| Ada e Niccolò
È una giornata uggiosa. Sono appena le quattro del pomeriggio e fuori è buio. Pioviggina. Ada ha già messo a letto il gattino di peluche, Niccolò gioca con le goccioline d’acqua che scendono veloci lungo il vetro della finestra. È Ada a rompere la noia: «Nonno, raccontaci una storia!» Niccolò si stacca dalla finestra: «Sì, nonno, ma una storia per bambini, non quei racconti strani che scrivi tu.» Le fiabe che conosco io risalgono a quando ero molto piccolo. Me le raccontava la nonna per farmi dormire e non ce la facevo mai a sentire la fine. «D’accordo, bambini. Sedetevi e statemi ad ascoltare.» Ada va a svegliare il peluche e se lo mette accanto sul divano.
C’era una volta una bella ragazza, di nome Poldina, che viveva con la matrigna e due sorellastre, Anastasia e Genoveffa. Da quando era morto il padre, Poldina in quella casa era trattata come una serva.
«Uffa, nonno, non mi piacciono le storie tristi» protesta Ada. «Aspetta! Non è triste come pensi.»
Dunque, questa povera ragazza doveva pulire la casa, lavare i panni, cucinare, rigovernare piatti e pentole, stirare i vestiti delle sorelle, che erano sempre in giro in cerca di fidanzati che non trovavano mai.
«Perché Poldina non ha chiamato il telefono azzurro?» Niccolò è sempre sbrigativo. «Come ti vengono in mente queste idee? Lei non era più una bambina e a quel tempo il telefono non c’era. Ma, anche se fosse stata piccola e avesse avuto il telefono, Poldina non avrebbe telefonato perché a lei stava bene così. Mentre lavorava, cantava canzoni d’amore e gli uccellini le facevano il coro cinguettando sul davanzale della finestra.» «A me sembra un po’ scema.» «Ti sbagli, Niccolò. Poldina era solo una ragazza buona, docile, non come voi due che non vi va mai bene niente.» Un giorno la matrigna le dette un cestino di funghi da portare alla nonna, che abitava in una piccola casa nel bosco. «Fai questa bella sorpresa alla nonna e torna subito a casa. C’è ancora un sacco di lavoro da sbrigare.» Poldina entrò nel bosco, ma non ricordava bene la strada. Per fortuna trovò un cacciatore…
«Non mi piacciono i cacciatori. Vanno in giro con il fucile e ammazzano gli animali del bosco, anche gli scoiattoli.» «Se mi interrompi sempre, Ada, la storia non finisce più.»
… Per fortuna trovò un taglialegna, un uomo grande e grosso, che camminava con un’ascia appoggiata sulla spalla. Si offrì di accompagnarla fino alla casa della nonna, che lui conosceva bene. «Cerca di ricordarti la strada che facciamo, perché al ritorno io non posso accompagnarti.» Poldina aveva in tasca un tozzo di pane, un avanzo del giorno prima. Le venne l’idea di sbriciolarlo sui viottoli del bosco. Al ritorno avrebbe seguito quella traccia. Quando arrivò di fronte alla casa della nonna, salutò il taglialegna e bussò alla porta: toc, toc! Nessuna risposta. E ora cosa faccio? Si appoggiò sconsolata alla porta che si aprì. Entrata in casa, vide una scena raccapricciante: un lupo aveva assalito la nonna con l’intenzione di mangiarla. Appena vide Poldina, lasciò perdere la vecchia e si avventò sulla ragazza. Mica scemo il lupo. Non c’era paragone tra la carne morbida della giovane e quella grinzosa e dura da masticare della nonna. Arrivato di fronte a Poldina, impietrita dalla paura, il lupo si arrestò, perché sentì un odorino a cui non era capace di resistere: quello dei funghi che la ragazza aveva nel cestino.
«Ma che dici! Ho sentito alla televisione che i lupi sono carnivori.» «È vero, Ada, ma questo lupo voleva un pranzo completo: antipasto di funghi, Poldina come secondo e nonna per dessert.»
Strappò il cestino dalla mano della ragazza e cominciò a mangiare il contenuto. Non aveva ancora finito, che cadde in terra stecchito, morto. Avvelenato dai funghi che aveva mangiato.
Niccolò: «Ho capito. La mamma voleva avvelenare la nonna per portarle via la casa. Al telegiornale si sentono storie così.» Ada: «Non ci credo. Non ci sono mamme così cattive.» «Cari bambini, io posso raccontarvi solo i fatti. Le intenzioni non le conosco.»
Poldina e la nonna si abbracciarono, felici per lo scampato pericolo, quindi la ragazza riprese la strada per tornare a casa. Ma sul sentiero i minuzzoli di pane erano spariti. Li avevano mangiati gli animali. Ora come faccio a ritrovare la strada? Questo pensava Poldina, ancora frastornata dalla scena del lupo cattivo e dei funghi velenosi. Anche lei, come te, Niccolò, cominciava ad avere il terribile sospetto che la matrigna avesse voluto avvelenare la nonna. Non aveva più voglia di tornare a casa. Meglio la compagnia degli animali del bosco. Vagò tutto il pomeriggio per prati, balze e sentieri insieme a scoiattoli, bisce, lucertole e ranocchi. Quando calò la sera, il freddo cominciò a congelarle mani e piedi. Restarono solo un gufo e una civetta a farle compagnia. Fu la civetta che, volando bassa all’altezza di Poldina, l’accompagnò alla casa dei Sette Nani. Cucciolo, il più giovane, quello senza barba, le aprì la porta e la fece entrare nella casa, piccola, ma calda e accogliente. I nani misero in fila due lettini, perché Poldina potesse distendere le gambe. Erano quelli di Cucciolo e di Pisolo, che avrebbe dormito anche sui chiodi. La mattina dopo, i Sette Nani uscirono presto di casa per andare al lavoro. Poldina fu svegliata da qualcuno che bussava forte alla porta. Quando andò ad aprire, le apparve, in groppa a un cavallo bianco, un bel giovane biondo, attorniato da dieci servitori. Sicuramente un principe. Teneva in mano una piccola scarpina di cristallo e cercava proprio lei, Poldina: «Cavra vragazza, ti devo pvrovavre questa scavrpa. Fovrse sei tu la giovane che ho conosciuto ievri sevra al ballo del castello.» Questo è matto come un cavallo, io ieri sera ero a dormire qui, tuttavia Poldina non disse nulla e porse al principe il suo piede sinistro. «Finalmente!» esclamò l’uomo, «avevo pevrso ogni spevranza di ritvrovavrti.» In effetti quella scarpina le stava a pennello. I suoi piedi erano rimasti piccoli, più o meno come i tuoi, Ada, perché la matrigna, per non spendere, le faceva indossare ancora le scarpe di quando era piccina. Il principe prese in braccio Poldina e la fece salire davanti a lui sul cavallo. «Ovra ti conduvrrò alla vreggia dove ci stanno aspettando mio padvre e mia madvre, il vre e la vregina. Tvra un mese celebvrevremo le nozze e diventevrai una pvrincipessa. Pensa a come sei fovrtunata: la fidanzata del pvrincipe azzuvrro.» Faceva tutto lui questo principe: a Poldina, non aveva chiesto neppure il suo parere.
«A me questo principe sta proprio antipatico. Chi si crede di essere?» esclama Niccolò. «Però è bello e ha un cavallo bianco» ribatte Ada.
Hai ragione Niccolò. I principi non li sopporto neppure io, né azzurri, né di altri colori. Questo poi era così noioso. Non faceva che parlare di feste al castello, di vestiti che la ragazza avrebbe dovuto indossare, di caccia alla volpe. Disse a Poldina, che non aveva ancora aperto bocca, che avrebbe dovuto cominciare a parlare in modo raffinato, arrotando la erre come faceva lui, non come una popolana qualunque. Poldina non ce la faceva più. Ancora prima di arrivare al castello, gli disse che si era sbagliato, che non era lei la ragazza che aveva perso la scarpina. Provasse con le sue sorelle, Anastasia e Genoveffa, che però avevano piedi lunghi come baguette. Il principe, irritato per il contrattempo, la fece scendere dal cavallo e Poldina, sollevata, ritornò alla casa dei Sette Nani, dove trovò Aldo, un giovane fabbro, che stava sistemando la stufa sotto il camino. Appena vide Poldina, folgorato dalla sua bellezza, sbagliò la mira della martellata, che colpì il dito pollice della mano sinistra.
«In questa storia sono tutti matti» il commento di Niccolò. «Ti sbagli. Il fabbro non era matto ma innamorato.» «È capitato anche a te, nonno, quando eri innamorato, di tirarti una martellata sul pollice?» Ada è curiosa, come tutte le femmine. «A me capitava anche di peggio: cadevo per le scale, picchiavo la testa contro porte chiuse.»
Tra Aldo e Poldina sbocciò l’amore. Passeggiavano nel bosco mano nella mano, raccoglievano fiori, ascoltavano estasiati il cinguettio degli uccelli, si davano bacini come tutti gli innamorati del mondo. Un giorno Aldo si fece coraggio: «Sposiamoci, Poldina! Voglio vivere insieme a te. Io lavorerò sodo per la famiglia e tu aspetterai il mio ritorno, avendo cura della casa e dei bambini.» Nella testa di Poldina apparve il film della sua vita futura, troppo simile a quella passata. Si staccò dall’abbraccio di Aldo e scappò via di corsa. Aveva preso la sua decisione: sarebbe andata a vivere dalla nonna.
«Avrei fatto così anch’io. È troppo bello stare con i nonni» la conclusione di Niccolò. Ada si alza dal divano con in braccio il gattino di peluche e mi salta in collo.
Edited by Lupoalfa - 30/11/2012, 10:16
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