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La Stella Felix - Liliana Tuozzo

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Esterella
view post Posted on 12/11/2012, 12:18




La Stella Felix

Era ottobre. I giorni, ancora lunghi e chiari da passare all’aperto, rapivano la mia mente, ma dovevo rimanere chiuso in casa a studiare e mi sentivo quasi prigioniero.
Guardavo il bosco che s’intravedeva in lontananza dalla finestra della mia camera. Il libro di matematica rimaneva aperto sempre alla stessa pagina, ero in lotta con i numeri: l’algebra non era il mio forte.
Avevo solo dodici anni e sentivo dentro tanta energia e voglia di muovermi che mi sorprendevo a scoprire i piedi tamburellare sul pavimento, le dita che rigiravano la penna, il collo che si torceva continuamente in direzione della finestra.
Dal cortile mi giungevano rumori familiari. Black che abbaiava, mio padre che lavorava fischiettando.
«Vado nel bosco a far legna.»
Al rumore gracchiante del motore del trattore non seppi resistere; mi affacciai alla finestra.
«Papà, posso venire con te?»
«Hai finito i compiti?»
«Quasi…»
«Allora no!»
«Ti prego, ti prometto che li finirò stasera. Se comincia a piovere non potrò più uscire.»
Mio padre, col berretto in testa, cercava di assumere un atteggiamento autoritario, mentre guardava in su, entrambe le mani appoggiate sui fianchi. Già sapevo cosa avrebbe detto.
«Va bene, dai, scendi» con un sospiro lungo e strascicato.
Feci le scale di corsa e lo raggiunsi, mi sistemai sul rimorchio del vecchio trattore che mio padre usava per lavorare nei campi e partimmo.
Presto l’aria fresca della campagna mi rinfrancò lo spirito.
Un leggero venticello mi passava addosso quasi stuzzicandomi. Adesso non mi agitavo più, me ne stavo seduto tranquillamente con le gambe distese; ammiravo i colori della campagna autunnale e ne aspiravo gli odori.
Arrivammo nel faggeto, mio padre spense il motore.
«Cominciamo da laggiù!» disse, avviandosi con la sua sega a motore. Salì sul primo albero e i rami cominciarono a piovere di sotto.
Passava da un albero all’altro, togliendo solo alcuni rami; era esperto di queste cose e non voleva certo rovinare il bosco.
Il mio compito era quello di raccogliere i pezzi più piccoli e caricarli sul rimorchio del trattore.
Correvo avanti e indietro con lena, per me non era altro che un gioco e non avvertivo minimamente la fatica.
Qualcosa a un tratto catturò la mia attenzione: un piccolo animale bianco aveva attraversato di corsa i cespugli ed era sparito tra la vegetazione.
“Un coniglio selvatico” pensai.
Poco dopo lo vidi di nuovo, di sfuggita stavolta.
Fu solo un guizzo chiaro.
“Forse è una lepre.”
Lo strano animaletto solleticava la mia curiosità in maniera irresistibile: cominciai a guardarmi intorno nella speranza di vederlo comparire.
Mi feci più attento a ogni fruscio; mio padre era distante e il rumore della sega a motore era diventato solo un sottofondo.
Riapparve all’improvviso e come un batuffolo bianco mi sgusciò proprio tra le gambe. Era un gatto.
Non seppi resistere, lo inseguii correndo tra i cespugli e mi ritrovai davanti a una villa di campagna.
Affannato, mi fermai. Il cuore mi batteva impazzito, avevo il respiro corto, non avevo mai corso tanto.
Quell’animaletto era stato veloce come un fulmine.
Senza neanche rendermene conto avevo oltrepassato il cancello spalancato, calpestato il vialetto di ghiaia antistante la casa e mi ero fermato con una mano appoggiata a un albero di ciliegie, mentre con l’altra mi reggevo un fianco. E adesso?
Da una finestra aperta una bambina e un gatto mi guardavano con attenzione e curiosità, ma con un’aria tetra.
La bambina era vestita di bianco, aveva i capelli biondi e gli occhi tristi. Il gatto, appallottolato tra le sue braccia, era anch’esso bianco e con occhi smorti, lei lo accarezzava con una mano.
Rimasi immobile a guardarli fino a che la strana bambina mi fece cenno di avvicinarmi. Il gatto mi fissava, vedevo il bagliore lampeggiante dei suoi occhi, avanzai con cautela. Benché titubante mi sentivo attratto come da una calamita.
«Chi sei?» mi chiese la bambina con un’aria seria.
«Sono Duccio, sto aiutando mio padre a far legna nel bosco.»
«Io sono Gaia e questo è Pallino» disse, alludendo al gatto.
“Gaia, un nome proprio azzeccato. Questa non ride nemmeno se le fai il solletico” feci tra me.
Stavo per chiederle qualcosa, ma in un attimo, chiudendo la finestra, si ritirò.
Rimasi lì inebetito a fissare i vetri sperando che ricomparisse. Dopo alcuni minuti dovetti rassegnarmi, ritornai lentamente sui miei passi e ripresi il mio lavoro.
«Ma dov’eri finito?» chiese mio padre.
«Ero qui vicino, mi era sembrato di vedere una lepre.»
Intanto il rimorchio si andava riempiendo e mio padre si allontanava da me per raggiungere nuovi alberi da tagliare.
Io non riuscivo a togliermi dalla mente la bambina e il gatto, dubitando persino di averli realmente veduti.
La bambina poteva avere sei o sette anni, non ne avevo mai vista una con gli occhi così tristi, e la cosa strana era che anche il suo gatto aveva la stessa espressione, come per una sorta di empatia.
Un rumore tra i cespugli mi fece voltare.
Era proprio lei, e veniva verso di me.
«Vieni con me!» disse, con un tono che non ammetteva repliche. Infatti la seguii come un cagnolino addomesticato.
Mi condusse lungo i vialetti del giardino fino a un gazebo, lì si fermò. Il gatto bianco era steso per terra, coperto di chiazze rosse che sembravano sangue.
«È…»
«No, non è morto, si è rotolato sotto la pianta di melograno, c’erano dei frutti spaccati. Andiamo a sederci» disse, indicando una panca di pietra.
Pallino, sentendo la sua voce, aprì gli occhi e con un balzo fu tra le sue braccia, sporcandole tutto il vestito bianco, ma lei parve non farci caso. Ci sedemmo; il gatto si allungò docile sulle sue ginocchia.
Lì accanto c’era una piccola pista di pattinaggio.
La bambina cominciò a parlare lentamente, con una mano accarezzava il micio che sembrava un batuffolo di cotone.

«Una volta ero davvero gaia» mi disse, «la mia gioia contagiava tutti e volteggiavo felice sopra i miei pattini.
«Non avevo troppa voglia di studiare, frettolosamente facevo i compiti e poi uscivo in giardino. Presi così la cattiva abitudine di pensare solo a divertirmi, ormai contava solo quello per me. Accantonavo i libri sul tavolo e correvo fuori a giocare. Un giorno eravamo io e Pallino, era ottobre. Un rumore strepitoso proveniente dall’alto ci fece alzare gli occhi e fummo colpiti da una luce accecante che si avvicinava sempre più. Qualcosa di strano era atterrato in mezzo a noi e si muoveva come lingue di fuoco tutto intorno.
«Che succede?» dissi con un filo di voce.
Dalla massa luminosa ebbi la risposta:«Sono la Stella Felix e raccolgo tutta la gioia, la felicità, i sorrisi e il buonumore che riesco a trovare e me li porto via. Vorrei fondare un mondo che fosse felice in assoluto».
«E dove trovi tutto questo?»
«Lo sottraggo alle persone che ne fanno cattivo uso, come te per esempio.»
«A quel punto udii solo un acuto “squing” e la stella si allontanò. Rimasi come se mi avessero succhiato ogni gioia fino in fondo. Da allora non ho più avuto un momento bello, non faccio altro che piangere.
Oggi è esattamente un anno che è accaduto questo fatto. Non ho più sogni, non ho più desideri, ogni giorno vengo qua ad aspettare che la stella ritorni. Rivoglio indietro quello che mi ha rubato.»


Finito il suo racconto Gaia mi guardò come se mi stesse chiedendo aiuto.
L’avevo ascoltata in silenzio, immaginandola mentre volteggiava sui pattini. E poi l’arrivo di una stella misteriosa, che carpisce le cose belle, mi aveva incuriosito davvero. Avevo sempre pensato che le stelle fossero immensamente buone.
«Duccio! Duccio, dove sei?»
Mio padre mi chiamava, ma io ero lontano con la mente e non riuscivo a sentirlo. Guardavo in alto verso il cielo, sperando di vedere apparire qualcosa. Quella storia mi aveva rapito, adesso mi sentivo coinvolto e volevo a tutti i costi fare qualcosa per aiutare la bambina.
D’un tratto un bagliore improvviso squarciò il cielo.
Qualcosa d’indistinto cominciò a calare verso la pista di pattinaggio e atterrò a una velocità supersonica. Tante lingue di fuoco, alte almeno due metri, danzavano nell’aria, scivolavano sulla pista, veloci, e quando lambivano il suolo si sentivano risate e sghignazzi. Al centro una figura senza corpo, dai contorni quasi umani che apparivano delineati nel bagliore luminoso, manovrava le lingue di fuoco come se fossero i bracci di una giostra di cui lei era il motore.
Era la Stella Felix.
Abbagliato dalla luce e dal calore che emanava, feci un passo indietro. Gaia invece, che non aspettava altro, si avvicinò.
«Ti prego stellina, dammi almeno un poco di quella gioia che mi hai tolto, i miei occhi sono rossi dal troppo piangere e mi sembra di essere già vecchia, sono una bambina senza più sorriso.»
«E tu prometti che farai il tuo dovere e non penserai solo a giocare e divertirti?»
«Certo!»
A questo punto la stella scoppiò a ridere e non la smetteva più, come se le avessero raccontato una barzelletta irresistibile.
Io allora mi arrabbiai e intervenni.
«Ma, insomma, chi ti dà il diritto di rubare agli altri?»
«Me lo prendo da sola.»
«Non è per niente giusto.»
«Bravo, se studi un giorno diventerai avvocato, ne hai le capacità, sarai il difensore della felicità perduta.»
«Io, io…»
A questo punto non seppi più che dire. Le lingue di fuoco cominciarono a tintinnare, come se a esse fossero attaccati tanti campanelli: era il segnale che la stella si apprestava a ripartire.
Mentre la discesa era stata fulminea, per contro la risalita cominciò adagio. Le lingue di fuoco si ritraevano dal suolo una alla volta, aderendo al corpo centrale della stella e si allontanavano man mano, salendo verso l’alto.
Gaia cominciò a piangere, presa dallo sconforto, e Pallino a miagolare.
Non seppi resistere. Prima che la stella si allontanasse, afferrai una delle lingue di fuoco e, aggrappato strettamente a essa, fui trascinato via.
Mi sembrava di volare verso le nuvole, l’ascesa misteriosa mi stava portando in un mondo fantastico, alla mercé di meccanismi ignoti, contro cui non avrei saputo difendermi. La lingua di fuoco era serrata nella morsa delle mie mani e non avrei mollato la presa per nessun motivo. Avevo constatato che quello che sembrava fuoco era in realtà un gioco di luci e di colori, era come se la stella quando si presentava si esibisse in uno spettacolo fantasmagorico.
L’azzurro del cielo era così intenso da darmi una leggera vertigine, chiusi gli occhi, dovevo resistere, ma adesso mi fischiavano le orecchie.
«Oh, no!» avevo allentato la stretta e stavo cadendo nel vuoto. Pensavo di finire in mille pezzi chissà dove, invece atterrai su qualcosa di morbido.
Ero su una nuvola di gommapiuma. Mi rialzai, e mi guardai intorno: sembrava di essere su un mare solido, tutto bianco e gommoso. Provai a camminare. Sotto i miei passi il suolo si ritraeva e procedevo affondando di qualche centimetro. Ringraziai il cielo di non essere troppo pesante, altrimenti non avrei potuto proseguire.
Sulla destra vedevo in lontananza delle strutture collinari, che parevano fatte di ghiaccio, con riflessi azzurrino chiaro.
Ma quello che mi lasciò esterrefatto fu quello che vidi davanti a me. La curva dell’arcobaleno fungeva da ingresso in un posto particolare.
Mi arrivavano suoni, canti, risate, un’atmosfera da Luna Park.
Più mi avvicinavano, e più ero affascinato dai colori dell’iride, erano talmente vivi che sembravano esplodere nel cielo.
Entrato in quel posto misterioso vidi che c’erano delle tende colorate; ognuna aveva un diverso colore dell’arcobaleno.
Un grosso striscione sorretto da palloncini annunciava “FELIX BAZAR”.
La scritta era formata da lettere tremolanti che sembravano danzare a suon di musica. La cosa sconcertante era che un posto così, che avrebbe dovuto pullulare di abitanti del luogo, era completamente deserto.
Mi avventurai nella tenda gialla. Sopra un basso scaffale, formato da ripiani di gommapiuma, facevano bella mostra tante boccette, allineate come in un supermercato. Erano contrassegnate dalla lettera A. Ne presi in mano una, a caratteri minuscoli. Sull’etichetta era scritto: allegria.
Provai ad aprirla, una ventata fresca di entusiasmo mi pervase.
Entrai nella tenda arancione e poi nelle altre.
In ognuna c’erano scaffali con boccette allineate, l’unica cosa diversa era la lettera che appariva sull’etichetta. Ce n'erano diverse per ogni lettera dell'alfabeto. Ne osservai alcune.
A (allegria), B (buonumore), F (felicità), G (gioia), I (ilarità), R (risata), S (sorrisi).
Spinto dalla curiosità le avevo aperte: una strana nebbiolina arcobaleno si era diffusa nell’aria e avevo avvertito un senso di benessere mai provato prima.
Inoltre alcune di esse emettevano anche dei suoni tipo sghignazzi e risate. Infatti, da una era uscito un “Ih! Ih!”, da un’altra un “Ah! Ah!”.
Avevo capito che in quelle strane boccette c’era tutto quello che la Stella Felix ricavava dalle sue sortite sulla Terra.
Allora, in preda a un’improvvisa eccitazione, feci a ritroso il mio ingresso nelle tende colorate, dove non avevo incontrato anima viva.
Volevo portar via qualche flacone per aiutare la mia amica Gaia; da ogni tenda ne presi uno e nascosi tutto nelle tasche.
Adesso dovevo capire come fare per scappare da quel luogo.
Oltre le tende, vidi una grossa ruota che m’incuriosì; era come quei giocattoli da spiaggia che ruotando trasportano la sabbia.
Mi avvicinai: alla base della ruota c’era un’imboccatura che terminava in un grosso buco nero.
Avevo intuito che quella era l’uscita, ma non sapevo in che modo, una volta che l’avessi imboccata, avrei potuto raggiungere la Terra.
Mi trovavo sospeso su una nuvola di gomma chissà a quale distanza dal suolo… con che mezzo avrei potuto lanciarmi senza correre il rischio di sfracellarmi?
La risposta l’ebbi quando scorsi nelle vicinanze una serie di paracadute colorati con lunghi fili fluorescenti che erano legati come palloncini a una grossa inferriata di gommapiuma.
Mi sentivo ardito; tutte le boccette che avevo annusato avevano fatto di me una sorta di eroe, che non temeva niente e nessuno.
Un bagliore e un tintinnio mi fecero guardare verso l’alto.
La Stella Felix si trovava proprio sopra di me e stava per atterrare con le sue lingue di fuoco.
Allora presi le boccette che avevo nelle tasche e aprendole le riversai giù nell’etere attraverso il buco nero.
«Il mio lavoro di anni… buttato via» piagnucolava la Stella.
«Bel lavoro davvero, credevo che le stelle fossero buone» dissi irritato.
«Che ne sai, difensore della felicità perduta, del male che mi hanno fatto gli altri? Sirio, la stella più luminosa, organizzava convegni, ricevimenti, dove tutte le stelle erano invitate: le stelle dell’Orsa, le costellazioni, tutte tranne me. Io ero l’unica a essere ignorata dal mio mondo e dal vostro, nessuno mi degnava di uno sguardo, ero piccola, e per giunta poco luminosa. Per questo volevo inventare un mondo tutto mio, dove ci fosse felicità.»
Detto questo, a un suo impercettibile comando, le lingue di fuoco, allungandosi, avevano raggiunto le tende e, a mo’ di nastro trasportatore, avevano trascinato gli scaffali con le boccette fino alla Stella. Quindi avevano cominciato a passarle i flaconi uno per volta; lei, benché non avesse corpo, li avvicinava alla parte alta della sua figura luminosa e uno per volta li vuotava: era come se bevesse e volesse ubriacarsi col loro magico contenuto.
La Stella cominciò a dilagare, diventava sempre più grande espandendosi intorno, il suo bagliore cominciava a diventare accecante.
“Se continua così finirà per esplodere” pensai.”
A un certo punto si fermò. Cominciò a ridere forte, tutta quella gioia e allegria cominciavano a dare i suoi effetti. . Mentre lei rideva dall'alone luminoso che la circondava si staccavano masse di luce che andavano a fissarsi nel cielo. Erano nate tante nuove stelle.
Quello però era per me il momento favorevole per andar via e, prima che la Stella decidesse della mia sorte, non potevo rimanere a godermi lo spettacolo. Allora presi un paracadute arcobaleno che era lì vicino e prima che la Stella potesse accorgersene, mi lanciai nel vuoto attraverso il buco nero.
Fluttuavo nell’aria come un soffione portato dal vento. Attorno a me una nebbiolina colorata scendeva verso il basso: erano tutte le emozioni che avevo liberato dalle boccette e che mi avevano preceduto nella discesa che avveniva lentamente.
Non avevo paura, mi lasciavo dondolare, cullato dal movimento, ed ecco che cominciò a profilarsi davanti ai miei occhi la villa col suo immenso giardino.
In un tempo che sembrò interminabile cominciai ad atterrare, chissà dove sarei caduto. Mi accorsi che mi stavo dirigendo proprio sopra un albero, cercai di virare, ma fu tutto inutile.
Il paracadute s’impigliò nei rami e io mi lasciai cadere giù con un salto.
Mi trovavo sotto l’albero di melograno, l’energica caduta mi fece ruzzolare per terra; anch’io come Pallino mi sporcai di rosso le mani e i vestiti.
Mi rialzai un poco dolente, quando accadde una cosa straordinaria: sentii una risata argentina esplodere all’improvviso alle mie spalle. Mi voltai: affacciata a una finestra c’era Gaia che rideva, con in braccio il suo gatto bianco.
«Duccio! Duccio, dove sei?»
Mio padre mi cercava di nuovo; certo non lo avevo aiutato per niente.
Mi guardò rassegnato, grattandosi in testa: ero piuttosto sporco e malconcio.
«Beh, spero almeno che ti sia divertito» mi disse.
Montai sul rimorchio del trattore. Le gambe stese, gli occhi al cielo: era terso senza neanche la più piccola nuvola e si andava scurendo con l’avanzare della sera, quando, come se si fosse accesa una luce improvvisa, apparve un grappolo di stelle con al centro una più luminosa.
Non ebbi alcun dubbio, era lei: la Stella Felix.
Adesso brillava anche lei, insieme alle altre per tutti noi.
Come parlando a me stesso, dissi a mio padre: «Credo che da grande farò l’avvocato».
«Dovrai studiare molto.»
«Lo farò!»
Mi godevo la campagna intorno, respirando a pieni polmoni. Nell’aria avevo sparso infinite particelle di felicità.

Edited by Esterella - 1/12/2012, 11:00
 
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view post Posted on 12/11/2012, 13:02

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L'ho letta tutta d'un fiato e penso di essere incappata in una bottiglietta con la scritta allegria ed originalità.
Complimenti per la tua grande fantasia e per la "leggerezza" con cui sai scrivere le fiabe.
Ciao Esterella.
 
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marcoad82
view post Posted on 12/11/2012, 13:23




Non c'è dubbio che se fossi incappato in Felix da bambino, si sarebbe fatta una scorpacciata con le mie emozioni: non sono stato un bambino assennato come il buon Duccio... :)

Eccellente fiaba, complimenti! Si legge volentieri, i personaggi sono ben caratterizzati, è leggera e divertente, e adatta ai bambini. Non condivido la scelta del narratore in prima persona: o meglio. io uso sempre il narratore in prima persona, perché lo trovo più coinvolgente, ma soltanto per la fiaba ho usato la terza persona perchè la trovo più adatta. comunque questo non toglie che l'effetto che hai ottenuto sia ottimo lo stesso.

qualche svista/sugerimento

CITAZIONE
«Cominciamo da laggiù!» disse, avviandosi con la sua sega a motore. Salì sul primo albero e i rami cominciarono a piovere giù.

toglierei il "giù" o lo sostituirei con un "di sotto"

CITAZIONE
«Che succede?» dissi con un filo di voce.

c'è una virgoletta di troppo

CITAZIONE
Mi arrivavano suoni, canti, risate, un’atmosfera da Luna Park.

personalmente sostituirei l'ultima virgola con i due punti

CITAZIONE
A (allegria), B (buonumore), F (felicità), G(gioia), I(ilarità), R (risata), S(sorrisi).

darei uno spazio dopo tutte le lettere maiuscole

Ciao!
 
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bluninja636
view post Posted on 12/11/2012, 16:14




Bella fiaba Esterella, complimenti.
Oltre ad essere ben scritta e fluida nei tempi, è anche originale e "Gaia" ;)
L'unica cosa che aggiungerei è il motivo per cui Felix si ferma e diventa buona.
Complimenti.
 
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davide2283
view post Posted on 12/11/2012, 16:14




Ciao, ho trovato la tua fiaba godibile e nel complesso ben scritta. Un paio solo di cose non mi hanno convinto, o non le ho capite:
- quando Duccio trova le boccette, non nomina il buon senso
- la stella Felix si lamenta che Duccio ha sprecato tutto il suo lavoro, ma poi rischia di andare "in overdose" da boccette...allora non ha fatto tutto questo danno no?
- per quale motivo Felix si ferma? Perchè capisce o perchè si beve il buon senso?

Per quanto riguarda la forma, nel complesso è ben scritto. Ti segnalo questi punti:
CITAZIONE
I giorni, ancora lunghi e chiari da passare all’aperto, rapivano la mia mente, tenendomi prigioniero.

Rivedrei questa frase sia per quanto riguarda la punteggiatura che per quanto riguarda il senso. Che vuol dire che i giorni lo tenevano prigioniero? E che c'entra il fatto che fossero lunghi?

Alcune parole sono poco adatte a una fiaba: per esempio, greve e abbacinato.

Inoltre, più per gusto personale, non ho tanto apprezzato il discorso diretto all'interno di un altro discorso diretto. Mi ha un po' inceppato, perchè a un certo punto non capivo più chi stava parlando e quando. Forse sarebbe meglio trasformarlo in indiretto?

In generale comunque il mio giudizio è positivo! In bocca al lupo!
 
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view post Posted on 12/11/2012, 16:56
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Ciao molto scorrevole.
Ho qualche piccola perplessità a volte non capivo chi parlava, magari è solo un mio problema, poi rileggendo più volte le stesse righe riuscivo a camprendere.

Invece questa frase:
---------------Un rumore tra i cespugli mi fece voltare.Era proprio lei, e veniva verso di me.«Vieni con me!» disse, con un tono che non ammetteva repliche. Infatti la seguii come un cagnolino addomesticato.------------------
Il padre di Duccio è presentissimo in questa fiaba, quindi trovo strano che quando lui si allontana dal bosco, dove con suo padre sta raccogliendo i rami, Duccio non gli dice che si sarebbe andato con una sua amica? Vabbe non sò se mi sono spiegata.


Solo questo, per il resto la storia è molto carina.

;) ;) ;)

 
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Esterella
view post Posted on 12/11/2012, 17:35




@patrizia. Grazie troppo buona, se pure in là con gli anni mi piace, la fiaba, la favola e tutto quello che ha qualcosa di magico. Ho ritrovato questa vecchia storia che credevo di aver perduto, per cui sono molto contenta di poterla condividere con voi ragazzi.
@ Marco . Ottimi suggerimenti, mi sfugge sempre qualcosa. Sono d'accordo anche per il raccontare in terza persona, insomma avevo intenzione di farlo, poi mi sono fatta prendere dall'entusiasmo come al solito e ho solo postato il pezzo. Chissà se posso modificarlo adesso.
@blu. Grazie. Ricordavo di aver fatto capire che la stella beve il "buon senso" da una boccetta oltre all'allegria e tutte quelle cose positive che lei credeva perdute per sempre.
@Davide. I giorni sembravano lunghi e si sentiva prigioniero perchè doveva stare rinchiuso a studiare invece di poter giocare all'aria aperta.
per le parole. Non ho capito a quale parte ti riferisci per il discorso diretto, se me lo evidenzi magari posso correggere.
@ Solenebbia peccato che anche tu abbia avuto qualche difficoltà nel capire chi parlava, solo non so a COSA TI RIFERISCI in particolare.
Duccio segue Gaia un po' magicamente, affascinato da lei e dal suo gatto non si pone il problema di dire al padre che si allontana perchè lo fa quasi inconsciamente.
Di nuovo grazie ragazzi è un vero piacere stare qui con voi, farò delle correzioni facendo tesoro dei vostri suggerimenti. ;) :D
 
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davide2283
view post Posted on 12/11/2012, 19:00




CITAZIONE
@Davide. I giorni sembravano lunghi e si sentiva prigioniero perchè doveva stare rinchiuso a studiare invece di poter giocare all'aria aperta.
per le parole. Non ho capito a quale parte ti riferisci per il discorso diretto, se me lo evidenzi magari posso correggere.

Infatti, l'avevo capito che intendevi quello, però allora sono i compiti che lo tengono prigioniero, non i giorni. Quello che volevo farti capire è che messa così, secondo me, la frase suona anche bene ma ha poco senso. Come me l'hai spiegata tu è molto più chiara, perchè non metterla giù così?
Per quanto riguarda il discorso diretto, il brano è questo:
CITAZIONE
«Non avevo troppa voglia di studiare, frettolosamente facevo i compiti e poi uscivo in giardino. Un giorno eravamo io e Pallino, era ottobre. Un rumore strepitoso proveniente dall’alto ci fece alzare gli occhi e fummo colpiti da una luce accecante che si avvicinava sempre più. Qualcosa di strano era atterrato in mezzo a noi e si muoveva come lingue di fuoco tutto intorno.
«Che succede?»” dissi con un filo di voce.
Dalla massa luminosa ebbi la risposta:«Sono la Stella Felix e raccolgo tutta la gioia, la felicità, i sorrisi e il buonumore che riesco a trovare e me li porto via. Vorrei fondare un mondo che fosse felice in assoluto».
«E dove trovi tutto questo?»
«Lo sottraggo alle persone che ne fanno cattivo uso, come te per esempio.»
«A quel punto udii solo un acuto “squing” e la stella si allontanò. Rimasi come se mi avessero succhiato ogni gioia fino in fondo. Da allora non ho più avuto un momento bello, non faccio altro che piangere.
Oggi è esattamente un anno che è accaduto questo fatto. Non ho più sogni, non ho più desideri, ogni giorno vengo qua ad aspettare che la stella ritorni. Rivoglio indietro quello che mi ha rubato.»

Mi pare ci sia anche una confusione di virgolette che si aprono e si chiudono una dentro l'altra.
 
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marcoad82
view post Posted on 12/11/2012, 19:17




Certo che puoi modificarlo! però come ti ho detto anche così funziona bene :)
 
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francesca vernazza
view post Posted on 13/11/2012, 00:56




Ciao prima della frase "entrambe le mani appoggiate sui fianchi" metterei con. Prima di "non avevo voglia " leverei le virgolette le avevi già aperte prima. e dopo intorno dovresti metterle. Dopo "che succede?" cè un errore di battitura.

La storia in sè è carina, molto fantasiosa, e il fatto che l'hai scritta in prima persona coinvolge di più il lettore.
In bocca al lupo!!!! :D
 
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Atropos
view post Posted on 13/11/2012, 01:19




Io non voglio essere di meno e ti dico cosa ho scovato io : blek ! Di solito il nome "Black "si da ai cani dal manto nero che tradotto in inglese è Black e non blek,,, che cazzata,, allora alcuni miei dubbi come la stella che rimprovera Duccio di aver buttato i sentimenti e poi li beve ti sono stati già espressi allora qualsiasi mio commento è inutile,,, beh qualcosa lo posso comunque lasciare : le stelle più piccole sono le più belle perchè con la poca luce che hanno permettono di far brillare tutte le altre e così ci danno una cosa che si chiama regalo per gli occhi: il cielo stellato,,, se tutte fossero come il sole,ne vedremo solo una,,, e sarebbe un enorme peccato,,, lo so, è il contrario di ciò che la tua fiaba vuole trasmettere,,, o forse è la stessa cosa visto che sono gli uomini che non si fermano più a guardare il cielo,, mah


Mentre rileggevo mi è sorto un dubbio,prendilo come mio parere,una mia sensazione di una lettura all 1 di notte, ho trovato la prima parte un po lenta,,, Mmm,,, priva di verve sembra quasi che felice abbia rubato la felicità non solo a gaia ma anche al racconto,,, ma chissà magari è una scelta stilistica o solo,come ti dicevo,una mia impressione, poi felice rimprovera la bimba di aver usato male la sua felicità,,, una bimbetta di 6,7 anni che usa male i suoi sorrisi,,, la stella felice mi ricorda tanto la tutrice rottermajer in haidi.,,,, ma è sempre il mio parere che può essere del tutto sballato
 
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Esterella
view post Posted on 13/11/2012, 11:14




Grazie a tutti.
Atropos grazie per la dritta del nome Black, ;) l'ho cambiato.
 
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roxy901
view post Posted on 17/11/2012, 09:16




La trovo un po troppo particolareggiata per considerarla una fiaba. Anche se le caratteristiche ci sono quasi tutte: l'eroe, il cattivo, il torto subito, il viaggio per rsolvere i problemi, la magia e il lieto fine. Forse ci sono un paio di ripetizione e forse il linguaggio non è proprio quello della fiaba... però nel complesso può andare, brava!
 
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bibina74
view post Posted on 17/11/2012, 09:51




Ciao Esterè, intanto complimenti per l'idea di fondo perchè sei stata molto creativa.
Per quanto riguarda lo sviluppo l'unica cosa che non ho capito è perchè la bambina era così triste e usava male la sua allegria (secondo quanto afferma la stella), per il resto ho letto il racconto dopo le modifiche quindi le altre cose erano già state sistemate e non ho avuto particolari difficoltà di comprensione.
Forse accorcerei un pochino la prima parte per dare più spazio alla storia di Duccio e Gaia... non so.
Cmq ottima prova anche per te. Brava. daisy1
 
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Esterella
view post Posted on 17/11/2012, 11:11




Grazie Roxy, :wub:
grazie Bibina, credo che la parte poco chiara sia quella del dialogo tra la bimba e la stella. In effetti la bimba non studia più e pensa solo a giocare perchè così è felice, è questo il cattivo uso della gioia che la stella le rimprovera e che le ruba perchè è gelosa. Ho cambiato un rigo chissà se si capisce meglio. Ciao Bib. :wub:
 
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37 replies since 12/11/2012, 12:18   483 views
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