quello che vedo io?
Mi avvicino titubante e supero il capannello di teste che annuiscono e mani che gesticolano con leggiadria.
Non posso credere a quello che vedo. Il cuore mi batte dolorosamente nel petto.
In mezzo alla strada, a pochi passi da me e dalla gente alle mie spalle, c’è una giovane donna che non conosco, i suoi occhi mi scrutano da dietro una cortina nera di lunghi capelli unti; una luce folle danza sulle sue iridi cupe.
C’è sangue sul suo viso smunto e lacrime scure le scavano le guancie pallide. Le sue labbra, screpolate e ceree, sono contorte in un sorriso isterico. Indossa una camicia da notte di seta, vecchio stile, di un bianco abbacinante, reso ancora più scintillante dalle grandi macchie scarlatte che lo costellano. C’è sangue anche sulle sue gambe e sui suoi piedi nudi e sporchi. Stringe qualcosa al petto, come per proteggerlo.
È quel qualcosa che sta emettendo il vagito.
Scuoto il capo, incredula e spaventata. Indietreggio. Il mio corpo, scosso da violenti tremiti, si muove in modi che non posso controllare. «Non lo vedete?», sussurro alla gente che ora mi si è fatta intorno. Mi restituiscono sorrisi sereni in risposta. «Non lo vedete!», ora sto gridando.
La mia voce sbatte contro l’asfalto e le pareti delle case in un’eco oltraggiata e sconvolta.
La donna continua a sorridere pazzamente, mentre mostra il fagottino ai presenti.
«Non è un amore?», chiede retorica la mia vicina di casa. «Assolutamente», risponde il postino, annuendo con energia. «Che c’è? Che ti prende?», mi chiede l’ombra della mia amica perduta, sorridendo anche lei.
Solo sorrisi morti e occhi ciechi intorno a me.
Non vedono! Non vedono!
La mia mente continua a urlare, mentre cerco di distogliere lo sguardo.
Sto sognando. Forse sto sognando!
Voglio illudermi almeno di questo, perché quello che vedo, quello che nessun altro sembra vedere, non può essere reale.
I miei occhi sono incollati alla terrificante scena di Natività.
La donna muove qualche passo verso di me. «Non è bellissima?», chiede, sorridendo e piangendo contemporaneamente.
La piccola muove la manina per catturare una delle luride ciocche corvine della madre. A giudicare dalle dimensioni, non può avere più di cinque mesi.
Il suo corpicino è paffutello come quello di un angelo di Botticelli e gonfio e putrido come quello di un cadavere. La pelle livida e lucida, brilla di agghiaccianti sfumature bluastre, le piccole mani viola schiaffeggiano giocosamente l’aria. I piedini nerastri scalciano verso di me. Sul suo piccolo addome posso vedere i filamenti color ruggine degli inserti muscolari, laddove la pelle è divelta, stracciata, come un vecchio lenzuolo rosa, macchiato di polvere grigia.
Se chiudo gli occhi, sento i gridolini gioiosi di una neonata normale, sana, felice. Ma quando li riapro quello che vedo mi lascia impietrita e mi conduce alle soglie della follia. Se avesse occhi, starebbe guardando proprio me, ma nel suo teschio nudo e candido ci sono solo vuote cavità nere più della notte. Apre e chiude la piccola mascella, emettendo trilli e facendo bollicine, ma anche la sua bocca non è che un piccolo cerchio di buio.
La gente continua a sorridere mentre parla del tempo: la bimba né viva, né morta, ormai dimenticata in favore delle faccende di tutti i giorni. Qualcuno rivolge ancora qualche sguardo alla madre, con gli occhi pieni di tenerezza.
«Morta…», farfuglio, mentre copiose lacrime mi scendono giù per il viso. «È morta! Non vedete?» Molti sembrano accorgersi di me solo ora, si girano lentamente a guardarmi. «Ma che cosa dici?» … «Tutto a posto, cara? Hai un aspetto terribile…» … «Perché piangi?» … Alzo le braccia al cielo, ora nero come le orbite che mi fissano dal piccolo teschio, «Non vedete? Non vedete! È morta. MORTA!»
La madre culla più forte la sua piccola, come per proteggerla dalle mie grida. Gocce di sangue cadono dal suo corpo e da quello della neonata, disegnando sorrisi macabri sull’asfalto tetro.
«Non vedete che hanno bisogno di aiuto? Non vedete!», urlo, girando su me stessa in cerca di occhi spaventati come i miei, ma vedo solo sorrisi e sento solo frasi di circostanza. La gente smette di curarsi di me e torna ancora una volta a complimentarsi per la piccola meraviglia.
La madre si accascia per terra, continuando a cullarla, sotto di lei, un lago di sangue, sulle sue labbra lo stesso sorriso raggiante di prima.
Cado al suolo anche io: «Non vedete… non vedete…», sto boccheggiando.
Fra le spire della mia vista annebbiata vedo ancora soltanto nivei sorrisi.
Rivolgo gli occhi verso il cielo torbido: nuvole nere, disfatte, deformi mi scrutano dall’alto, impietosite.
«Non volete vedere…», mormoro.
Piove.
Edited by slayercetty - 19/3/2013, 09:44
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