| Doar in trecere... Ero stata parecchio indecisa se contattare o no questo profilo. La traduzione di Google Translator non aveva certo contribuito al mio entusiasmo, poi! Alla fine mi ero convinta a mandargli un messaggio. Avevo scelto l’inglese, sperando di essere fortunata almeno stavolta: ero stufa di scrivere a ragazzi coi quali non riuscivo a comunicare in alcun modo! In pochi messaggi, avevo scoperto che lui era davvero interessante. C’era però il particolare che il suo profilo era privo di immagini, per cui non avevo idea di che volto avesse questo sconosciuto. Quasi a leggermi nel pensiero, ecco un allegato: la sua foto. Era il ragazzo più bello che avessi mai visto. Mi ricordava un attore spagnolo, ma non mi veniva in mente il nome; decisi comunque di fidarmi della sensazione di sicurezza che mi dava e concedergli la mia fiducia. Il nostro interesse reciproco fu evidente quando mi chiese se mi andava di uscire insieme. Certo che mi andava: ero stata una settimana in quella città caotica, frenetica, invivibile, quasi sempre chiusa nel mio hotel ad aspettare il giorno della partenza, ovvero l’indomani, domenica mattina. Adesso, proprio l’ultima sera, spuntava questo Adone a propormi un appuntamento: sarei dovuta essere completamente pazza per rifiutare, così accettai. Mi scrisse: “Ti passo a prendere alle otto”, ovviamente in inglese, poi si disconnesse. Mi fiondai dentro la doccia, allegra come non mai.
Il suo sorriso mi rimbambì completamente. Guidava una Nissan degli anni Novanta quasi fosse una Ferrari, sfrecciando con disinvoltura nei lunghi Bulevardi della sua città, come se l’intenso traffico veicolare fosse lì solo per lasciare risaltare la sua abilità alla guida. Io non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso mentre lui mi portava da una parte all’altra della città: di fatto, ero molto più interessata a lui che ai monumenti locali. Parlava molto bene inglese e in circa un’oretta sapevamo già tantissime cose l’uno dell’altra. Io non avevo ancora cenato però, convinta che saremmo andati a mangiare qualcosa insieme. Lui, invece, convinto del contrario, aveva divorato tutto ciò che aveva in casa prima di uscire. In realtà, comunque, un ristorante era l’ultimo dei miei pensieri, seduta così vicino a lui… Era il ragazzo più bello che avessi mai visto. Quando mi chiese se sentissi fame, mi venne quindi naturale rispondere di no. Era sabato sera e la città era vivissima; mi domandò se avevo voglia di fare un giro al Centrul Vechi, che sarebbe stato pieno di giovani, di pub e di club. Neanche per idea: io avevo voglia solo di stare con lui, ma come avrei potuto dirglielo? Mi sembrava esagerato quello che stavo provando dopo appena due ore che stavamo insieme e, soprattutto, dopo circa tre ore che sapevo della sua esistenza… “Vieni – disse accostando la macchina – andiamo a bere qualcosa. Da queste parti c’è molta più calma e possiamo chiacchierare indisturbati. Credo proprio che tu preferisca un luogo più tranquillo, al caos di questa città". Accettai di buon grado e scendemmo dalla macchina.
La serata era trascorsa piacevolmente. Avevo scoperto che lui era astemio; io invece non ero riuscita a resistere al fascino della birra scura al corrispondente di un euro a litro, e avevo ordinato tre volte… Ero inequivocabilmente un pochino alticcia, ma essendo da sempre abituata all’alcool non doveva essere poi così palese. Risaliti in auto mi domandò: “Sei stanca? Ti accompagno in albergo?”. Lo guardai e, finalmente, ebbi il coraggio di dirgli: “Posso dormire in qualsiasi momento della giornata domani e nei giorni a venire. Invece, con te, posso starci solo stanotte…” Sorrise. Non era sorpreso, però. Riprese: “Ti va di venire con me in un posto bellissimo? Io ci vado sempre…” Sorrisi, senza bisogno di rispondere.
Il parco era buio e freddo. Non si sentiva nemmeno un rumore in lontananza. “Finalmente un angolo di tranquillità anche in questa città” esclamai, soddisfatta. “Ti piace? Io ci vengo sempre, qui. È il mio parco” “Adesso è anche il mio. Se vivessi in questa città, anch’io ci verrei tutti i giorni” “Ti piacerebbe restarci?” “Sì” risposi timida. Ci guardammo per un lungo istante, poi mi ripeté la domanda. “Con te ci rimarrei in eterno” ribadii. Mi strinse forte a sé, così forte da stritolarmi, poi appoggiò le sue labbra sulle mie. Chiusi gli occhi. Quell’istante sembrò durare una vita, poi sentii un rumore simile a uno scalpiccio sempre più vicino. “Ho paura dei cani randagi!” quasi gridai. “Stai tranquilla, non fanno niente” mi rassicurò lui. Eravamo ancora stretti quando Claudiu si staccò da me repentinamente e tentò di parlare ma io non feci in tempo ad ascoltarlo. Sentii un fortissimo rumore alla testa e svenni immediatamente.
Quando aprii gli occhi, il primo pensiero che ebbi fu di non aver mai visto così tante stelle fino a quel momento. Ero stesa a terra, tutta bagnata e quasi in ipotermia. Richiamai i miei arti: rispondevano bene. Tentai di alzarmi e dopo poco vi riuscii. Mi toccai la nuca: era impastata, appiccicosa. Dovevo aver perso un po’ di sangue. Cercai con la mano il punto della testa che mi doleva di più e lo trovai; dovevo capire da cosa ero stata colpita. “Claudiu” provai a sussurrare, ma il mio Principe Azzurro non era più lì. Sentii urlare. Era un uomo, in mano un lungo bastone. Mi stava dicendo qualcosa nella sua lingua, ma io ero incapace di comprendere e, ancor di più, di rispondere. Di una cosa mi sentivo certa: mi stava chiedendo qualcosa. Si avvicinò. Sembrava in divisa. Pensai che mi stesse chiedendo che cosa mi fosse successo. “Qualcuno mi ha aggredita”. Lui continuava a ripetere la stessa frase a me incomprensibile. Dovevo trovare Claudiu: lui avrebbe saputo comunicare certamente meglio di quanto sarei riuscita a fare io, scombussolata, infreddolita e tendenzialmente ubriaca. L’uomo sembrava perdere le staffe, ma non si sforzava minimamente di capire che cosa stessi provando a dirgli. Alla fine optò per una soluzione facile: un colpo di bastone mi raggiunse in bocca con violenza, facendomi sanguinare e rompendomi un dente; il secondo colpo mi arrivò alla tempia, e di nuovo svenni.
Sentivo i pavoni di Parcul Ior protestare, mentre quell’uomo gemeva sul mio corpo inerme. Ogni tanto avevo degli sprazzi di lucidità, ma giusto quel poco che bastava per lasciare che una lacrima colasse sulle mie guance, poi ricominciava l’oblio. Avvertii almeno tre corpi diversi su di me, ma io pensavo a Claudiu, colui che tanto avrei sperato di stringere quella notte. Il freddo era padrone di me e io non riuscivo più neanche a muovermi, ormai. Svenni e rinvenni continuamente, ogni volta il pensiero di Claudiu allontanava dalla mia mente l’ignobile storia di cui ero protagonista. Il dolore mi svegliò definitivamente, forte. Ero ancora stesa sull’erba ma il sole faceva capolino da dietro gli alberi. Tentai di urlare, o forse di sussurrare, ma non usciva nessuna parola dalle mie labbra. Poi vidi un cane poco lontano. Era accucciato, docile, quasi a proteggere qualcosa. Strisciai fino a lui e si lasciò avvicinare. Riconobbi l’anello d’argento, quel claddagh irlandese che Claudiu mi aveva mostrato con fierezza qualche ora prima. Ora esso giaceva lì accanto a me. Il suo anulare era viola, come tutta la sua mano. Capii subito che non serviva provare a svegliare il mio cavaliere. Il vento si alzava, il sole anche ma non mi sentivo per niente riscaldata. Le mie lacrime ora cadevano copiosamente. Chissà se aveva provato a difendermi: in fin dei conti non mi conosceva nemmeno. Il cane mi guardava con pietosa franchezza e con singolare serietà, come se mi chiedesse che cosa fossi andata a fare, di notte, da sola, a Parcul Ior. Mi abbandonai alla terra umida; il cane si avvicinò, a proteggere anche me. Sorrisi.
Edited by vivonic - 5/11/2012, 03:42
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