Abaluth - Scrivere, leggere, arte e cultura

Il Palazzo - Giovanni "Ionni" Orca

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Johnny Orca
view post Posted on 31/10/2012, 20:46




C'è un palazzo vicino casa mia.
Palazzo è una parola grossa: un edificio, di pianta e forma rettangolare, quattro o cinque piani di cui l'ultimo più piccolo. Direi come un cappello, se qualcosa della sua noiosa architettura ricordasse una testa. La facciata è decorata da semplici mattoni rossi, tranne che sui bordi, lasciati di cemento chiaro.
Risale agli anni settanta. Ma io non ci credo. E' troppo nuovo. Persino le erbacce crescono alte solo addosso ai muretti di cinta, senza raggiungere il perimetro del palazzo.
Ovviamente è disabitato. Di porte, ne ricordo una sola, rossa, di lamiera, proprio alla tua destra quando torni dallo Smile Pizza e ti addentri in un piccolo parcheggio aperto ai pedoni. Una porta sola di cui non capisco lo scopo, troppo piccola e insignificante per essere quella di un appartamento, conduce forse ad una cantina o a una rimessa. Ed è sempre chiusa. Finestre (serrande di diverso colore, tutte integre e neanche arrugginite) chiuse.
Girando l'angolo (Lo descrivo sempre da lì, la facciata della porta, dello Smile Pizza, la facciata che per primo m'ha visto), un enorme albero nasconde parte del cortiletto interno, e la facciata di un altro palazzo gemello a questo.
Il Palazzo gemello è chiaramente non finito: il piano terra è inesistente, ridotto ai soli piloni delle fondamenta. Più in fondo, si intravvedono le ante di un ascensore. E questa è la cosa più vicina ad un ingresso che il Palazzo (o meglio, i palazzi, quello rosso e finito e quello bianco senza primo piano, cioè terra) possiede. Forse, voltando ancora, raggiungendo la facciata ovest. Ma non l'ho ancora fatto, e se l'ho fatto non lo ricordo.
Girano strane voci sul palazzo. Ma è normale. Come detto è disabitato da più di un decennio, anche due. Tutt'attorno ne sono sorti tanti, più grandi e brutti (ma a bruttezza se la gioca bene), dove dimorano soprattutto gli studenti della vicina università. Studenti come me. Naturale, che nascano delle voci, delle storie.
Dicono ci sia stato un omicidio. Naturalmente, ogni palazzo vuoto lo è perché qualcuno c'è morto, fosse solo inagibile sarebbe noioso, ancora più noioso. Ma di che omicidio si tratti, chi l'assassino, chi la vittima o le vittime, cambia da bocca a bocca. C'è una storia per ogni piano e ogni appartamento, qualche volta pure più di una.
Chessò, vedete il piano più alto del Palazzo? (Quello piccolo con le serrande colorate che sembrano pure allegre... ) Ecco, sembra si sia formata una comune, lì. Roba vecchia, certo, ma negli anni sessanta - settanta andava forte l'idea d'allontanarsi da tutto e tutti, vivere secondo le proprie regole. E Quattromiglia allora, non era così popolosa: non c'era ancora l'università.
Però, ecco, loro non erano mica fasci o compagni. Erano religiosi, a modo loro. Volevano raggiungere Dio abbandonando ogni tentazione e ogni bisogno del corpo. Tipo monaci, sì. Quindi s'astenevano dal mangiare, bere, pisciare. Stavano chiusi in casa – cioè, nel Palazzo, tutto il giorno e la notte a fare cose inconcepibili, tra le mura del Palazzo.
Avevano due ossessioni: Una è Dio, il loro Dio.
L'altra era il Sesso.
Per forza, no? La passione che più di tutte scombina la mente. La allontana dalla luce divina e tutto il resto. Finché si tratta di campare d'aria e pisciare rugiada, sta bene, il corpo s'abitua. Ma alla lussuria, alla lussuria no. Non a loro. La sentivano crescere dentro e serpeggiare fuori, diventare diabolica, sussurrare cose orribili alle loro orecchie. Sette ragazzi sei ragazze decine di feritoie buchi giochetti possibili. Che vi credete, non facevano nulla. Ma in loro il desiderio era sempre più grosso e rabbioso.
Uno di loro ebbe l'idea di sfidarlo. Un giovane bruno, capelli ricci. L'aveva letta da qualche parte, forse fra i libri del precedente inquilino. Iniziarono a coricarsi nudi nei letti, a coppie. Una volta un maschio e una femmina, un'altra due maschi o due femmine, tre e così via. Niente da fare: il desiderio non si spegneva. Palpitava nel Palazzo stesso. Ogni muro letto finestra ombra ricordava loro... Beh, a mali estremi, estremi rimedi.
Un giorno, cioè, una notte (con le serrande chiuse, chi poteva notare la differenza?) si legarono ai piloni portanti del loro appartamento, la pelle nuda a contatto col cemento nudo e spoglio dell'intonaco. Sempre a coppia: uno davanti all'altro, a fissarsi negli occhi e nelle vergogne.
L'idea era che il tredicesimo, scelto a caso, rimanesse libero per slegarli il mattino dopo. Sembra una stronzata, ma per loro era chiaro, chiarissimo, disegnato nella geometria stessa del Palazzo! Quelle colonne, tra piano e piano, voglio dire, nude così come Dio voleva fossero nudi gli uomini davanti al suo cospetto... quelle colonne ecco: era come se fossero state fatte per loro. Per quel momento.
La prima notte, tutto apposto, giusto un po' di stanchezza, umidità. Qualcuno, sentendosi più vicino a Dio (”Vedo gli angeli! Vedo gli angeli!” lamentava estasiato, ”Vedo gli angeli, uscire dai mattoni!”) aveva persino chiesto di rimanerci anche di giorno.
La seconda sera, venne scelto come guardia un giovanetto bruno, dai capelli ricci e l'espressione beffarda. Li legò tutti, li guardò tutti, e augurò loro una buona e lunga notte. Poi, se ne andò. Lasciandosi alle spalle gli urli, i deliri, le risate, per salirsene dall'amante. Non tornò più.
Dicono che, mesi dopo, il padrone di casa aprì quella porta, trovandosi davanti un appartamento (letti sfatti vestiti a terra lenticchie e cipolle ammuffite. Ma nessun altro.) vuoto. Con certi brutti aloni di umidità sulle pareti e sulle colonne portanti...
Sembra che al primo piano del Palazzo una donna tradisse il marito con uno degli studenti che abitavano di sopra. Il marito era più giovane di lei, occhi azzurri bellissimi, ma anche più stanco. Molto stanco. Forse era un addetto alla neonata segreteria universitaria. Tutti i giorni a badare alle rogne di persone tanto diverse eppure equamente stupidi e ignoranti, studenti professori presidi rettori. In una stanza piccola e soffocante, proprio a sud, che quando è mezzogiorno d'estate si vorrebbe morire. E invece no, altre due ore da fare. Mica lo trasferiscono alla didattica, dove lavorerebbe solo di mattina e due volte di pomeriggio. No no. Non lui. Un giorno tornò prima a casa (un classico), salì al secondo piano (dopo quello chiuso, con l'intonaco mangiato da brutti aloni di umidità), aprì la porta del suo appartamento.
La moglie era in cucina, con un diciottenne dietro alla pecorina. E succede quel che succede.
Prima urlò. Poi, pianse. Poi ancora, il sorriso allegro e beffardo del giovane (bruno, capelli ricci) gli fece rizzare i capelli sul capo e l'uccello fra i pantaloni.
Gli tagliò le mani, lo stuprò, e lo lasciò a sanguinare in un angolo del suo appartamento. Sul suo cadavere che rideva, venne tanto da mettersi a piangere, e ancora una volta, come nelle soffocanti giornate estive, voleva morire.
Ma aveva da lavorare.
Sollevò il coltello, lo abbatté sulla donna, una due tre cinque dodici sessantasei e cinque volte. Sentendosi ogni colpo più leggero, più... staccato dal corpo. Come in un'ascensione. Raggiungeva Dio.
Poi si guardò le mani, e si rese conto di ciò che aveva fatto. Ma, come dire, non con la logica dei sani, che a un certo punto si ferma o il mondo attorno ti crolla come un castello di carte. No, secondo la logica del Palazzo.
Rise, rise tantissimo. E le finestre ridevano con lui. Sempre. Anche ora.
Anche ora.
Ahaha.
Rido perché queste storie sono curiose. Oramai le colleziono. Ce ne sono alcune che... Cioè, ora non starò a scriverla perché, onestamente, quando ci sono di mezzo i bambini (“Quando morirai, fratello mio? Quando morirai?” urlò la bambina alla testa. ”Quando non avrò più fame” rispose), diventa troppo ecco. Preferisco fermarmi. Voglio fermarmi. Ma questa... questa un po' di senso ce l'ha. Parla dell'inizio, poi, degli albori di tutto. Vi va bene, no?
L'Architetto del Palazzo, il tizio che l'ha progettato, è morto.
Non di vecchiaia, o per cause naturali. Era giovane, figuriamoci. Ma manco ammazzato o suicida.
Lo trovarono nel suo appartamento (dentro il Palazzo, il primo ad essere finito), in mezzo ai suoi libri, alle sue cipolle ammuffite... Fisicamente stava benissimo, sorrideva pure. Però era morto, solo morto.
Anche l'impresario edile è morto. Ma in un altro modo, e non subito.
Fuggì subito dopo la consegna del Palazzo, senza lasciare spiegazioni. Ovviamente, si pensò a qualcosa di grave, ad una truffa. Magari il Palazzo aveva dei problemi, il cemento fatto con la sabbia, le fondamenta non a regola (anche se sono profonde, si, tanto profonde).
Ci furono delle indagini, e il Palazzo venne controllato da cima a fondo. Ma non si trovò niente di male, apparentemente. Era apposto. Un po' noioso forse.
Intanto, l'impresario scappava. Attraversò mezza Europa senza fermarsi mai per più di una notte nello stesso posto. Una volta in Portogallo, decise di partire per l'America e prese un volo per New York.
Venne arrestato prima ancora di mettere piede sul suolo americano. Poi fu condotto in un carcere, lontano dalla città, nell'entroterra. E immediatamente giustiziato sulla sedia elettrica. Fino all'ultimo, non chiese mai il perché ai suoi aguzzini, che rimasero comunque in silenzio. Solo alla fine, uno di loro disse qualcosa: “If only we'd caught them sooner...”
Bella vero? E forse ha un senso, perché se chiedete in giro, nessuno saprà dirvi chi diamine ha edificato il Palazzo. Io ho fatto anche qualche indagine, sono stato alla Civica, ho letto i giornali locali. Ma non ho trovato nulla di interessante, credetemi. Proprio nulla.
L'unica cosa certa è che il primo edificio di Quattromiglia, prima del boom edilizio. E basta. Potrei andare al catasto, dare uno sguardo lì, però ho paura...
Ma non è meglio così? Con tutte queste storie, che se una fosse vera smentirebbe tutte le altre. Come se, ecco, coesistessero. L'altra sera un mio amico se ne è uscito con una bellissima... Inventata sul momento, certo (il Palazzo non gli stava affatto parlando, perché aveva voglia di ridere con lui, come l'uomo con le finestre, a lui poi), però non male.
Stavamo tornando dallo Smile pizza, guardavamo 'sto Palazzo brutto e noioso, bianco, con 'sta porta di lamiera verde che non si capisce a che serva... E lui se ne esce fuori con la storia che tutte le storie sul Palazzo sono vere. Tutte tutte tutte tutte. Comprese quelle impossibili, contraddittorie. Il Palazzo le ospita, ne è un museo, un tempietto greco, di quelli che accolgono la statua del Dio e basta, qualche monaco, un sacerdote ogni tanto, se sapeva ridere. In realtà dentro è totalmente vuoto, non ci sono che i piani e queste finte finestre giusto per facciata. E cadaveri, cadaveri ovunque, minuziosamente accatastati uno in fronte all'altro a guardarsi... E ogni volta che s'inventa una storia, nel Palazzo appare un altro cadavere, e un altro ancora e così via.
Dico: ma con tutte le storie che ci sono, dovrebbe essere strapieno! Dovrebbe sprofondare!
E lui risponde: a che credi serva il palazzetto gemello?
Mi viene da ridere.
Perché la sua storia la sapevo già. L'ho inventata io, la sera prima.
Le ho inventate tutte io! Da trent'anni le invento! Ne ho 19, ma che volete fare, li porto bene. Ahaha.
Mi escono così, dal nulla, neanche me le suggerissero le pareti le finestre l'albero con i suoi buffi fiori vicino le radici.
All'inizio, era solo per distrarmi mentre camminavo, mentre tornavo con la spesa, o andavo a prendere una pizza, e passavo accanto a quello schifosissimo palazzo... Ok, qualcuna forse l'ho sentita, da qualche parte, da qualche amico. Nino, forse.
Ma ora sono troppe. Sono troppe sono troppe sono troppe sono troppe sono troppe sono troppe sono troppe sono troppe. Mi appaiono nella mente ad ogni momento, come se me le suggerissero, come se me le bisbigliassero le palpebre...
E sono tutte false. Devono esserlo.
Vi prego credetemi.
Non possono essere vere. Non sono vere. Non erano vere. E se ora lo sono, allora io...
Non andate in biblioteca. Non troverete articoli di omicidi e massacri di cui nessuno sa niente, manco fossero apparsi negli archivi durante la notte. Niente trafiletti su imprese edili fallite, perché non si sa dove si trovi il proprietario. Non ci sono foto di segretari giovani con il volto stanco e occhi azzurri come finestre. Proprio niente.
E per l'amor di Dio (il nostro Dio!) non cercate di entrare nel Palazzo!
Io l'ho fatto! La sera che ho scritto la prima storia, quella dei monaci e del sesso e degli angeli nelle pareti e gli aloni nei muri.
E c'erano.
C'erano c'erano c'erano c'erano c'erano.
Cristo salvami tu.
Sto impazzendo.

E' da molto tempo che non apro questo file. Due mesi almeno. Lungo lo scorso anno l'avrò letto e riletto decine di volte, cercandovi un senso che non c'è. Ora, ci sto scrivendo, guardo le mie dita pigiare con pigrizia i tasti del mio vecchio portatile, osservo le lettere apparire sul bianco del foglio virtuale, e penso... o meglio, ripenso, per l'ennesima volta, a quella dannata mattina. Preferirei non farlo, ma il mio psicologo ha detto che mettere per iscritto gli avvenimenti di quella giornata mi aiuterà a superarli, quindi...
Ero tornato da una festa protrattasi per l'intera nottata. Mattina presto, volevo solo urinare e gettarmi sul mio letto.
Mi stavo recando in bagno, quando un odore di bruciato mi paralizzò.
Era un odore... Non so come aggettivarlo. Carne bruciata, di sicuro. E plastica, e tessuto. Tutto bruciato. Per un attimo temetti che il mio coinquilino si fosse addormentato con la sigaretta accesa... e spalancai la porta convinto d'essere pronto a ciò che avrei visto.
Non era vero.
Nessuno può essere pronto per una cosa del genere.
Ci sono tanti modi per uccidersi.
Alcuni, sono semplici e immediati: viviamo al quarto piano, basta aprire la finestra (invece di lasciarla chiusa, con le serrande abbassate), superare la balaustra, e via. Altri, sono più melodrammatici, come tagliarsi le vene.
Ma disattivare il salvavita dal pannello della corrente, immergere i piedi in una bacinella d'acqua, tagliare per metà un cavo elettrico e gettarlo nell'acqua... No, no, ci vuole lucidità per fare una cosa del genere, ci vuole... premeditazione.
A suo modo è stupido, perché non è così che una sedia elettrica funziona. E' solo morto folgorato. Gli si sono bruciate le carni, a partire dai piedi, finché il cuore finalmente non ha ceduto.

Mi sono dovuto prendere una pausa. Credo d'aver pianto. Dannazione, a me neanche piaceva quel tizio. Era un drogato, chiaramente, di quelli che arrivano a frequentare i propri spacciatori (un ragazzo bruno, con i capelli ricci) per farsi scontare il fumo. Ma morire così... Cristo santo.
Negli attimi di... sconvolgente alienazione successiva alla scoperta, mi avvicinai al netbook ancora acceso sulla scrivania. Vi trovai questo documento dove ora sto scrivendo.
L'ultima pagina la voglio incollare qua. Credo mi faccia bene, rileggerla, rifletterci...
CITAZIONE
Sto impazzendo.
'Sta frase sta su OpenOffice da un pezzo ormai. Vorrei cancellarla. La guardo per delle ore. Non riesco a cancellarla.
Aiuto.
Non esiste nessun cazzo di palazzo.
Cioè, c'è, ce n'è uno, madre di Dio! Proprio lì dove l'ho indicato! Perché cazzo nessuno se lo ricorda, io non lo so! Colleghi, amici, coinquilini, girano per Quattromiglia come se fossero dei ciechi. Gli passano accanto senza mai notarlo. Vedono tutto, meno la cosa più importante: Il Palazzo!
Esiste qualcosa che solo tu vedi, a cui solo tu dai importanza? Si? No!
Perché, poi, proprio quel Palazzo?
Non c'è niente che non va in quel cazzo di Palazzo (di palazzi, sono due, dio mio, sono due, da dove è sbucato l'altro?), va bene? NIENTE. E' solo... è un palazzo come qualunque altro! Te che stai leggendo, guarda fuori dalla finestra. O sei in Siberia, o sei circondato di palazzi. Alcuni magari sono pure belli, altri no. Alcuni hanno le finestre aperte, altre con le serrande abbassate (di mille ridenti colori). Sono ovunque, e sono... come dei buchi neri dell'immaginazione! Non c'hanno nulla d'interessante, di bello, d'affascinante, sono lì per far abitare la gente. E BASTA. Sono solo dei cazzo di palazzi, non hanno una storia, non gli servono delle storie... Perché a lui si?
Perché sento le sue finestre ridere e i suoi alberi piangere e il suo pianerottolo urlare tutto quanto tutti assieme in un solo secondo con un solo sguardo? Perché?
Ma di che sto parlando? Non c'è nessun palazzo non c'è nessun palazzo non c'è nessun palazzo...
Cristo salvami tu...
Quand'è stato? Due settimane fa? Stavo andando da Nino, a comprarmi una dose (solo maria, lo giuro, qualche pillola di tanto in tanto, ma mai troppe), quando vedo passeggiare per strada un uomo anziano vestito di tutto punto. Alle due di notte. Cristo. M'avvicino incuriosito (perché?), gli chiedo se ha bisogno di qualcosa (perché?!), e lui... mi guarda con quegli occhi spalancati... come... come delle finestre azzurre.
“Si, caro giovanotto. Ho tanta, tanta fame. Non posso morire finché ho fame... ma io, non voglio la morte, caro ragazzo. Io punto all'eternità!”
Ed alza il dito, teatralmente. Io lo seguo, sollevo lo sguardo, ed eccolo.
Il Palazzo.
Vabbé, Palazzo è una parola grossa. Due piani appena, il primo chiaro il secondo rosso. Poi quella porta blu, di lamiera, al piano terra. Si dice che negli anni ottanta abbia fatto tanto freddo, qui a Rende. Un inverno rigidissimo. C'erano più senzatetto, allora, per via di una qualche crisi o chessò io, e stavano morendo come mosche, no? Per via del freddo.
Una sera, un gruppo di barboni vagava per Quattromiglia... Quei cani dell'Università avevano messo le catene a tutte le aule, non c'era un posto decente per riscaldarsi. Stavano pensando a che diamine fare, quando s'avvicinano ad un palazzetto rosso, ancora in costruzione, i piani e le fondamenta scoperte come un cranio spaccato.
Tranne il sotterraneo. E la porta di lamiera azzurra, da cui si poteva accedervi, era aperta.
Loro, naturalmente, ci entrarono e...
NONONNOBASTA!
Non può continuare così.
Non può continuare così.
Non può continuare così.
Sta crescendo! Sta crescendo! Fagocita i morti! I MIEI MORTI!

Sento ridere le finestre.
Ma non quelle della mia camera.
Cosa posso fare?

Ciò che c'è prima è ancora meno chiaro: un racconto horror, certo, scritto pure male. E' interessante, a suo modo. C'è qualcosa di misterioso che mi inorridisce e attrae contemporaneamente. Lui ne era ossessionato. Ma nient'altro che spieghi... che spieghi quel gesto.
Ma la parte finale non ha senso. Quando dice e non dice che questo palazzo esiste...
In realtà, il Palazzo c'è, e sta vicino la mia vecchia casa. Tuttora per tornare dalla spesa devo passarci accanto. E' brutto, banale, per niente affascinante.
...Buffo. Prima di leggere questo racconto, non l'avevo mai notato.



CITAZIONE
Il Palazzo - Prima stesura
C'è un palazzo vicino casa mia.
Certo, palazzo è una parola grossa: un edificio, di pianta e forma rettangolare, con un parallelepipedo più piccolo sul tetto. Direi un cappello, se qualcosa della sua noiosa architettura ricordasse una testa. Sopra la calce, semplici mattoni rossi ornavano le quattro facciate (in realtà una non la ricordo, forse non l'ho mai vista per bene, ma è troppo regolare perché fosse diversa), tranne che vicino agli angoli, lasciati chiari.
Quando mi dissero che risaliva agli anni settanta, io non ci credevo.
Sembra nuovo: persino le erbacce crescevano appena addossate al muretto del cortile, senza raggiungere il perimetro del palazzo.
Ovviamente, è disabitato. Porte (Ne ricordo una sola, rossa, di lamiera, proprio alla tua destra quando torni dallo Smile Pizza e ti addentri in un piccolo parcheggio aperto ai pedoni, una porta sola di cui non capisco lo scopo, troppo piccola e insoddisfacente per essere quella di un appartamento, forse conduceva ad una cantina o a una rimessa.) e finestre (serrande di diverso colore, tutte integre e neanche arrugginite) chiuse, sbarrate.
Girando l'angolo, portandosi dalla facciata est alla nord, un enorme albero di non specificata natura nascondeva parte del cortiletto interno, e la facciata di un altro palazzetto gemello a questo.
In effetti, bisogna proseguire per una cinquantina di metri, prima che il cortiletto fra i due palazzi si vedesse bene (scuro scuro, ma senza ombre, neanche un gatto, che eppure qui son tanti).
Il palazzo gemello è chiaramente non finito: il piano terra (se lo è), è inesistente, ridotto ai soli piloni delle fondamenta. Più in fondo, si intravvedono le paratie di un ascensore. E questa è la cosa più vicina ad un ingresso che il palazzo (o meglio, i palazzi, quello rosso e finito e quello bianco senza il primo piano, cioè il piano terra) possiede. Forse, girando ancora, raggiungendo la facciata ovest. Ma non l'ho ancora fatto, e se l'ho fatto non lo ricordo.
Girano strane voci sul palazzo. Ma è normale. Come detto è disabitato da più di un decennio, pure tre. Tutt'attorno ne sono sorti tanti, più grandi e brutti (ma a bruttezza se la gioca bene), dove dimorano soprattutto gli studenti della vicina università, studenti come me. Naturale che nascano delle voci, delle storie.
Dicono ci sia stato un omicidio (naturalmente, ogni palazzo vuoto lo è perché qualcuno c'è morto, fosse solo inagibile sarebbe noioso, ancora più noioso), ma di che omicidio si tratti, chi l'assassino, chi la vittima o le vittime, cambia da bocca in bocca. C'è una storia per ogni piano e ogni appartamento. Qualche volta pure più di una.
Tutte non ho voglia di dirle, e comunque non le ricordo. Alcune sono proprio brutte.
Ad esempio, sembra che al secondo appartamento del primo piano (di quale palazzo? Ma l'altro, non poteva essere agibile, con quel piano terra così..), una donna tradisse il marito con uno degli studenti che abitavano di sopra. Lui era meno vecchio di lei, ma più stanco. Molto stanco.
Forse, era un addetto alla neonata segreteria, un lavoro stressante. Ogni giorno, a badare alle rogne di persone tanto diverse eppure equamente stupide ed ignoranti, studenti, professori, rettori, presidi. In una stanza piccola e soffocante, proprio a sud, che quando è mezzogiorno d'estate si vorrebbe morire e invece ci sono ancora due ore da fare, perché mica ti trasferiscono alla didattica, che lavorano solo di mattina e due volte di pomeriggio. No. Non tu.
Poi un giorno torna a casa, prima (è un classico), sale al secondo piano, apre la porta del primo appartamento, trova la moglie in cucina con un diciottenne dietro, alla pecorina. E succede quel che succede.
Sembra abbia prima urlato. Poi, pianto. Poi qualcosa di strafottente nel viso del giovane gli aveva fatto rizzare i capelli il capo e il pene fra i pantaloni. Sembra gli abbia prima tagliato le mani (come? Era più vecchio, più debole. Ma che ne so, son storie alla fine, hanno una logica loro e se la disturbiamo ci dimentichiamo qual è la cosa più importante, cioè il palazzo. No, la storia stessa. Credo.), poi l'abbia stuprato, poi l'abbia lasciato sanguinare in un angolo del suo appartamento spoglio, nudo, senza intonaco né divani né librerie, figuriamoci cucine o elettrodomestici. Venne tanto da piangere, e ancora una volta, come nelle soffocanti giornate estive, voleva morire.
Ma, ancora una volta, come nelle soffocanti giornate estive, aveva da lavorare.
Allora, solleva il coltello, lo abbatte sulla donna (che faceva prima la donna? Ma perché me lo chiedete, non lo so!), una due tre cinque dodici sessantasei e cinque volte. Sentendosi ogni colpo più leggero, più... staccato dal corpo, come in un'ascensione, fra la terra dove commetteva l'omicidio, e l'albero altissimo proprio dietro, dove aveva abbandonato il ragazzo. Si, quello la, il figlio, credo.
Quando finì si guardò le mani, e si rese conto di quello che aveva fatto. Ma secondo, come dire, non la logica dei sani, che a un certo punto si ferma o il mondo attorno ti crolla tutto come un castello di carte. No, secondo la logica del palazzo. E rise, rise tantissimo. E le finestre ridevano con lui.
Dicono che non lo presero, che fuggì verso nord, a Roma, a Milano. Dicono viva una vita normale (cioè, normale per la sua nuova logica, ecco), e quando ride, altre finestre ridono con lui. Sempre.
Devo dire, questa storia m'ha incuriosito. Rispetto alle altre, credetemi, è persino credibile. Tipo quella..Cioè, ora non starò a dirla perché onestamente quando ci sono di mezzo i bambini (“Quando morirai, fratello mio? Quando morirai?” urlò la bambina alla testa. ”Quando non avrò più fame” rispose), diventa troppo, preferisco fermarmi. Però, questa..
Incuriosito, ho dato uno sguardo alla biblioteca civica. Si, i giornali vecchi, quelli locali, che su internet non ne trovi. Però, nulla. Proprio, niente di niente, manco un furto, un accoltellamento tra ubriachi... Nel bel mezzo dei moti studenteschi, quella zona doveva essere di una noia mortale.
L'unica cosa certa è che è uno dei primi palazzi di Quattromiglia, risalente prima del boom edilizio, ai primi anni della nostra giovane università. E basta. Potrei andare al catasto, dare uno sguardo lì, però non c'ho voglia.
Eppoi, non è meglio così? Con tutte queste storie, che se una fosse vera smentirebbe tutte le altre, ma così, ecco, è come se coesistessero? Tra l'altro, ora che ci penso, l'altra sera, un mio amico se n'è uscito con una bellissima... Inventata sul momento, certo (come la faccenda che il Palazzo gli stesse parlando, perché aveva voglia di ridere, come l'uomo con le finestre, ma per me era l'ultima tennet's che voglio dire, di troppo..), però non male.
Ecco, stavamo tornando dallo Smile pizza, guardavamo 'sto palazzo, bruttarello (noioso, soprattutto), bianco, con 'sta porta di lamiera verde che non si capisce a che serva... E lui se ne esce fuori con la storia che tutte le storie sul Palazzo sono vere. Tutte tutte, comprese quelle impossibili, contraddittorie. Il Palazzo le ospita, ne è un museo, un mausoleo, un tempietto greco, di quelli che accolgono la statua del Dio e basta, un sacerdote ogni tanto, se sapeva ridere. Però, poi, basta, nessun altro ci deve entrare. Dice che, in realtà, dentro è totalmente vuoto, non ci sono che i piani e 'ste finte finestre giusto per facciata. E cadaveri, cadaveri ovunque, minuziosamente accatastati uno accanto all'altro, per risparmiare spazio. Etichettati, magari. E ogni volta che s'inventa una storia, nel palazzo appare un altro cadavere, e un altro ancora e così via. Dico, ma con tutte le storie che ci sono, dovrebbe essere strapieno, dovrebbe sprofondare! E lui risponde: a che credi serva il palazzetto gemello?
A me, devo dire, la cosa che più mi fa senso sul Palazzo non è, tutto quello che v'ho detto ora. Queste, son fesserie. Ok, il fatto che sia inagibile eppure non l'abbiano abbattuto..
Però, no, è un'altra.
Quand'è che me ne han parlato.. una settimana fa? Ecco, io ci vivo pure vicino, però..
Prima dall'ora, non l'avevo mai notato.



Edited by Johnny Orca - 9/11/2012, 19:40
 
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bibina74
view post Posted on 31/10/2012, 21:01




Ciao Johnny,
pensavo di aver finito i commenti e invece mi spunti tu a bruciapelo... proprio sul gong, ma non mi tiro indietro.
Innanzi tutto per quanto riguarda la forma fai attenzione a dei là (avv. di luogo) non accentati, a dei sì non accentati e ai puntini di sospensione (sempre 3 e non 2 o 4). Però la cosa che colpisce nel tuo scritto è l'eccessivo uso dei discorsi nelle parentesi... immagino che sia una scelta stilistica in modo da instaurare una sorta di rapporto diretto con il lettore, ma se i richiami sono troppi e a volte inutili, rischi che il lettore si stufi e li salti (come ho fatto io), inoltre se in qualche modo riesci a farti seguire, qs continuo spezzare il discorso non fa che spezzare anche il ritmo e la tensione. Perciò il mio consiglio è di ridurli e cmq di inserirli solo se strettamente necessari.
Detto qs passiamo alla storia... la trama non ha un vero e proprio filo conduttore e non succedono cose particolari per le quali il lettore sta in tensione, quindi non mi sembra proprio un pezzo riuscitissimo in qs contesto, ma forse tu hai una motivazione logica ed esauriente per spiegarci le tue scelte in modo che possiamo riuscire a comprenderti.
Mi spiace ma come avrai capito non mi ha convinto del tutto, magari se qualche altro utente riuscirà a darti dei buoni consigli su come migliorarlo tienili presenti... io non saprei come indirizzarti, magari asciugherei la parte con la descrizione dei palazzi e mi concentrerei più sull'avvenimento accaduto di cui tu parli.
Spero di esserti stata d'aiuto lo stesso.
Ciao,
Sonia

dizzy dizzy dizzy
 
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Johnny Orca
view post Posted on 31/10/2012, 21:22




Il raccontino l'ho scritto in manco un'ora. Meno di due pagine, ed è la cosa più "completa" che io ricordo aver mai scritto. Iai. Essenzialmente, me lo son "scritto" in mente mentre tornavo dalla spesa, nelle vicinanze del palazzo (che esiste, assieme al suo gemelloo senza il piano terra, o il primo, l'albero e tutto il resto). A casa avrei dovuto seppellire la testa (la mia, tranquilli) nuovamente su una collezione di saggi sul Pasolini cineasta e.. no, ecco, non il 31 ottobre. Che poi è la data di scadenza del concorso. Però, figa l'idea di batterlo al computer, entrare di soppiatto, a meno di tre ore dalla fine...
Lo spellcheck era apposto (eventuali errori sintattici sono dovuti alla voce dell'Io narrante) (Chiaramente) (Cioè, è proprio così, mica commetto errori del genere, io, che sono iscritto a Lettere!), gli accenti mi sorprendono, li correggerò dopo. I puntini sospensivi mi deludono: di solito li tengo in riga. Mi sta così antipatico vederne "due" che provvedo subito a correggerli.
L'avvenimento non c'è. O forse si. E' tutto volutamente lasciato in un vagare di descrizioni ed elementi contraddittori. Speravo colpissero di più, ma forse, come tante cose, suonava meglio nella mia mente che in una pagina di Open Office.
 
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wyjkz31
view post Posted on 31/10/2012, 21:42




Mi piace l’idea del palazzo che racchiude storie misteriose e che è in qualche modo invisibile: potenzialmente è una storia che può dare molti brividi. Devo dire però che leggendo il racconto non ne ho provati molti; forse ti sei lasciato andare a troppe descrizioni estetiche del palazzo a discapito delle inquietanti vicende accadute al suo interno.
Anch’io ti consiglierei di limitare le parentesi (mi hanno fatto lo stesso effetto che hanno fatto a bibina) (eh,eh!). Darei un’occhiata anche ai tempi verbali.
 
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NicoRobinSwan
view post Posted on 31/10/2012, 22:20




Ciao!
A me il racconto è piaciuto molto, mi piace il tuo stile!! Non ho trovato un difetto il fatto che tu abbia scritto alcuni pensieri del protagonista tra parentesti, anzi mi è piaciuto come il protagonista esprima qualsiasi cosa gli passi per la testa. Le uniche cose che secondo me dovresti approfondire sono le storie riguardanti gli omicidi nel palazzo. Fossi stata in te ne avrei raccontato bene almeno un'altra, magari quella del bambino visto che il racconto deve far venire i brividi!
Comunque il racconto è molto carino, se poi contiamo anche il fatto che lo hai scritto in così poco tempo e che non lo hai revisionato come tutti noi, non c'è proprio nulla da rimproverarti!
Bravo, buona fortuna!! :)
 
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davide2283
view post Posted on 31/10/2012, 23:23




Ciao, a me nel complesso il tuo racconto è piaciuto. Ho apprezzato l'espediente del racconto un po' "colloquiale". Sugli incisi tra parentesi sono d'accordo con Sonia, a volte ci stanno mentre secondo me quelli più lunghi dovresti fare in modo di farli diventare delle frasi vere e proprie, se no spezzano troppo il discorso, va a finire che spesso leggendo l'inciso non mi ricordo più com'era cominciata la frase.
La storia non è originale ma è narrata in modo originale e questo le fa guadagnare punti. Mi ha ricordato un po' 666 Park Avenue, un telefilm che stanno facendo ora in America, che ha come protagonista un vecchio palazzo all'interno del quale succedono e sono successe in passato cose macabre e strane.
Ho notato che in alcuni punti c'è qualche incongruenza sui tempi verbali.
CITAZIONE
C'è un palazzo vicino casa mia.
Certo, palazzo è una parola grossa: un edificio, di pianta e forma rettangolare, con un parallelepipedo più piccolo sul tetto. Direi un cappello, se qualcosa della sua noiosa architettura ricordasse una testa. Sopra la calce, semplici mattoni rossi ornavano (ornano) le quattro facciate (in realtà una non la ricordo, forse non l'ho mai vista per bene, ma è troppo regolare perché fosse diversa), tranne che vicino agli angoli, lasciati chiari.
Quando mi dissero (avevano detto) che risaliva agli anni settanta, io non ci credevo (avevo creduto).
Sembra (qui può anche andar bene il presente, però secondo me se ci metti l'imperfetto potrebbe diventare la continuazione della frase precedente: Sembrava) nuovo: persino le erbacce crescevano appena addossate al muretto del cortile, senza raggiungere il perimetro del palazzo.

CITAZIONE
Allora, solleva il coltello, lo abbatte sulla donna (che faceva prima la donna? Ma perché me lo chiedete, non lo so!), una due tre cinque dodici sessantasei e cinque volte. Sentendosi ogni colpo più leggero, più... staccato dal corpo, come in un'ascensione, fra la terra dove commetteva l'omicidio, e l'albero altissimo proprio dietro, dove aveva abbandonato il ragazzo. Si, quello la, il figlio, credo.
Quando finì si guardò le mani, e si rese conto di quello che aveva fatto. Ma secondo, come dire, non la logica dei sani, che a un certo punto si ferma o il mondo attorno ti crolla tutto come un castello di carte. No, secondo la logica del palazzo. E rise, rise tantissimo. E le finestre ridevano con lui.
Dicono che non lo presero, che fuggì verso nord, a Roma, a Milano. (Hai usato il presente sempre, perchè a un certo punto usi il passato remoto?)

A parte queste cose in ogni caso il tuo racconto, nel complesso, mi è piaciuto. Bravo, in bocca al lupo!
 
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Dumah
view post Posted on 31/10/2012, 23:34




Ciao, mi scuserai, ma io non ho avvertito per nulla i “brividi”. Tutto è molto centrato sulla descrizione del palazzo più che sul resto. Inoltre, devo dire che non si capisce bene se effettivamente sia accaduto qualcosa o no. Mi duole leggere che l'hai scritto in poco tempo, perché l'idea di fondo è buona e magari poteva essere sviluppata meglio con un po' di tempo in più.

In bocca al lupo!
 
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RedRedemption
view post Posted on 1/11/2012, 00:24




Come già ti hanno detto, bisogna aggiustare un pochettino di cose nella forma (in primis certi tempi verbali). Per il resto, lo stile diretto mi piace, così come l'idea di base. Però aggiungici più storie, in quel palazzo abbandonato >:]
 
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Atropos
view post Posted on 1/11/2012, 01:15




Caro jonny, ho fatto fatica a mantenermi concentrato sulla lettura, forse causa l ora e i tremendi mostri visti stanotte che tormentono la mia mente,,, cmnq leggendolo mi sembrava di stare dentro a una lavatrice, accesa intendo e con la centrifuga pure che va,,,, il palazzo che si anima è stato solo un abbaglio invece per me questo aspetto (forse) doveva prevalere anche sugli omicidi ...in linea col periodo : crisi del mattone
 
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francesca vernazza
view post Posted on 1/11/2012, 02:15




Hai descritto bene il palazzo, anche se potevi inserire più storie che lo riguardano.
Trovo originale l'idea di rivolgerti al lettore. :D
Ti segnalo alcuni errori 1 Sembra nuovo: "persino le erbacce crescevano" hai sbagliato il tempo del verbo, va al presente. 2 E poi staccato.
Buona fortuna :D
 
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bibina74
view post Posted on 1/11/2012, 09:28




Be' Johnny, se l'hai scritto in un'ora tanto di cappello perchè io in quel lasso di tempo non riuscirei a scrivere neanche un aforisma!!!
Ma come vedi c'è qualche problematica che è stata rilevata un po' da tutti nel tuo pezzo... da quanto ho capito c'è tempo per eventuali correzioni fino al 10 novembre, quindi perchè sprecare il lavoro fatto? Dai una sistematina nel senso che ti hanno indicato anche gli altri utenti e sarà perfetto.
Vai di spellcheck con moderazione e occulatezza e vedrai che anche quello diventerà un valore aggiunto per il tuo racconto anzichè essere motivo di confusione per il lettore e di perdita di ritmo.
Dai... al lavoro!!!
Sonia bond
 
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view post Posted on 1/11/2012, 10:11

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Ciao Johnny. Si sente che le potenzialità per fare un buon racconto ce le hai. Questo. purtroppo ,come ti hanno detto le altre persone, si vede che è solo un'idea abbozzata. belle le descrizioni degli antichi e fatiscenti palazzi. Però una vera e propria storia da brivido ben strutturata non c'è. Io. ma è solo un mio parere, non trovo corrette tutte quelle parentesi.
Le ritengo superflue. Il narratore può benissimo esprimere il suo pensiero senza di esse. Concordo con Bibina che con il tempo che hai ancora davanti per dare una rivisitazione con più calma al tuo racconto, ne potrà uscire qualcosa di molto buono. Come ti hanno già detto devi arricchirlo, renderlo più chiaro e attinente al tema "brividi".
Benvenuto ed un grande in bocca al lupo!
 
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marcoad82
view post Posted on 1/11/2012, 11:31




Ciao Giovanni, hai fatto un'entrata in scena davvero all'ultimo minuto... :)
mi allineo bene o male agli altri, nel senso che ho trovato buona la tua idea di narrazione colloquiale, una scelta che adotto spesso anche io, però poco efficaci le parentesi, e le frasi troppo corte. Mi spiace dirti che la lettura è stata faticosa a causa di questi elementi, e anche che ti sei dilungato un po' troppo nella descrizione del palazzo per un racconto così corto. Userei le parentesi con moderazione, perché stancano e spezzano il ritmo. Molti pensieri li puoi esprimere in maniera più elegante utilizzando le virgole e cambiando un po' le frasi.
Sei ancora in tempo a dargli una rimaneggiata!

Ciao

Marco
 
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Lavella
view post Posted on 1/11/2012, 13:12




L'idea è carina, anch'io però mi aspettavo che accadesse qualcosa che però non è accaduto. Dovresti svilupparla meglio e soprattutto decidere se vuoi parlarne al presente o al passato. In particolare nella parte in cui descrivi il palazzo.
Esempio:
Certo, palazzo è una parola grossa: un edificio, di pianta e forma rettangolare, con un parallelepipedo più piccolo sul tetto. Direi un cappello, se qualcosa della sua noiosa architettura ricordasse una testa. Sopra la calce, semplici mattoni rossi ornavano (ornano) le quattro facciate (in realtà una non la ricordo, forse non l'ho mai vista per bene, ma è troppo regolare perché fosse(sia) diversa), tranne che vicino agli angoli, lasciati chiari.
Quando mi dissero che risaliva agli anni settanta, io non ci credevo.
Sembra nuovo: persino le erbacce crescevano (crescono) appena addossate al muretto del cortile, senza raggiungere il perimetro del palazzo.
Ovviamente, è disabitato. Porte (Ne ricordo una sola, rossa, di lamiera, proprio alla tua destra quando torni dallo Smile Pizza e ti addentri in un piccolo parcheggio aperto ai pedoni, una porta sola di cui non capisco lo scopo, troppo piccola e insoddisfacente per essere quella di un appartamento, forse conduceva ad una cantina o a una rimessa.) e finestre (serrande di diverso colore, tutte integre e neanche arrugginite) chiuse, sbarrate.
Girando l'angolo, portandosi dalla facciata est alla nord, un enorme albero di non specificata natura nascondeva (nasconde) parte del cortiletto interno, e la facciata di un altro palazzetto gemello a questo.
In effetti, bisogna proseguire per una cinquantina di metri, prima che il cortiletto fra i due palazzi si vedesse (veda)bene (scuro scuro, ma senza ombre, neanche un gatto, che eppure qui son tanti).

Inoltre non sono un'amante delle parentesi. Hai qualche giorno per risistemarlo, non lo abbandonare così!

Edited by Lavella - 1/11/2012, 19:15
 
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Elio Err
view post Posted on 1/11/2012, 15:31




Bravo, l'idea del palazzo non è male, l'ambientazione è originale. preferisco però i racconti meno descrittivi che si mantengono nel vivo dell'azione. inoltre si nota poca cura nell'uso dei tempi verbali. se leggi l'incipit, che tra l'altro dovrebbe essere la parte stilisticamente migliore per costruzione, puoi vedere che passi dal presente all'imperfetto, al passato remoto, di nuovo al presente ... e così via ...

CITAZIONE
C'è un palazzo vicino casa mia.
Certo, palazzo è una parola grossa: un edificio, di pianta e forma rettangolare, con un parallelepipedo più piccolo sul tetto. Direi un cappello, se qualcosa della sua noiosa architettura ricordasse una testa. Sopra la calce, semplici mattoni rossi ornavano le quattro facciate (in realtà una non la ricordo, forse non l'ho mai vista per bene, ma è troppo regolare perché fosse diversa), tranne che vicino agli angoli, lasciati chiari.
Quando mi dissero che risaliva agli anni settanta, io non ci credevo.
Sembra nuovo: persino le erbacce crescevano appena addossate al muretto del cortile, senza raggiungere il perimetro del palazzo.
Ovviamente, è disabitato.

 
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