Si svegliò di soprassalto.
Non era possibile che fosse successo ancora una volta. Era giunto il momento che i rappresentanti della città lo stessero ad ascoltare e valutassero attentamente le prove in suo possesso.
Attese che l’ansia e lo spavento passassero, stemperò la rabbia con un buon sorso di vino dell’ultima vendemmia, si vestì in modo che riteneva elegante e affrontò il torrido caldo di quella giornata così poco autunnale recandosi dal principale esponente della politica locale, per altro suo amico.
Venne subito fatto accomodare da una grassa matrona, e il padrone di casa non tardò a raggiungerlo.
“Buongiorno maestro! – lo salutò quest’ultimo – a cosa devo una sua tanto inattesa quanto gradita visita?”
“Poche storie, Claudio – incalzò l’insegnante – tu sai benissimo perché sono qui.”
Claudio cambiò di colpo espressione del viso, indubbiamente a causa del contestuale mutamento d’umore, e sbraitò: “Eh no Giulio, non puoi ricominciare con questa storia! Ma perché ti ostini a venire da me? Cosa pretendi che faccia?”
Giulio lo guardò con palese disprezzo e rispose: “Tu sei la persona che prende le decisioni, qui. Non serve coinvolgere il Senato, ma se mi costringi sono disposto ad andare a Roma anche a piedi affinché qualcuno mi stia ad ascoltare! Sempre ammesso che poi non sia troppo tardi…”
“Ma troppo tardi per cosa? – s’infuriò Claudio – Tu vuoi che io spaventi migliaia di abitanti per i tuoi sogni notturni. Non ci sono basi per quello che dici!”
“Eh no, caro il mio oratore – lo interruppe – non ti permetto di asserire questo, perché sono in possesso di tutte le competenze scientifiche e culturali per affermare la mia tesi. Sta succedendo qualcosa di identico a dodici anni fa. È inutile che tu e i tuoi fautori facciate finta di niente, abbiamo visto cosa è in grado di fare Lei quando non ne può più. Dobbiamo prendere precauzioni!”
“Macché precauzioni. Qui l’unica cosa importante è mantenere la calma e riuscire a infondere fiducia nelle persone. Se io andassi a esprimere in riunione i tuoi dubbi e i tuoi nefasti presagi, ti rendi conto di cosa scatenerei? Otterremmo più danno che bene dal diffondere simili avvertimenti.”
“Non credo alle mie orecchie. Tu ritieni sarebbe più dannoso causare un po’ di giustificato timore nelle persone, visto quanto stiamo rischiando tutti, che starsene qui con le mani in mano ad aspettare che Lei faccia il bello e il cattivo tempo?”
“Mi dispiace, Giulio. La nostra conversazione finisce qui. E se hai intenzione di tornarmi a trovare per discutere ancora di simili idiozie, sei pregato di ricordarti che la tua presenza non mi è gradita.”
Frattanto si ripresentò la matrona con un vassoio di frutta secca in mano, annunciando: “Ho portato qualcosa che il signor Giulio gradisce” ed elargendo un cordiale sorriso.
“Il signor Giulio non gradisce niente da voi” rispose questi senza cordialità alcuna; prese qualche noce e un fico e uscì, sbattendo forte la porta di legno massiccio dietro di sé.
Mentre camminava per le strade della sua città si sentiva inutile e sconfitto. Aveva passato la vita a studiare, ora insegnava matematica da anni, e davanti alle sue forti basi scientifiche e prove inconfutabili, l’uomo più ascoltato della città si rifiutava di concedergli anche solo cinque minuti per parlare ai concittadini. Lui, sbeffeggiato da gente ignorante che aveva avuto come unico merito nella vita quello di essere nato da ricchi patrizi e finire in politica. Lui, che a Claudio aveva fatto da precettore, e ora questi pretendeva d’insegnargli il valore scientifico delle prove. Doveva fare qualcosa.
La situazione era grave e il tempo rimanente non era quantificabile: forse si trattava realmente di qualche giorno o addirittura di poche ore. Lo sentiva: la catastrofe era imminente.
Il sole era tramontato. Si recò fuori per le strade, dove la gente lo salutava con rispetto. Radunò una piccola folla e chiese se volevano chiacchierare un po’ con lui, assicurando che il discorso non sarebbe stato ricondotto alla matematica. Molti furono incuriositi da questa riunione serale del maestro e si accomodarono a sentirlo.
“Cari amici – esordì – ho bisogno che mi stiate ad ascoltare con attenzione. Sono molto preoccupato per quanto sta succedendo in questi ultimi giorni nella nostra splendida città.”
Qualcuno cominciava già ad annuire: ottimo segno, poiché evidentemente non era il solo ad avvertire che qualcosa di spiacevole incombesse nell’aria.
“Ho provato più volte a parlare coi rappresentanti politici, ma non vogliono starmi a sentire. Voi, amici contadini, avete notato qualcosa di strano ultimamente?”
“Sì – rispose qualcuno – i rivi stanno prosciugandosi tutti: non c’è quasi più acqua in determinate zone, e non è che questo possa essere attribuito al caldo. Anzi, sono anche iniziate le prime piogge della stagione, quindi ciò è molto strano…”
“Punto primo. E non avete notato diverse crepe nei vostri terreni, degli improvvisi rigonfiamenti di terra nei vostri orti?”
“Sì, è vero – gridarono in molti – ma chi può compiere scherzi così dannosi e privi di divertimento?”
“È Lei, signori” disse, e ristette.
Un forte mormorio si levò tra gli astanti. Alcuni se ne andarono, altri si avvicinarono di più al maestro, che riprese: “Avete notato quante volte la terra sta muovendosi, ultimamente? Vi è un sisma a ogni cambio di luna, e la cosa dovrebbe farvi iniziare a riflettere. Stiamo andando incontro a un’altra tragedia, come dodici anni fa.”
Si sentirono urla. Molta gente cominciò a piangere, alcuni si domandavano se ciò fosse possibile. Ma poi la stanchezza prese il sopravvento e tutti tornarono alle proprie case, compreso il professore.
Quella notte non riuscì a chiudere occhio.
Appena il sole fu alto in cielo, due uomini si presentarono per condurlo dal magistrato.
“Non ho fatto niente di male – protestò il matematico – ho espresso i miei dubbi su questi continui terremoti con alcuni amici, di cosa sono accusato?”
Era accusato di sovversione all’ordine pubblico. Fu condotto nelle prigioni e lì rimase alcuni giorni, finché il noto Claudio non ricevette una delegazione di cittadini che richiedevano un pubblico incontro con le autorità locali e il maestro, affinché potesse esporre le proprie convinzioni in luogo idoneo e alla presenza dell’intera comunità.
C’erano almeno un centinaio di persone che urlavano: “Non ha senso ricostruire le nostre case se presto devono essere nuovamente distrutte dalla furia della montagna!” e altre frasi commemorative dei morti che si erano contati nel triste avvenimento rievocato.
Il rappresentante delle istituzioni pubbliche non poté far altro che indire l’acclamato confronto, e Giulio venne rilasciato. La riunione fu fissata per quello stesso pomeriggio, per non perdere ulteriore tempo.
Si presentarono tutti, o quasi tutti, gli uomini della città. Il problema era serio e le perplessità sollevate dal maestro Giulio erano fondate e bisognava correre ai ripari. La memoria dell’ultima tragedia era ancora fresca, la gente troppo spaventata per far finta di niente, e gli avvertimenti della montagna troppo precisi.
Giulio il maestro non perse tempo a esporre tutte le perplessità che lo avevano condotto al sillogismo per cui, se dodici anni prima vi erano stati i medesimi avvertimenti e poi il terremoto aveva distrutto la quasi totalità dell’urbe, allora c’era da aspettarsi che gli stessi segnali conducessero al medesimo disastro. Presentò un disegno che dimostrava come un movimento sismico della montagna potesse portare alla distruzione non solo della città ma anche di quelle limitrofe, per cui auspicò un incontro con le delegazioni di tutte le popolazioni confinanti per evacuare la zona e trovare riparo altrove.
Non accennò per nulla ai suoi sogni premonitori: meglio evitare il rischio di passare per visionario.
Tra disegni che nessuno capiva, calcoli che nessuno sapeva riferire, e prove concrete all’evidenza di tutti, molti decisero di partire. Una volta ascoltati i ragionamenti dell’illustre scienziato, lasciarono le proprie case e si recarono chi a Napoli, chi a Nola, chi a Salerno. Fu così che Pompei rimase una città fantasma.
L’abbandono di Pompei fece scalpore nelle città vicine; i politici di Stabia ed Ercolano invitarono il matematico a parlare ai cittadini, e una volta esposte le sue motivazioni molti decisero di prendere esempio dai Pompeiani e spostarsi per qualche tempo da amici o conoscenti nelle zone limitrofe.
Intanto i sogni notturni non lasciavano in pace il professore, e lui non sapeva se raccontarli o no: nessuno immaginava infatti che la furia della montagna potesse non limitarsi al movimento sismico, che già di per sé impauriva non poco gli abitanti delle zone, i quali forse sarebbero partiti con l’idea di mai più far ritorno alle proprie case.
Quando anche l’ultimo edificio rimase privo di persone all’interno, il Vesuvio, come avesse aspettato solo che i suoi abitanti trovassero sistemazione altrove, cominciò a ricoprire di cenere le città di Pompei, Ercolano e Stabia. I verdi campi divennero aridi, le ricche abitazioni sommerse, una nube di fumo protrasse la notte per venticinque lunghissime ore.
La gente apprendeva le notizie da chi tornava in città da quelle zone, e raccontava dell’impossibilità di respirare anche a parecchia distanza dal vulcano, della mancanza di visibilità, dei danni enormi che tutto ciò stava causando all’agricoltura. Nessuno osava immaginare che cosa sarebbe potuto accadere se non vi fosse stato un umile insegnante a far abbandonare le case: ovunque non si parlava che del sismologo Giulio, che con i suoi studi aveva salvato la vita a migliaia di persone. Quando il finimondo fu cessato, cominciarono i sopralluoghi nelle zone colpite dal cataclisma. Furono necessari parecchi giorni prima che ci si potesse semplicemente avvicinare a Pompei. Lo spettacolo che si presentò agli occhi dei primi giunti sul posto era terribile: un’enorme distesa di cenere che aveva spazzato via le case, gli alberi, sommerso i campi ed era arrivata perfino a coprire ogni cosa fino al mare.
Tutti erano d’accordo non solo sulla difficoltà ma soprattutto sull’inutilità di tentare una ricostruzione in quel posto maledetto dal cielo, così tutte le forze politiche delle città limitrofe iniziarono opere di ampliamento e costruzione di nuove città proprio per impedire che i cittadini cercassero conforto nella ricostruzione delle loro vecchie case e restassero così esposti alla furia del vulcano nei secoli a venire.
Nessuno seppe più niente di Giulio il matematico. Gli scampati alla disgrazia vollero intitolare tutte le vie principali delle città al suo nome, e molti simulacri vennero eretti. Fu deciso di abbandonare per sempre le città di Pompei, Ercolano e Stabia, lasciandole sommerse dalla cenere a monito delle popolazioni future affinché non dimenticassero mai.
www.youtube.com/watch?v=swNgh9p-rXAEdited by vivonic - 22/3/2013, 09:07