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GIU' - Giuseppe De Micheli, Racconto per 'BRIVIDI'

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view post Posted on 31/10/2012, 16:23
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GIÙ

Un buco in un prato, un semplice buco in un prato in declivio: è un inghiottitoio, l’ingresso di una cavità scavata dall'acqua nel ventre della terra. Giù, sotto il prato, il buco si allarga, si ramifica, si espande, diventa meandri, colonnati, pozzi, saloni. Su è solo un buco, quello in cui si sta infilando Lisa.
Rosso, invece, sta contemplando un altro buco, un buco nella mela che ha appena addentato. Rosso è disgustato: “Cosa c’è di peggio che trovare un verme nella mela?”
“Trovarne solo mezzo.”
Lisa risponde mentre sta calandosi nel buco del prato, di lei sporgono soltanto il casco, il viso e il corpo dalla vita in su. Sembra un verme che cerca rifugio nel ventre della sua mela azzannata.
“Perché è peggio trovarne solo mezzo?”
“Perché vuol dire che l’altra metà ce l’hai in bocca.”
Lisa scompare nel buco. Ramon cala il sacco numero 7 e si accinge a scendere a sua volta.
“Blaah!!!” Rosso sputa il boccone, poi scaraventa sul prato il resto della mela. “Magari il mezzo verme l’ho già mandato giù. Blaah!”
“Magari ne hai mandato giù uno intero, bamba. Dai, cala il numero 8 e scendi.” La mela sbocconcellata è rotolata sul prato e si e’ infilata nel buco, fra le gambe di Ramon, e adesso chissà dove sarà finita. “E non piangere sulla mela buttata, pensa a quanti bei troglobi sfamerà, laggiù nella grotta.”
Gli speleologi dicono futilità per nascondere l'angoscia che li attanaglia: stanno scendendo nell'Abisso delle Nottole per cercare di recuperare i corpi di due sventurati compagni.
Ramon scompare, Rosso gli cala l’ultimo sacco, il numero 8, e si infila a sua volta nel buco. Quanti troglobi sfamerà quella mela sbocconcellata, e quanti altri si ciberanno del resto di quel vermaccio che gli ha rovinato la colazione? Giù, nelle viscere della terra, di solito arrivano solo detriti, e in piccole quantità. I detriti sono il primo anello della catena alimentare ipogea, come la luce è il primo anello di quella superficiale. Ottanta grammi di mela devono essere una gran bella massa di cibo per i troglobi, la fauna del sottosuolo, come se per noi, dal cielo, piombassero giù un migliaio di tonnellate di bistecche. “Buona mangiata bestioline; per voi, d'ora in avanti, io sarò il dio dell’abbondanza”.
Chissà che abbondanza sarebbe per gli animali delle grotte se gli lasciassero giù i corpi di Dani e di Giorgio, ma di quelli no, di quelli la fauna ipogea non si alimenterà perché gli speleologi li troveranno e li riporteranno fuori per seppellirli in un cimitero cristiano... per alimentare vermi, perché l'unica cosa certa è che ogni essere vivente è cibo per qualcun altro.
Giù.
Dopo la bocca d’ingresso, colatoi, gallerie, meandri orizzontali, forre e pozzi verticali, cunicoli, strettoie, sale, torrenti e laghi. Gli speleologi li percorrono passandosi il materiale l'un l'altro per superare i vari ostacoli.
I sacchi speleo non si portano a spalla come quelli da trekking, ma si reggono a mano, si spingono, si trascinano, si rotolano, secondo la morfologia del percorso. Nelle strettoie prima passa, o scende, la testa del gruppo, poi viene inoltrato il materiale, infine passa, o scende, la coda. Ma spesso la testa allunga il passo, i sacchi restano indietro, e la coda se li ritrova tutti sul groppone. Rosso, l’ultimo della schiera strilla a ripetizione: “Mandateli avanti, mica devo portarveli tutti io, 'sti maledetti sacchi!”.
E il macabro scopo della loro discesa non lo aiuta a rimanere calmo. Fortunatamente i primi hanno il loro daffare: devono armare i pozzi, cioè assicurare le corde di discesa e di risalita e quelle di sicurezza. Così la coda può raggiungerli e rifiatare, e che torna l’armonia nel gruppo. La speleologia è di gruppo, e nei gruppi l'armonia è tutto.
Sono arrivati al Pozzo Grande, 80 metri di profondità, verticali.
Ancorato ad una solida stalagmite c'è ancora l’armamento di Dani e Giorgio. Indica il percorso che hanno seguito gli sfortunati speleologi. Senza quello la prima spedizione di soccorso non avrebbe ritrovato la fessura che conduce al “ramo del fango” (così lo avevano battezzato). Nessuno lo conosceva prima che loro lo trovassero. Dani e Giorgio ci erano arrivati probabilmente per caso: uno dei due, giunto alla fine della corda di discesa, si sarà agganciato ad una parete preparando l’armo per la seconda frazione, proprio all’imbocco di una fessura diagonale che scendeva verso una spaccatura. Vollero esplorarla. Fu un colpo di sfortuna. Un metro più in là, o di qua o sopra o sotto e non l’avrebbero visto, sarebbero scesi in fondo al pozzo seguendo la via normale e sarebbero ancora vivi.
Ma avevano trovato la fessura, l'avevano percorsa, poi si erano inoltrati in una galleria inesplorata straordinariamente umida e piena di argilla che conservava ancora le loro tracce. E poi? La galleria si concludeva con un ripido scivolo che conduceva a un lago di fondo. La spedizione di soccorso non aveva trovato altre uscite, nè altre traccie degli scomparsi, nè i loro resti.
E ora Rosso e Lisa e Ramon e gli altri accompagnano gli speleo sub incaricati di scandagliare il lago, l'unico posto in cui avrebbero potuto finire i due speleologi. Man mano che procedono la galleria diventa sempre più umida e gocciolante, una pioggia incessante che trasforma in un rigagnolo prima, in una palude di fango poi, il pavimento.
Il largo condotto finale è molto inclinato, un vero e proprio scivolo, coperto da un infernale, spesso strato di argilla viscida e sdrucciolevole che rende facile la discesa, ma impossibile la risalita senza mezzi artificiali. C'è una grossa stalagmite che fa da ancoraggio naturale, risparmiando la fatica di piantare gli spit, ma attorno alla stalagmite non c'è traccia di armamento. Sembra a tutti impossibile che Dani e Giorgio siano scesi senza armare lo scivolo. Rosso avvolge attorno alla stalagmite una corda statica bloccandola con un elegante gassa e comincia a scendere tenendosi alla corda per frenare la velocità di discesa. Sa, perché ha partecipato alla prima spedizione di soccorso, che prima del del lago sotterraneo c'è solo un breve terrazzino, anch’esso pieno d’argilla, e che a lasciarsi andare scivolando si finirebbe dritti nell'acqua.
Ramon questa volta scende per ultimo e ci mette parecchio tempo per osservare la strana argilla. E' abbondante come non ne ha mai vista prima . Il tetto gocciola incessantemente da una miriade di piccole stalattiti a torciglione, lo strato di fango brilla riflettendo la luce per il velo d’acqua che le scorre sopra. Appena sceso lascia la corda, che viene quasi inghiottita dall'argilla.
Sul terrazzino c'è poco spazio, la sala in cui si trova il lago e’ un semplice imbuto con le pareti inclinate, il tetto è pieno di stalattiti che gocciolano incessantemente, non c'è nessuna stalagmite perché le gocce cadenti vengono inghiottite dall’argilla. Tutt’attorno alla superficie del lago pochissimi spazi orizzontali. Rosso impreca in continuazione contro l’argilla. Sta ricercando il calcare duro da perforare per ancorare le luci d’orientamento dei sub, luci al carburo, bianche luminosissime visibili anche da grandi profondità che daranno ai sub costante indicazione della direzione in cui si trova la superficie. Rosso stende anche le corde di sicurezza per assicurare i sacchi del materiale, e l’argilla spessa rende difficile il lavoro. Il lago è una superficie cupa, increspata incessantemente dai cerchi concentrici delle gocce di pioggia che cadono dalle stalattiti dalla volta. Sembra molto profondo, la luce penetra pochissimo sotto la superficie, la rende brillante e trasparente per pochi centimetri, trasformando le sospensioni in uno sciame di microscopiche lucciole, ma attorno alle pozze di luce l’oscurità si prende la rivincita. Anche la volta si perde in una lontananza spettrale. Finalmente le luci al carburo sono piazzate, due sub finiscono di calzare le pinne e si immergono con infinita cautela per non sollevare fanghiglia e scompaiono. Altri due rimangono fuori pronti ad intervenire in caso di emergenza.
Rosso, Lisa e agli altri speleologi si sistemano sui vari terrazzini. A loro non rimane che aspettare. Ramon invece esamina accuratamente la onnipresente argilla con un piccolo microscopio da campo che ha portato appositamente. La prima spedizione di soccorso gli aveva riferito che quell'argilla era particolarmente abrasiva, che aveva logorato le corde d'armamento e le suole degli stivali tanto che tutto il materiale usato aveva dovuto essere buttato via.
Informa i compagni di quello che sta scoprendo: “E' incredibile la quantità di batteri che popolano questa argilla. E sono belli grossi, anche”.
Deposita gocce d'argilla in capsule di nutrienti vari e le esamina al microscopio.
“Ehi, che appetito! Si riproducono a vista d'occhio appena messi a contatto con l'agar.”
Le lampade dei sub disegnano cerchi sempre più stretti perché scendono a spirale lungo le pareti del grande imbuto stando ben attenti a non toccarle per non intorbidare l'acqua con la fanghiglia. Cercano anfratti in cui possano essere trovarsi i corpi dei due sfortunati speleologi.
“O mioddio! Si mangiano anche le capsule. Il vetro no, i vetrini sono ancora intatti, ma il plexiglas delle capsule deve essere una leccornia per loro.”
Comincia freneticamente a staccare campioncini di ogni materiale che ha a disposizione, tessuto dal suo fazzoletto, il nailon delle corde, un pezzo d'elastico di caucciù rimastogli in tasca e li immerge nell'argilla per poi esaminarli al microscopio.
Le luci dei sub si fanno sempre più flebili man mano che aumenta la profondità, fino a sparire quasi del tutto. Ora sono due miseri puntini di luce che eseguono cerchi strettissimi. Devono essere prossimi al fondo del lago.
La voce di Ramon sembra scandire la loro discesa: “Ma questi batteri mangiano tutto! L'elastico se ne è andato.”
“Anche il cotone del mio fazzoletto: l'han tutto digerito.”
La sua voce si alza di tono: “Secernono enzimi che dissolvono gomma, tessuti e plastica.”
E ora urla di allarme: “Andiamocene immediatamente. Richiamate i sub. Risalita d'urgenza. Mangiano anche il nailon delle corde. Ecco perché non abbiamo trovato l'armo di Dani e Giorgio. Se lo sono mangiati i batteri. Via, via, subito da qui, prima che distruggano anche il nostro.”
Ad un tratto un grido: “Il lago cala.”
“Mio Dio, è un sifone! Si sta svuotando!”
Era vero, il livello dell'acqua stava calando rapidamente e la superficie appariva in circolazione antioraria. Si stava formando un gorgo.
“Calate subito le corde, che i sub le afferrino appena emergono.”
Le luci dei sub riappaiono e ingrandiscono, non descrivono più dei cerchi, ma oscillano qua e là. Evidentemente cercano di risalire verticalmente per riemergere e lottano contro la corrente discendente. Una luce scompare, l'altra appare brevemente in superficie. E' un sub che tenta di aggrapparsi alle sponde, ma sono molto scivolose e ricade in acqua. Viene risucchiato in giù, ora la sua luce rotea su sé stessa, è preda del gorgo. Comincia ad apparire il fondo del lago: per pochi istanti il sub cerca di puntellarsi con le gambe a squadra contro le sponde mentre l'acqua sparisce e sotto di lui appare un foro, palpitante come una valvola cardiaca. Le pareti franano e il sub è inghiottito dal buco che, immediatamente dopo, si richiude.
Poi, sopra, sotto e attorno al resto della squadra degli speleologi rimasti abbarbicati ai terrazzini in alto, tutto il fango d'argilla si mette in moto, grosse bolle si gonfiano sotto i loro piedi, li avvolgono e li trascinano verso il basso. Sotto la breve cengia la pendenza si accentua diventando insuperabile per chi è privo di appigli. Qualcuno si aggrappa al corrimano approntato da Rosso, ma il peso del fango fa loro mollare la presa. Gli uomini annaspano e si inarcano e graffiano il fango, ma scivolano inesorabilmente verso il basso e con loro tutto il materiale non agganciato agli spit. Grosse palle d'argilla si gonfiano, li avvolgono, li capovolgono, li sospingono in giù. Alla fine si vedono solo masse di escrescenze che rotolano in basso, dalle quali spuntano gambe e braccia e teste in agitazione frenetica e urla di terrore e disperazione. La valvola di fondo si riapre per inghiottire uno alla volta i bubboni e il loro contenuto. Il tappo di fondo, alla fine, si chiude definitivamente e l'acqua che gocciola dalla volta e quella che scorre lungo le pareti, si raccoglie nuovamente innescando il processo che porterà, alla fine, al riempimento del lago.
Aggrappati agli spit rimangono solo Ramon, Lisa e Rosso. Quest'ultimo, ha avuto la prontezza di agganciarsi ad uno di essi e di afferrare Lisa prima che venisse portata via da uno dei mortali gonfiori di fango. Ramon si era mantenuto assicurato per non scivolare nel lago durante la raccolta dei campioni d'argilla. Testimoni impotenti della tragedia dei loro compagni hanno urlato d'orrore per tutto il tempo, breve e infinito, della loro agonia.
Infine cade il silenzio, rotto solo dal picchiettio continuo delle gocce d'acqua che cadono sull'argilla.
Rosso è il più vicino allo scivolo d'ingresso dalla sala. Assicura Lisa a uno spit e risale cautamente per raggiungere l'estremità dell'armamento di sicurezza ancorato alla grossa stalagmite. A grandi bracciate toglie l'argilla per mettere a nudo la roccia e poggiare gli stivali su terreno solido, e nello stesso tempo per rintracciare la corda statica che rappresenta la loro unica possibilità di risalita. Ma non la trova. Sotto di lui si formarono nuovi globi che tentano di sollevarlo, rovesciarlo e trascinarlo in basso. Altrettante palle si gonfiano attorno a Lisa e a Ramon che si difendono a colpi di braccia disfacendole. Dal basso cominciano a formarsi altre bolle che iniziano a risalire il pendio. Formano un'onda che sale fino a loro, li trascina, li supera, poi rifluisce verso il basso e li strattona giù. Le imbragature, i cordini e gli spit tengono, ma una seconda onda si sta formando e comincia a risalire.
“E' una enorme colonia di batteri intelligente,” urla Ramon “agiscono in coordinazione.”
“Cosa ci sarà sotto il fondo del lago?”
“Lo stomaco della colonia, immagino.”
La seconda ondata intanto li ha risospinti in alto fino al limite della lunghezza dei cordini. Poi rifluisce. Il peso di questa seconda ondata è spaventoso. La fanghiglia di batteri si è addensata espellendo l'acqua e ora ha la consistenza della creta, si accumula addosso ai corpi aumentando il carico sugli ancoraggi che, prima o poi, saranno costretti a cedere.
“Trova questa benedetta statica” urla Ramon a Rosso, che scuote la testa. “Non c'è più. Vedo la stalagmite, ma non c'è traccia dell'armamento. Se lo sono mangiato. Siamo intrappolati qui dentro.”
“Si stanno mangiando anche gli stivali e le tute. Fra poco, anche se gli spit tengono, ci denuderanno. Speriamo solo che il freddo ci addormenti prima che comincino a mangiarci vivi.”
Lisa singhiozza: “Altro che la tua mela, Rosso. Noi sì che siamo la loro abbondanza.”
La terza ondata di argilla/creta si sta avvicinando.
“La mela! Il verme! Facciamoci sputare fuori.” Rosso fruga freneticamente nel sacco più vicino. “Eccoli!” grida trionfante. Estrae i barattoli del carburo e comincia a spargerne i pezzi sul fango tutt'attorno. A contatto con l'acqua il carburo sviluppa acetilene che si incendia. Vampate di luce bianchissima avvolgono i tre speleologi mentre gli scoppi e i sibili della reazione riempiono la grotta di echi. Sembra un urlo di dolore. Anche Lisa e Ramon spargono carburo a piene mani. L'ondata di creta li raggiunge. Ora è quasi solida, e una seconda ondata si sta già formando sotto di loro, un terzo ribollire, parossistico si annuncia appena più in basso.
“Tossisce, ci sputa.” urla Ramon. Sganciamoci e risaliamo, l'argilla è ormai creta consistente.”
“Sei pazzo! Se ci sganciamo ci inghiotte.”
“No! Ci sta sputando fuori.”
Era vero. Le ondate di argilla consolidata li stavano sospingendo in alto. Tagliano i cordini e salgono, due passi in alto e uno sprofondando in basso finché una nuova onda li raggiunge e li sospinge nuovamente. Cercano di puntellarsi l'un l'altro. I cavalloni di creta proseguono anche nello scivolo d'ingresso e li spingono sempre più su finché Rosso riesce ad aggrapparsi alla stalagmite e Lisa e Ramon alle sua gambe. Un ultimo sforzo ed escono dalla fanghiglia. Cominciano a correre, ansimano, ripercorrono la galleria guardandosi indietro aspettandosi una ondata di fango che li ringhiotta. Ma qui c'è solo la normale fanghiglia, percorsa da un rigagnolo d'acqua. Cercano di sciacquarsi gli stivali, di togliersi di dosso il fango batterico e di lenire i bruciori delle mani ustionate dal carburo. Uno stivale di Lisa sta perdendo la suola. Rosso gliela lega avvolgendole attorno un fazzoletto. Tutti gli stivali appaiono malconci e prossimi a disfarsi, le tute sono corrose e smangiate qua e là.
Arrivano al Pozzo Grande. La corda di risalita, con le sue staffe è al suo posto, dietro non c'è nessuna ondata di fango che li insegue. Respirano di sollievo.
Lisa aggancia i bloccanti alla corda di risalita, poggia il piede nella staffa e finalmente sorride:
“Non sono mai stata così felice di essere un verme.”



Edited by mezzomatto - 31/10/2012, 17:40
 
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NicoRobinSwan
view post Posted on 31/10/2012, 16:32




Ciao!
Per eliminarla devi cliccare su modifica e poi cancellarla! Ho appena finito di rileggere per la terza volta il tuo racconto e devo dire che mi è piaciuto. E' molto carino, forse però è un po' troppo tecnico e lungo per i miei gusti (personalissimi). Secondo me avresti potuto renderlo un pochino meno tecnico inserendo qualcosa che creasse empatia tra i protagonisti del racconto ed il lettore.
Anche io avevo notato un po' troppe ripetizioni, ma ho letto che nei commenti che questo è il tuo stile, quindi niente da dire (pensavo fossero errori a cui non avevi fatto caso).
Buona fortuna :)


Edited by NicoRobinSwan - 31/10/2012, 23:37
 
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bibina74
view post Posted on 31/10/2012, 16:36




Ciao Mezzomatto,
scusami ma il tuo racconto purtroppo non mi ha procurato nessun tipo di brivido... anzi la parte di descrizione degli speleologi l'ho trovata un po' pesante da leggere. Se il tema fosse stato quello di un racconto generico, di sicuro l'avrei apprezzato di più, ma nel contesto in questione non mi ha preso a sufficienza. Forse sono io che non ho capito, sentiamo cosa ne pensano gli altri... magari tra un po' lo rileggo e ti so dire.
Scusami.
Ciao,
Sonia
 
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davide2283
view post Posted on 31/10/2012, 17:06




CITAZIONE
Un buco in un prato, un semplice buco in un prato in declivio: è un inghiottitoio, l’ingresso di una cavità scavata dall'acqua nel ventre della terra. Giù, sotto il prato, il buco si allarga, si ramifica, si espande, diventa meandri, colonnati, pozzi, saloni. Su è solo un buco, quello in cui si sta infilando Lisa.
Rosso, invece, sta contemplando un altro buco, un buco nella mela che ha appena addentato. Rosso è disgustato: “Cosa c’è di peggio che trovare un verme nella mela?”
“Trovarne solo mezzo.”
Lisa risponde mentre sta calandosi nel buco del prato, di lei sporgono soltanto il casco, il viso e il corpo dalla vita in su. Sembra un verme che cerca rifugio nel ventre della sua mela azzannata.
“Perché è peggio trovarne solo mezzo?”
“Perché vuol dire che l’altra metà ce l’hai in bocca.”
Lisa scompare nel buco. Ramon cala il sacco numero 7 e si accinge a scendere a sua volta.
“Blaah!!!” Rosso sputa il boccone, poi scaraventa sul prato il resto della mela. “Magari il mezzo verme l’ho già mandato giù. Blaah!”
“Magari ne hai mandato giù uno intero, bamba. Dai, cala il numero 8 e scendi.” La mela sbocconcellata è rotolata sul prato e si e’ infilata nel buco, fra le gambe di Ramon, e adesso chissà dove sarà finita. “E non piangere sulla mela buttata, pensa a quanti bei troglobi sfamerà, laggiù nella grotta.”
Gli speleologi dicono futilità per nascondere l'angoscia che li attanaglia: stanno scendendo nell'Abisso delle Nottole per cercare di recuperare i corpi di due sventurati compagni.
Ramon scompare, Rosso gli cala l’ultimo sacco, il numero 8, e si infila a sua volta nel buco. Quanti troglobi sfamerà quella mela sbocconcellata, e quanti altri si ciberanno del resto di quel vermaccio che gli ha rovinato la colazione? Giù, nelle viscere della terra, di solito arrivano solo detriti, e in piccole quantità. I detriti sono il primo anello della catena alimentare ipogea, come la luce è il primo anello di quella superficiale. Ottanta grammi di mela devono essere una gran bella massa di cibo per i troglobi, la fauna del sottosuolo, come se per noi, dal cielo, piombassero giù un migliaio di tonnellate di bistecche. “Buona mangiata bestioline; per voi, d'ora in avanti, io sarò il dio dell’abbondanza”.
Chissà che abbondanza sarebbe per gli animali delle grotte se gli lasciassero giù i corpi di Dani e di Giorgio, ma di quelli no, di quelli la fauna ipogea non si alimenterà perché gli speleologi li troveranno e li riporteranno fuori per seppellirli in un cimitero cristiano... per alimentare vermi, perché l'unica cosa certa è che ogni essere vivente è cibo per qualcun altro.
Giù.
Dopo la bocca d’ingresso, colatoi, gallerie, meandri orizzontali, forre e pozzi verticali, cunicoli, strettoie, sale, torrenti e laghi. Gli speleologi li percorrono passandosi il materiale l'un l'altro per superare i vari ostacoli.
I sacchi speleo non si portano a spalla come quelli da trekking, ma si reggono a mano, si spingono, si trascinano, si rotolano, secondo la morfologia del percorso. Nelle strettoie prima passa, o scende, la testa del gruppo, poi viene inoltrato il materiale, infine passa, o scende, la coda. Ma spesso la testa allunga il passo, i sacchi restano indietro, e la coda se li ritrova tutti sul groppone. Rosso, l’ultimo della schiera strilla a ripetizione: “Mandateli avanti, mica devo portarveli tutti io, 'sti maledetti sacchi!”.
E il macabro scopo della loro discesa non lo aiuta a rimanere calmo. Fortunatamente i primi hanno il loro daffare: devono armare i pozzi, cioè assicurare le corde di discesa e di risalita e quelle di sicurezza. Così la coda può raggiungerli e rifiatare, e che torna l’armonia nel gruppo. La speleologia è di gruppo, e nei gruppi l'armonia è tutto.
Sono arrivati al Pozzo Grande, 80 metri di profondità, verticali.
Ancorato ad una solida stalagmite c'è ancora l’armamento di Dani e Giorgio. Indica il percorso che hanno seguito gli sfortunati speleologi. Senza quello la prima spedizione di soccorso non avrebbe ritrovato la fessura che conduce al “ramo del fango” (così lo avevano battezzato). Nessuno lo conosceva prima che loro lo trovassero. Dani e Giorgio ci erano arrivati probabilmente per caso: uno dei due, giunto alla fine della corda di discesa, si sarà agganciato ad una parete preparando l’armo per la seconda frazione, proprio all’imbocco di una fessura diagonale che scendeva verso una spaccatura. Vollero esplorarla. Fu un colpo di sfortuna. Un metro più in là, o di qua o sopra o sotto e non l’avrebbero visto, sarebbero scesi in fondo al pozzo seguendo la via normale e sarebbero ancora vivi.
Ma avevano trovato la fessura, l'avevano percorsa, poi si erano inoltrati in una galleria inesplorata straordinariamente umida e piena di argilla che conservava ancora le loro tracce. E poi? La galleria si concludeva con un ripido scivolo che conduceva a un lago di fondo. La spedizione di soccorso non aveva trovato altre uscite, nè altre traccie degli scomparsi, nè i loro resti.
E ora Rosso e Lisa e Ramon e gli altri accompagnano gli speleo sub incaricati di scandagliare il lago, l'unico posto in cui avrebbero potuto finire i due speleologi. Man mano che procedono la galleria diventa sempre più umida e gocciolante, una pioggia incessante che trasforma in un rigagnolo prima, in una palude di fango poi, il pavimento.
Il largo condotto finale è molto inclinato, un vero e proprio scivolo, coperto da un infernale, spesso strato di argilla viscida e sdrucciolevole che rende facile la discesa, ma impossibile la risalita senza mezzi artificiali. C'è una grossa stalagmite che fa da ancoraggio naturale, risparmiando la fatica di piantare gli spit, ma attorno alla stalagmite non c'è traccia di armamento. Sembra a tutti impossibile che Dani e Giorgio siano scesi senza armare lo scivolo. Rosso avvolge attorno alla stalagmite una corda statica bloccandola con un elegante gassa e comincia a scendere tenendosi alla corda per frenare la velocità di discesa. Sa, perché ha partecipato alla prima spedizione di soccorso, che prima del del lago sotterraneo c'è solo un breve terrazzino, anch’esso pieno d’argilla, e che a lasciarsi andare scivolando si finirebbe dritti nell'acqua.
Ramon questa volta scende per ultimo e ci mette parecchio tempo per osservare la strana argilla. E' abbondante come non ne ha mai vista prima . Il tetto gocciola incessantemente da una miriade di piccole stalattiti a torciglione, lo strato di fango brilla riflettendo la luce per il velo d’acqua che le scorre sopra. Appena sceso lascia la corda, che viene quasi inghiottita dall'argilla.
Sul terrazzino c'è poco spazio, la sala in cui si trova il lago e’ un semplice imbuto con le pareti inclinate, il tetto è pieno di stalattiti che gocciolano incessantemente, non c'è nessuna stalagmite perché le gocce cadenti vengono inghiottite dall’argilla. Tutt’attorno alla superficie del lago pochissimi spazi orizzontali. Rosso impreca in continuazione contro l’argilla. Sta ricercando il calcare duro da perforare per ancorare le luci d’orientamento dei sub, luci al carburo, bianche luminosissime visibili anche da grandi profondità che daranno ai sub costante indicazione della direzione in cui si trova la superficie. Rosso stende anche le corde di sicurezza per assicurare i sacchi del materiale, e l’argilla spessa rende difficile il lavoro. Il lago è una superficie cupa, increspata incessantemente dai cerchi concentrici delle gocce di pioggia che cadono dalle stalattiti dalla volta. Sembra molto profondo, la luce penetra pochissimo sotto la superficie, la rende brillante e trasparente per pochi centimetri, trasformando le sospensioni in uno sciame di microscopiche lucciole, ma attorno alle pozze di luce l’oscurità si prende la rivincita. Anche la volta si perde in una lontananza spettrale. Finalmente le luci al carburo sono piazzate, due sub finiscono di calzare le pinne e si immergono con infinita cautela per non sollevare fanghiglia e scompaiono. Altri due rimangono fuori pronti ad intervenire in caso di emergenza.
Rosso, Lisa e agli altri speleologi si sistemano sui vari terrazzini. A loro non rimane che aspettare. Ramon invece esamina accuratamente la onnipresente argilla con un piccolo microscopio da campo che ha portato appositamente. La prima spedizione di soccorso gli aveva riferito che quell'argilla era particolarmente abrasiva, che aveva logorato le corde d'armamento e le suole degli stivali tanto che tutto il materiale usato aveva dovuto essere buttato via.
Informa i compagni di quello che sta scoprendo: “E' incredibile la quantità di batteri che popolano questa argilla. E sono belli grossi, anche”.
Deposita gocce d'argilla in capsule di nutrienti vari e le esamina al microscopio.
“Ehi, che appetito! Si riproducono a vista d'occhio appena messi a contatto con l'agar.”
Le lampade dei sub disegnano cerchi sempre più stretti perché scendono a spirale lungo le pareti del grande imbuto stando ben attenti a non toccarle per non intorbidare l'acqua con la fanghiglia. Cercano anfratti in cui possano essere trovarsi i corpi dei due sfortunati speleologi.
“O mioddio! Si mangiano anche le capsule. Il vetro no, i vetrini sono ancora intatti, ma il plexiglas delle capsule deve essere una leccornia per loro.”
Comincia freneticamente a staccare campioncini di ogni materiale che ha a disposizione, tessuto dal suo fazzoletto, il nailon delle corde, un pezzo d'elastico di caucciù rimastogli in tasca e li immerge nell'argilla per poi esaminarli al microscopio.
Le luci dei sub si fanno sempre più flebili man mano che aumenta la profondità, fino a sparire quasi del tutto. Ora sono due miseri puntini di luce che eseguono cerchi strettissimi. Devono essere prossimi al fondo del lago.
La voce di Ramon sembra scandire la loro discesa: “Ma questi batteri mangiano tutto! L'elastico se ne è andato.”
“Anche il cotone del mio fazzoletto: l'han tutto digerito.”
La sua voce si alza di tono: “Secernono enzimi che dissolvono gomma, tessuti e plastica.”
E ora urla di allarme: “Andiamocene immediatamente. Richiamate i sub. Risalita d'urgenza. Mangiano anche il nailon delle corde. Ecco perché non abbiamo trovato l'armo di Dani e Giorgio. Se lo sono mangiati i batteri. Via, via, subito da qui, prima che distruggano anche il nostro.”
Ad un tratto un grido: “Il lago cala.”
“Mio Dio, è un sifone! Si sta svuotando!”
Era vero, il livello dell'acqua stava calando rapidamente e la superficie appariva in circolazione antioraria. Si stava formando un gorgo.
“Calate subito le corde, che i sub le afferrino appena emergono.”
Le luci dei sub riappaiono e ingrandiscono, non descrivono più dei cerchi, ma oscillano qua e là. Evidentemente cercano di risalire verticalmente per riemergere e lottano contro la corrente discendente. Una luce scompare, l'altra appare brevemente in superficie. E' un sub che tenta di aggrapparsi alle sponde, ma sono molto scivolose e ricade in acqua. Viene risucchiato in giù, ora la sua luce rotea su sé stessa, è preda del gorgo. Comincia ad apparire il fondo del lago: per pochi istanti il sub cerca di puntellarsi con le gambe a squadra contro le sponde mentre l'acqua sparisce e sotto di lui appare un foro, palpitante come una valvola cardiaca. Le pareti franano e il sub è inghiottito dal buco che, immediatamente dopo, si richiude.
Poi, sopra, sotto e attorno al resto della squadra degli speleologi rimasti abbarbicati ai terrazzini in alto, tutto il fango d'argilla si mette in moto, grosse bolle si gonfiano sotto i loro piedi, li avvolgono e li trascinano verso il basso. Sotto la breve cengia la pendenza si accentua diventando insuperabile per chi è privo di appigli. Qualcuno si aggrappa al corrimano approntato da Rosso, ma il peso del fango fa loro mollare la presa. Gli uomini annaspano e si inarcano e graffiano il fango, ma scivolano inesorabilmente verso il basso e con loro tutto il materiale non agganciato agli spit. Grosse palle d'argilla si gonfiano, li avvolgono, li capovolgono, li sospingono in giù. Alla fine si vedono solo masse di escrescenze che rotolano in basso, dalle quali spuntano gambe e braccia e teste in agitazione frenetica e urla di terrore e disperazione. La valvola di fondo si riapre per inghiottire uno alla volta i bubboni e il loro contenuto. Il tappo di fondo, alla fine, si chiude definitivamente e l'acqua che gocciola dalla volta e quella che scorre lungo le pareti, si raccoglie nuovamente innescando il processo che porterà, alla fine, al riempimento del lago.
Aggrappati agli spit rimangono solo Ramon, Lisa e Rosso. Quest'ultimo, ha avuto la prontezza di agganciarsi ad uno di essi e di afferrare Lisa prima che venisse portata via da uno dei mortali gonfiori di fango. Ramon si era mantenuto assicurato per non scivolare nel lago durante la raccolta dei campioni d'argilla. Testimoni impotenti della tragedia dei loro compagni hanno urlato d'orrore per tutto il tempo, breve e (ma) infinito, della loro agonia.
Infine cade il silenzio, rotto solo dal picchiettio continuo delle gocce d'acqua che cadono sull'argilla.
Rosso è il più vicino allo scivolo d'ingresso dalla sala. Assicura Lisa a uno spit e risale cautamente per raggiungere l'estremità dell'armamento di sicurezza ancorato alla grossa stalagmite. A grandi bracciate toglie l'argilla per mettere a nudo la roccia e poggiare gli stivali su terreno solido, e nello stesso tempo per rintracciare la corda statica che rappresenta la loro unica possibilità di risalita. Ma non la trova. Sotto di lui si formarono nuovi globi che tentano di sollevarlo, rovesciarlo e trascinarlo in basso. Altrettante palle si gonfiano attorno a Lisa e a Ramon che si difendono a colpi di braccia disfacendole. Dal basso cominciano a formarsi altre bolle che iniziano a risalire il pendio. Formano un'onda che sale fino a loro, li trascina, li supera, poi rifluisce verso il basso e li strattona giù. Le imbragature, i cordini e gli spit tengono, ma una seconda onda si sta formando e comincia a risalire.
“E' una enorme colonia di batteri intelligente,” urla Ramon “agiscono in coordinazione.”
“Cosa ci sarà sotto il fondo del lago?”
“Lo stomaco della colonia, immagino.”
La seconda ondata intanto li ha risospinti in alto fino al limite della lunghezza dei cordini. Poi rifluisce. Il peso di questa seconda ondata è spaventoso. La fanghiglia di batteri si è addensata espellendo l'acqua e ora ha la consistenza della creta, si accumula addosso ai corpi aumentando il carico sugli ancoraggi che, prima o poi, saranno costretti a cedere.
“Trova questa benedetta statica” urla Ramon a Rosso, che scuote la testa. “Non c'è più. Vedo la stalagmite, ma non c'è traccia dell'armamento. Se lo sono mangiato. Siamo intrappolati qui dentro.”
“Si stanno mangiando anche gli stivali e le tute. Fra poco, anche se gli spit tengono, ci denuderanno. Speriamo solo che il freddo ci addormenti prima che comincino a mangiarci vivi.”
Lisa singhiozza: “Altro che la tua mela, Rosso. Noi sì che siamo la loro abbondanza.”
La terza ondata di argilla/creta si sta avvicinando.
“La mela! Il verme! Facciamoci sputare fuori.” Rosso fruga freneticamente nel sacco più vicino. “Eccoli!” grida trionfante. Estrae i barattoli del carburo e comincia a spargerne i pezzi sul fango tutt'attorno. A contatto con l'acqua il carburo sviluppa acetilene che si incendia. Vampate di luce bianchissima avvolgono i tre speleologi mentre gli scoppi e i sibili della reazione riempiono la grotta di echi. Sembra un urlo di dolore. Anche Lisa e Ramon spargono carburo a piene mani. L'ondata di creta li raggiunge. Ora è quasi solida, e una seconda ondata si sta già formando sotto di loro, un terzo ribollire, parossistico si annuncia appena più in basso.
“Tossisce, ci sputa.” urla Ramon. Sganciamoci e risaliamo, l'argilla è ormai creta consistente.”
“Sei pazzo! Se ci sganciamo ci inghiotte.”
“No! Ci sta sputando fuori.”
Era vero. Le ondate di argilla consolidata li stavano sospingendo in alto. Tagliano i cordini e salgono, due passi in alto e uno sprofondando in basso finché una nuova onda li raggiunge e li sospinge nuovamente. Cercano di puntellarsi l'un l'altro. I cavalloni di creta proseguono anche nello scivolo d'ingresso e li spingono sempre più su finché Rosso riesce ad aggrapparsi alla stalagmite e Lisa e Ramon alle sua gambe. Un ultimo sforzo ed escono dalla fanghiglia. Cominciano a correre, ansimano, ripercorrono la galleria guardandosi indietro aspettandosi una ondata di fango che li ringhiotta. Ma qui c'è solo la normale fanghiglia, percorsa da un rigagnolo d'acqua. Cercano di sciacquarsi gli stivali, di togliersi di dosso il fango batterico e di lenire i bruciori delle mani ustionate dal carburo. Uno stivale di Lisa sta perdendo la suola. Rosso gliela lega avvolgendole attorno un fazzoletto. Tutti gli stivali appaiono malconci e prossimi a disfarsi, le tute sono corrose e smangiate qua e là.
Arrivano al Pozzo Grande. La corda di risalita, con le sue staffe è al suo posto, dietro non c'è nessuna ondata di fango che li insegue. Respirano di sollievo.
Lisa aggancia i bloccanti alla corda di risalita, poggia il piede nella staffa e finalmente sorride:
“Non sono mai stata così felice di essere un verme.”

Ciao, ti ho evidenziato le tantissime ripetizioni presenti nel tuo racconto. Veramente troppe, mi dispiace, per far sì che il racconto sia scorrevole e bello da leggere. Già il tema è piuttosto singolare (si vede che sei molto tecnico sulla speleologia) per un profano, e anche per questo ho fatto fatica a mantenere desta l'attenzione, poi tutte queste ripetizioni (soprattutto delle parole buco, argilla, stivali, fango) rendono il tutto veramente difficile da leggere e digerire.
Mi dispiace, non mi ha convinto molto, non mi sono appassionato alla speleologia leggendolo...né ho provato brividi, al di là delle già citate ripetizioni ci sono troppi tecnicismi che rendono il tutto troppo "freddo" e non coinvolgono chi legge (io, in questo caso).
In bocca al lupo, ciao!
 
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view post Posted on 31/10/2012, 17:12

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complimenti per il tuo racconto, mezzomatto! Mi sa proprio che non lo sei affatto... Battuta scontata. Comunque sei l'unico che ha affrontato questo tema "subacqueo". Bella la trama e lo stile descrittivo. Bella la battuta finale di Linda, quando è sicura di essere salva. Sei un sub? Te lo chiedo perchè hai un linguaggio così preciso, oserei dire tecnico, che io non saprei usare. L'idea di fondo è Shakespeariana: meglio che siamo noi a mangiare i vermi, perchè, un giorno saranno sicuramente loro a mangiare noi.
Però sei molto più ottimista del "maestro". nel tuo racconto non c'è rasseganzione, ma una bella lotta per la sopravvivenza. Complimentoni!
Se posso farti un piccolo appunto: O mmiodio! Scriverei: Oh mio Dio! Tutto qua.
Benvenuto ed un grande in bocca al lupo!
Pat.
 
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bibina74
view post Posted on 31/10/2012, 17:29




Patrizia scusa, ma dove hai letto che si parla di sub?
I protagonisti sono speleologi, cioè persone che vanno nelle grotte, sotto terra, ecco perchè tutti qs richiami alla terra, all'argilla e alle buche.
Mi sono forse persa qcsa io???
wub wub
 
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marcoad82
view post Posted on 31/10/2012, 17:34




Evidentemente ti sei persa qualcosa perché i sub ci sono eccome. Non commento ora perchè non ho tempo, però ti anticipo che mi è piaciuto
 
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bibina74
view post Posted on 31/10/2012, 17:37




Allora me lo rileggo poi con calma... l'avevo detto che ci dovevo ritornare!!!
Prometto che prima possibile lo faccio.
Giuro.
bangin

P.s. Ho riletto adesso e ho visto il riferimento ai sub, ma secondo me è predominante la parte dedicata agli speleologi... A parte qs purtroppo il mio commento non cambia. Nonostante trovi il linguaggio usato molto tecnico e preciso (che ben si adatta al tipo di storia raccontata), non mi entusiasma all'interno di Brividi, dove forse per mia deviazione mentale mi aspetto qcsa di diverso. Ripeto che il racconto potrebbe essere apprezzabilissimo se il contest desse possibilità di spaziare in lungo e in largo.

Adesso non commento il tuo racconto più perchè ti ho già rotto troppo le scatole (dì la verità che vorresti ci fossi io nel buco???). Complimenti comunque per la scrittura.

Edited by bibina74 - 31/10/2012, 17:48
 
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Dumah
view post Posted on 31/10/2012, 17:42




Ciao, devo dire che ho trovato il tuo racconto un po' pesante, forse per il modo in cui è scritto (con le ripetizioni che già ti son state segnalate) e per il modo in cui hai deciso di narrarlo.
Anche io, devo dire, ho avvertito pochi brividi, forse potresti inserire nuovi colpi di scena.

In bocca al lupo!
 
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view post Posted on 31/10/2012, 17:43
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CITAZIONE (NicoRobinSwan @ 31/10/2012, 16:32) 
Ciao!
Per eliminarla devi cliccare su modifica e poi cancellarla!

Fatto. Denghiù
 
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view post Posted on 31/10/2012, 18:17

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Bibina, birichina.... Mi hai messo dei dubbi e mi sono andata a rileggere il racconto. Ci sono gli speleologi ma cisono anche i sub speleologi. Insomma nelle grotte c'è anche l'acqua e bisogna saperci nuotare dentro. Bibina, birichina....
Un grande ciao da Pat.
Scusa mezzo matto, volevo chiarire questo punto.
Ciao anche a te e di nuovo in bocca al lupo!
Pat
 
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Elio Err
view post Posted on 31/10/2012, 18:19




ciao, il tuo racconto non è male, e sicuramente sei stato originale nell'ambientazione e nel tema, perchè gli speleologi non sono proprio un classico del genere. quello che mi è piaciuto è la similitudine tra gli speleologi e i vermi della mela.
Sicuramente potresti sfoltire un pò, perchè per un racconto è troppo lungo, e potresti eliminare qualche ingenuità. Ad esempio la tipica battutta all'americana
CITAZIONE
Lisa singhiozza: “Altro che la tua mela, Rosso. Noi sì che siamo la loro abbondanza.”

nessuno che sta per morire si mette a fare battute, quando vedo certe cose nei film mi metto sempre le mani nei capelli :P
 
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bibina74
view post Posted on 31/10/2012, 18:28




@Patty: cara mi sa che più che birichina sono un po' rinco... diciamo che è l'età!!! Cmq avevo poi raddrizzato il tiro col post successivo. Smakkete.
 
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view post Posted on 31/10/2012, 18:38
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CITAZIONE (davide2283 @ 31/10/2012, 17:06) 

Ciao, ti ho evidenziato le tantissime ripetizioni presenti nel tuo racconto. Veramente troppe, mi dispiace, per far sì che il racconto sia scorrevole e bello da leggere. Già il tema è piuttosto singolare (si vede che sei molto tecnico sulla speleologia) per un profano, e anche per questo ho fatto fatica a mantenere desta l'attenzione, poi tutte queste ripetizioni (soprattutto delle parole buco, argilla, stivali, fango) rendono il tutto veramente difficile da leggere e digerire.
Mi dispiace, non mi ha convinto molto, non mi sono appassionato alla speleologia leggendolo...né ho provato brividi, al di là delle già citate ripetizioni ci sono troppi tecnicismi che rendono il tutto troppo "freddo" e non coinvolgono chi legge (io, in questo caso).
In bocca al lupo, ciao!
[/QUOTE]

La riprovazione delle ripetizioni è un po' una fissa dell'italiano, una fissa, a mio parere, eccessivamente scolastica. La ripetizione è un procedimento di amplificazione. di enfasi, di gradazione narrativa.
Autori di grosso calibro l'hanno spesso usata per cadenzare il ritmo della narrazione.
Manzoni: "Dove un pezzo, dove un altro, dove una lunga distesa di quel vasto e variato specchio dell'acqua" (capitolo iniziale dei promessi Sposi).
Calvino: "Le macchine.-espresso nei caffè delle stazioni ostentano una loro parentela con le locomotive, le macchine-espresso di ieri e di oggi con le locomotive e i locomotori di ieri edi oggi." (primo incpit di Se una notte d'inverno un viaggiatore).


CITAZIONE (patrizia benetti @ 31/10/2012, 17:12) 
complimenti per il tuo racconto, mezzomatto! Mi sa proprio che non lo sei affatto... Battuta scontata. Comunque sei l'unico che ha affrontato questo tema "subacqueo". Bella la trama e lo stile descrittivo. Bella la battuta finale di Linda, quando è sicura di essere salva. Sei un sub? Te lo chiedo perchè hai un linguaggio così preciso, oserei dire tecnico, che io non saprei usare. L'idea di fondo è Shakespeariana: meglio che siamo noi a mangiare i vermi, perchè, un giorno saranno sicuramente loro a mangiare noi.
Però sei molto più ottimista del "maestro". nel tuo racconto non c'è rasseganzione, ma una bella lotta per la sopravvivenza. Complimentoni!
Se posso farti un piccolo appunto: O mmiodio! Scriverei: Oh mio Dio! Tutto qua.
Benvenuto ed un grande in bocca al lupo!
Pat.

grazie dei complimenti. Non sono un sub, ma ho fatto un po' di speleologia.

CITAZIONE (Elio Err @ 31/10/2012, 18:19) 
ciao, il tuo racconto non è male, e sicuramente sei stato originale nell'ambientazione e nel tema, perchè gli speleologi non sono proprio un classico del genere. quello che mi è piaciuto è la similitudine tra gli speleologi e i vermi della mela.
Sicuramente potresti sfoltire un pò, perchè per un racconto è troppo lungo, e potresti eliminare qualche ingenuità. Ad esempio la tipica battutta all'americana
CITAZIONE
Lisa singhiozza: “Altro che la tua mela, Rosso. Noi sì che siamo la loro abbondanza.”

nessuno che sta per morire si mette a fare battute, quando vedo certe cose nei film mi metto sempre le mani nei capelli :P

Ho scoperto il forum da pochissimo e non ho avuto il tempo materiale di fare una accurata revisione del racconto. La frase di lisa non voleva essere una battuta all'americana, ma segnalare al lettore il collegamento con l'episodio del verme sputato da Rosso.
 
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davide2283
view post Posted on 31/10/2012, 19:06




CITAZIONE
Autori di grosso calibro l'hanno spesso usata per cadenzare il ritmo della narrazione.
Manzoni: "Dove un pezzo, dove un altro, dove una lunga distesa di quel vasto e variato specchio dell'acqua" (capitolo iniziale dei promessi Sposi).
Calvino: "Le macchine.-espresso nei caffè delle stazioni ostentano una loro parentela con le locomotive, le macchine-espresso di ieri e di oggi con le locomotive e i locomotori di ieri edi oggi." (primo incpit di Se una notte d'inverno un viaggiatore).

Ok, scusa, colpa mia, che ho l'abitudine di basarmi sull'italiano del secolo corrente...comunque, se ti senti di paragonarti a Manzoni e Calvino, sono felice per te, ma allora non capisco perchè perdi tempo in questo forum di semi-dilettanti (con il rispetto parlando per i partecipanti, me stesso compreso)...
Se il racconto ti piace così com'è, non modificarlo...del resto è tuo e per prima cosa deve piacere a te. Se accetti i miei consigli oppure no a me non cambia niente.
 
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49 replies since 31/10/2012, 16:20   513 views
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