| Un passero si era fermato sul bordo della fontana, intingeva il piccolo becco nell’acqua creando dei cerchi concentrici. Dopo di lui altri uccellini lo raggiunsero. Paolo si domandava se avessero un codice per chiamarsi o se semplicemente si muovessero in stormi. Un gruppo di turisti si avvicinò distogliendolo dai suoi pensieri: “Il giardino strutturato in terrazze ripercorre tutta la collina e offre uno dei panorami più belli...” La maggior parte dei turisti era rumorosa e poco attenta alle parole della guida. Paolo non aveva nessuna voglia di essere distratto da loro. Si mise quindi l’auricolare dell’iPod e avviò una selezione per brani casuali. Si andò a stendere sotto un albero mentre partiva un brano di Cassandra Wilson “Moon River”. Era entrato in questo giardino con il preciso proposito di estraniarsi. Quella mattina era stato licenziato e, prima di rientrare a casa e raccontarlo a sua moglie Claudia, voleva rimettere in ordine le proprie idee. Era stata una giornata pesante. Aveva ricevuto una vera pugnalata alle spalle. Aveva sempre dato tutto per la società, ne rappresentava la memoria storica, la colonna portante. Nel giro di pochi giorni invece erano cambiati i vertici ed era iniziata un'indiscriminata guerra al passato. Alla sua età difficilmente si sarebbe riciclato. Osservò le nuvole cercando di individuarne le forme e sperando che dall’alto arrivasse un’indicazione seppur minima su cosa fare del proprio futuro. Nel frattempo l’iPod cominciò a trasmettere “Voce vai ver” di Rosa Passos, la dolcezza del brano e la stanchezza della giornata fecero sì che i suoi occhi si chiudessero lentamente. Quando si svegliò il giardino era vuoto e immerso nel crepuscolo. Si alzò di scatto e si precipitò verso l’uscita. La porta era chiusa. Provò a picchiare sui vetri, ma nessuno rispose. Percorse il giardino scendendo nelle terrazze sottostanti nella speranza che ci fosse un varco verso l’esterno ma non c’era nulla. Nella terrazza più bassa una porta conduceva in una specie di scantinato. Percorse un corridoio buio in fondo al quale si intravedeva una luce. Sulla destra c’era una scala che conduceva ai piani superiori mentre sulla sinistra un cancello che collegava lo scantinato con una strada esterna. Il cancello aveva un unico passaggio in alto in corrispondenza dell’arco ma c’erano delle punte in ferro che non incoraggiavano a scavalcare. Decise comunque di provarci. Si arrampicò per verificare da vicino gli spazi entro i quali avrebbe dovuto muoversi. Una voce di donna alle sue spalle disse con tono calmo e pacato: - Ti consiglio di non farlo. Fece un balzo in giù per la paura. Si mise una mano al petto e con voce affannosa esclamò: - E tu da dove salti fuori? Una ragazza di non più di 25 anni era seduta sulle scale e l’osservava. Aveva dei jeans bianchi con una maglietta dello stesso colore sulla quale era disegnato un nano di Biancaneve. Indossava delle sneakers chiare, aveva un mare di braccialetti che tintinnavano a ogni respiro e i capelli un po’ arruffati. - Sono rimasta dentro anch’io! Non credo sia una buona idea uscire di lì, in troppi ci hanno lasciato le penne. - Davvero c’è gente che è rimasta infilzata su quel cancello? - Un bambino circa dieci anni fa e poi una ragazza cinque anni fa. La ragazza in realtà penso sia stata uccisa. - Uccisa? Come fai a dirlo? - C’erano troppi misteri intorno alla sua morte e poi... guarda! La ragazza indicò una scritta insanguinata sul muro. Paolo rabbrividì nel vederla, era molto in alto e raffigurava due lettere “MA”, era come se la ragazza prima di morire avesse voluto lasciare un messaggio. - Ne hanno tutti sottovalutato l’importanza. L’ho sentito dire in un servizio a “Chi l’ha visto?” ma il caso è stato archiviato lo stesso. - Appassionata di cronaca nera? Ad ogni modo, considerato che, incidentalmente o no, questo cancello si è già dimostrato pericoloso, sarà il caso che tu ti faccia venire un’idea alternativa per uscire di qui, visto che sei tanto informata. - Questa scala porta al museo. Proviamo a far suonare l’allarme, magari spostando dei quadri o saltando nel mezzo delle sale; - Estroso ma geniale. – esclamò Paolo divertito. Raggiunsero velocemente l’interno del museo. Danzarono rumorosamente per le sale, spostarono i quadri, saltarono in prossimità di quelli che sembravano sensori, si esibirono in una serie di smorfie di fronte a una telecamera nella speranza di essere visti dalla vigilanza, accesero una sigaretta in prossimità dei ricettori di fumo ma nessun allarme entrò in funzione. Stremati, si andarono a sedere nel mezzo della sala principale. - Dimmi che almeno tu possiedi un cellulare. - implorò Paolo - Mai avuto. - rispose la ragazza - Certo che sei bella strana tu… - Mi chiamo Eva, piacere. - Paolo. - E tu, allora? Perché non ce l’hai? - Oggi sono stato licenziato e ho dovuto restituire auto e cellulare aziendali. Sono, come si dice, in braghe di tela. - Oh scusami… - Sono venuto qui per riflettere, mi sono steso sul prato ascoltando la musica, ho guardato il cielo sperando in un’ispirazione e mi sono addormentato. Tu cosa ci facevi invece? - Il fidanzato di mia madre mi ha dato appuntamento qui per parlarmi. Lei ha completamente perso la testa per questa persona. Lui non mi piace per niente. Abbiamo avuto una discussione molto vivace poi lui è andato via e io per non incontrarlo fuori sono entrata nelle sale del museo a guardare il mio quadro preferito e… eccomi qui. - Quale sarebbe il quadro che ha questo potere, mia stranissima compagna di sventura? Lei indicò un dipinto e si avvicinò per illustrarlo. Raffigurava un uomo con gli occhi rivolti verso il cielo. Eva lo commentò con enfasi: - Quest’uomo, è con i piedi sulla terra ma guarda al cielo. L'occhio è la spia dell'anima. Le emozioni più intense, le gioie e i turbamenti più profondi sono comunicati attraverso lo sguardo. Quest’uomo gli occhi li rivolge al cielo mentre continua sulla terra il suo pellegrinaggio. Osservali. Io ci leggo fede ma anche preoccupazione e dolore. Non trovi che ti assomigli? Gli si accapponò la pelle. Era vero quell’uomo gli assomigliava e anche tanto. - Signorina Eva, oltre a dedicarti all’arte e alla cronaca nera, cosa combini nella vita? - Se sapessi quanto sono angosciata in questo momento non rideresti di me. - Cosa ti sarà mai successo di così grave? - Essere rimasta chiusa qua dentro proprio nella sera più importante della mia vita! In quel momento si spensero tutte le luci. Restarono solo le luci di emergenza. - Anche questa ci voleva! – disse Paolo - Si tratterà di un dispositivo automatico. A una certa ora si spegne tutto. - E magari entra anche in funzione l’allarme… Iniziarono così ancora una volta il loro balletto tra le sale del museo nella speranza di catturare l’attenzione di qualche sensore, ma anche questa volta i risultati furono deludenti. Si arresero ridendo a crepapelle. Paolo aprì la sua valigetta e tirò fuori un panino, dei biscotti, una banana e una mela. Organizzò così una cena. Stese per terra un tovagliolo e divise tutto in due porzioni. Iniziarono a mangiare in silenzio. - La mia cena avrebbe dovuto essere diversa. - Con chi dovevi cenare di così importante? - Con il mio grande amore, Simone. Domani lui si trasferirà all’estero per un dottorato e non lo vedrò per mesi. Doveva essere una serata speciale. - Vedi cosa succede a non avere il cellulare? Non mi sembra così grave comunque. Stasera si struggerà di dolore e domani sarà più cotto di prima quando lo chiamerai per dirgli che sei rimasta vittima di questo terribile inconveniente! - Vi comportate tutti come se nella vita ci fosse sempre tempo. Non è così, tutto quello che ti lasci alle spalle è perso. Io stasera dovevo dirgli che lo amo, domani sarà un altro giorno, io potrei non esistere più, lui potrebbe non esistere più, il mondo potrebbe finire o le strade si potrebbero dividere. - Mi dispiace tanto per le tue angosce, sei una ragazza molto pessimista. E’ molto maturo che tu, così giovane abbia questa idea così precisa del tempo. E’ un concetto che in genere si realizza con gli anni, i giovani hanno sempre la sensazione di essere eterni. Non esagerare però. Ti giuro che il panino che ti ho dato non era avvelenato e che domani potrai abbracciare il tuo Simone. Sorrise. Eva invece rimase seria. Dopo un po’ mise una mano in tasca e gli offrì qualcosa. - Cos’è? – disse Paolo che nella penombra riusciva a vedere molto poco. - E’ un petalo di rosa gialla, l’ho preso in giardino, è per ringraziarti della cena. - Molto gentile. - sorrise e ripose il petalo nel suo portafogli. - Sto pensando che negli uffici del museo potrebbe esserci un telefono. Proviamo ad andare a cercarlo? - Sì proviamo. Attraversarono le sale buie e si diressero verso gli uffici. - A questo punto nei film gialli si trova un morto. - Cavolo, Eva, fai un pensiero positivo ogni tanto! Ti devi curare cara figliola! Ora rideva di gusto. Entrarono in un ufficio. Si intravedevano un divanetto, una poltrona, una scrivania e un telefono. Il telefono però non dava la linea esterna, per averla bisognava digitare un codice. Dopo aver inutilmente cercato di sbloccarlo entrambi decisero di dormire. Paolo si posizionò sulla poltrona e Eva si sdraiò sul divano. La notte trascorse così. Al mattino quando Paolo si svegliò era come se l’avessero pestato, aveva dolori dappertutto. Anche Eva era sveglia: - Hai sentito anche tu un rumore? Forse è entrato qualcuno. - Vado a vedere – rispose Eva con aria preoccupata. Paolo ne approfittò per stendersi un po’ sul divano e stendere le gambe che durante la notte erano state raggomitolate sulla poltrona. Si riaddormentò. - E lei che ci fa qui! Un uomo grassoccio dall’aria stanca e trasandata lo stava guardando con curiosità. - Oh buongiorno, sono rimasto chiuso nel museo tutta la notte, non è partito l’allarme, i telefoni erano staccati, non sono riuscito a mettermi in contatto con nessuno. - Come è potuto succedere? - Mi sono addormentato nel prato e quando mi sono svegliato… era troppo tardi… L’uomo sorrise. - Era solo? - No, c’era anche una ragazza, ora però non la vedo. - Le sblocco il telefono così può chiamare la sua famiglia. Per questioni di sicurezza ho bisogno che lei compili un verbale. - Ok se è la prassi non ci sono problemi. Compose il numero di casa. - Claudia? - Paolo! Dove sei finito? Ho trascorso la notte in bianco, girato per gli ospedali, polizia… - Claudia perdonami ma sono stato vittima di un incidente molto particolare, sono rimasto prigioniero del Museo del mare! - Cosa ci facevi al museo? - Ero venuto a sdraiarmi sul prato per riflettere. Sai ieri… - Lo so quello che successo, ho sentito Fabio. Era dispiaciuto, ha detto che farà di tutto per farti riassumere. - Mi hanno portato via anche il cellulare, non avevo come avvertirti. - E ora dove sei? - Ancora al Museo, dovrò lasciare i miei dati e una breve deposizione. - Vengo a prenderti. - Grazie, cara. Lasciò i suoi dati. Di Eva non c’era neanche l’ombra, probabilmente era già scappata dal suo amore. Claudia arrivò presto e tutto sembrò più semplice. Il mattino successivo si alzò di buon umore e uscì in terrazza. Guardò il cielo e sospirò, “come l’uomo del quadro” pensò sorridendo. Fu allora che squillò il telefono. Era Fabio con un'ottima notizia. Aveva la possibilità di farlo riassumere in un’altra società del gruppo, doveva però precipitarsi in sede prima che il direttore del personale partisse. Al termine del colloquio uscì raggiante dalla società. Avrebbe iniziato presto il nuovo lavoro. Andò quindi in un bar vicino a prendere un caffè e un cornetto e si portò al tavolo un giornale da leggere. C’era un articolo che parlava di lui: Si chiama Paolo l’uomo che l’altra notte è rimasto prigioniero del Museo del mare. L’uomo per fortuna non ha pensato di uscire dal cancello laterale che ancora non è stato rimosso nonostante i precedenti incidenti. Cinque anni fa lo stesso museo era stato teatro della morte di Eva G. di 25 anni e cinque anni prima anche di quella del piccolo Ugo L. di 8 anni. Entrambi erano rimasti chiusi nel museo… Seguivano le foto delle vittime degli incidenti degli anni passati. Paolo sbarrò gli occhi: la ragazza morta non solo si chiamava Eva ma era anche identica alla ragazza che aveva conosciuto al Museo. Non c’erano dubbi, era proprio lei! La razionalità non gli permetteva di credere a qualcosa di soprannaturale ma non riusciva neanche a spiegarsi gli episodi delle ultime ore e provava una crescente inquietudine. Ritornò al Museo. Lui ed Eva avevano fatto mille smorfie davanti alla telecamera a circuito chiuso, avrebbe potuto riguardarle per verificare che non si fosse sognato tutto. Fece tutta la strada di corsa, arrivò al museo con il fiatone e si rivolse al custode: - Ho bisogno di rivedere gli avvenimenti dalle 21 alle 23 più o meno, è molto importante. L’uomo lo osservò con aria svogliata: - Se le piaceva la ragazzina doveva domandarle il numero di telefono! - Non è questo il motivo, c’è un particolare che voglio rivedere. L’uomo con gesti seccati lo fece accostare allo schermo e avviò le registrazioni video di due sere prima. Nel video però Eva non c’era, si vedeva solo Paolo che da solo faceva smorfie a tutte le telecamere e danzava da una parte all’altra della sala. Il custode lo guardò con compassione. Paolo era incredulo e più confuso di prima. - Posso fare un giro per il Museo? - Se non ci passa la nottata ed evita i suoi balletti… – disse l’uomo con sarcasmo. Paolo percorse i corridoi fino ad arrivare alla grande sala, si diresse verso il quadro ma il quadro non c’era più. Tornò velocemente dal custode: - Manca un dipinto. L’uomo lo seguì - Qui stanotte c’era un altro quadro. Raffigurava un uomo che guarda il cielo. Mi assomigliava. - C’è sempre stata questa tela. Se c’era uno che le assomigliava magari l’ha preso la ragazza, è un buon segno, vuol dire che ha fatto colpo. – aggiunse ridacchiando. Quell’imbecille si stava prendendo gioco di lui. Dopotutto come dargli torto? Si stava comportando come un pazzo. Scese nel sottoscala. La scritta insanguinata c’era ancora. Provò un sensazione di sollievo, non si era sognato proprio tutto. Guardò nel portafoglio, c’era anche il petalo. Provava un’emozione che era un misto tra incredulità e angoscia. Si diresse verso casa con passo lento. Le emozioni non erano finite: in soggiorno, ad attenderlo, una donna molto distinta accompagnata da un uomo più giovane. La donna sembrava serena, ma di tanto in tanto aveva dei piccoli scatti nei movimenti. Indossava un tubino nero e una collana di perle con la quale continuava a giocherellare: - Paolo, questa signora è la mamma della ragazza che è rimasta vittima dell’incidente nel museo qualche anno fa. Vuole farti qualche domanda. - Piacere Paolo. - Anna. Lui è il mio compagno, Marco. Gli strinse una mano molle. La donna gli spiegò che aveva diffidato l’amministrazione del Museo a migliorare le misure di sicurezza per prevenire nuovi incidenti, voleva solo sapere se l’impianto d’allarme aveva funzionato. - L’impianto d’allarme non ha funzionato altrimenti non avrei trascorso la notte lì. Memore della terribile sciagura di cui è stata vittima sua figlia mi sono guardato bene dallo scavalcare il cancello. Ho notato inoltre una cosa che mi ha fatto rabbrividire, sul muro c’è una scritta insanguinata, come se qualcuno avesse voluto lasciare un messaggio “Ma..”. E’ stata mai approfondita questa cosa? - Sì ma non le hanno dato importanza. – disse la donna frettolosamente. - Ora non le metta altre cose in testa. Già abbiamo sofferto abbastanza. Andiamo, abbiamo saputo quello che volevamo sapere. – aggiunse l’uomo bruscamente. Paolo li osservò senza parlare, non poteva fare a meno di pensare che “Ma..” potesse significare Marco. Il suo animo era pervaso da sentimenti contrastanti. Si chiedeva se fosse possibile che Eva l’avesse contattato dall’altro mondo per far affiorare una verità che tutti si ostinavano a ignorare: non si era trattato probabilmente di un incidente ma di un omicidio e il colpevole era quell’uomo di cui sua madre si fidava ciecamente. Possibile che la notizia del licenziamento l’avesse sconvolto a punto tale da fargli vedere cose che non esistevano? Ora si ritrovava di fronte a questa donna e non sapeva cosa dire. Raccontarle di aver trascorso la notte con il fantasma di sua figlia era come prendersi gioco del suo dolore. Paolo restò quindi in silenzio con tutti i suoi interrogativi. Il turbamento lo accompagnò nei giorni a seguire. La notte nella profondità del sogno assisteva alla scena: “Eva quando si accorge di essere chiusa nel museo si dirige verso il cancello secondario. Nel momento in cui è al vertice del cancello e ha già passato una gamba dall’altro lato qualcuno l’afferra da entrambi i lati e la tira giù violentemente facendo penetrare le punte di ferro nella sua pancia. Il sangue schizza dappertutto. Prima di esalare l’ultimo respiro cerca di scrivere il nome del suo carnefice sul muro ma arriva solo alla seconda lettera.” Paolo si svegliava ogni volta immerso nel sudore e faticava a riaddormentarsi. Decise di parlarne con chi aveva seguito le indagini limitandosi a segnalare la presenza della scritta insanguinata: “Avevamo già notato quella scritta ma dall’esame delle registrazioni a circuito chiuso del museo era emerso che Marco fosse uscito immediatamente dopo la discussione, quindi avevamo escluso ogni collegamento tra la scritta e la morte della ragazza.” “ E se fosse stata una persona diversa da Marco? Avete controllato mai se qualcuno è entrato e non risulta uscito in quelle ore?” “Le assicuro che le indagini sono state meticolose”. Paolo lasciò il commissariato molto deluso. Mentre usciva il Commissario lo osservava dalla finestra incuriosito. Notò così una figura che lo seguiva a debita distanza. La riconobbe subito, era la mamma di Eva! Perché quella donna seguiva Paolo? Cosa temeva? Insospettito, il Commissario, andò a rivedere le immagini delle telecamere a circuito chiuso che rivelarono una realtà che era stata ignorata: anche la donna era entrata nel Museo dopo Marco ed era uscita solo la mattina seguente confondendosi con una scolaresca. Il Commissario ne dispose immediatamente l’arresto. Paolo, nel frattempo, si era recato nella biblioteca comunale con lo scopo di recuperare i giornali di cinque anni prima e carpire quante più informazioni possibili sui fatti. Nel silenzio della biblioteca aveva come la sensazione di essere osservato. Continuamente si guardava alle spalle. A un certo punto una lama gelida gli sfiorò il viso. Sobbalzò: - Posso sapere perché sei così interessato alle vicende di mia figlia? - Ognuno è libero di leggere i giornali che desidera, signora. – disse Paolo con voce tremante. La lama affilata del suo coltello tremava al tremare della sua mano, gli occhi della donna erano rigati di sangue così come era alterato il tono della sua voce: - Era una stronzetta, si incontrava di nascosto con il mio compagno. Alle spalle il Commissario armato le intimò di fermarsi. La donna, in trappola, rivolse il coltello verso se stessa nel tentativo di togliersi la vita. Fu fermata in tempo e arrestata. Qualche giorno dopo i giornali pubblicarono: “Riaperto il caso di Eva G. morta cinque anni fa nel museo del mare. Un uomo rimasto chiuso nel museo avendo notato una vecchia scritta insanguinata “MA” ha chiesto il riesame delle telecamere a circuito chiuso del museo. Da queste è emerso che l’assassina è la madre della ragazza, Anna L. La donna, accecata dalla gelosia per aver visto la figlia con il suo compagno, aveva compiuto l’orribile delitto. “Ma” significava quindi “Mamma”. Anna è stata arrestata oggi nel tentativo disperato di uccidere l’uomo che aveva invitato gli inquirenti a riaprire il caso” Il giorno seguente Paolo si recò sulla tomba di Eva. “Ora Anna ha avuto la lezione che meritava. Spero che ora riposerai serenamente” Intorno a lui il silenzio e poi un soffio di vento caldo. Sulla sua giacca si posò un petalo di rosa, giallo.
Edited by Lavella - 8/11/2012, 20:36
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