| Tempesta di morte
Luci soffuse si perdevano nell’aria tempestosa di quella notte. Il vento batteva violento le persiane. I gatti miagolavano rabbiosi. La paura inglobava ogni istante di quel nubifragio. Canaloni di strade piene d’acqua a ripulire le infamità del mondo. Grandine e pioggia si accanivano sull’asfalto, rovinose. Calpestio insistente sulle auto; ululavano al sol contatto con quel ghiaccio freddo e violento, incapace di emozioni. Ad ogni angolo risuonavano gli allarmi. Scrosci infausti si udivano ovunque; tuoni arcigni vibravano la notte, lampi accecanti rischiaravano a giorno. Notte insonne pronta a tacere ogni sibilo. Le strada vuote di fantasmi appena rientrati. Silenti rumori di porte sbarrate. Solitarie ombre si attardavano tra i vicoli, ultime lanterne di quel breve giorno. Non era prevista, nessuno sapeva. Violenta era arrivata, inesorabile, scuoteva ultimi sprazzi di quella torrida estate. Con forza squassava la serenità di quel buio ottuso della notte. Schizzava il fango di quel vivere, su strade imbrattate di ogni infamia e di ogni gentilezza. Angoli nascosti a nascondere sconcezze, putridume. Lava acqua incessante, ogni colpa che in essi si rannicchia.
Dalla nebbia di quella pioggia ghiacciata, comparve, dall’ultimo degli angoli/anfratti, sinuosa, leggiadra, Paura. Assordato rumore, accecata la luce, emerse candida, nella sua nudità fugace, nessun velo a concepire e celare il suo candore, la sua purezza tradita. Paura insaziabile nel volto di quella giovane donna: fuggiva. Pallido, scavato e sanguinante, il suo viso traspariva il terrore del suo lavoro. Occhi verdi tradivano l’ultima violenza. Pesanti i capelli grondanti, unti del suo sangue lavati dall’acqua, cadevano sulle spalle nude. Tremava di freddo imbevuta, umida di gelo cercava rifugio. Squarciava la sua fuga le onde di quelle strade ormai torrenti impetuosi. Trascinava il suo corpo ansante. Ginocchia sbucciate strascicava sull’asfalto invisibile sotto acque fangose. Nulla indossava che la coprisse, che la proteggesse da quel freddo improvviso, che la celasse a chi la inseguiva, a chi con insistenza la cercava. Urlava il suo terrore a pieni polmoni: nessuno sembrava sentirla, nessuno sembrava volesse sentirla. Ad ogni urlo un tuono raggelava il sangue; mimetico cancellava la sua flebile voce, quasi complice del suo martirio, celava quanto accadeva. Correva donna rantolante, unica speranza di vita. Fulmini illuminavano la notte opaca e confusa. Correva inesorabile, instancabile, senza meta. Schizzavano le acque dove il suo esile piede colpiva senza cura. Incurante del fango che la ricopriva fino a quasi le ginocchia, colpiva battente ad ogni uscio, ad ogni finestra accesa. Nessuno sentiva, nessuno sapeva della sua fuga. Giovane, bionda, bagnata di sangue, lavata, tremante. Squarciava la notte il tuono silente del suo smarrimento, non capiva cosa le stesse succedendo, perché stesse scappando. Inseguita, scappava.
Era stata amata fino a qualche istante prima. Cullata tra braccia sconosciute, si era arresa al piacere del corpo. Usanza di ogni sua notte, si concedeva a chiunque l’avesse richiesta. Uomo alto robusto, stempiato, soddisfatto aveva lasciato il suo alloggio. Ultima ora della sua lunga notte, era finito il turno. Notte insonne per qualcuno che la osservava. Nascosta nella sua umile casa, ripuliva le ultime ombre del suo lavoro. La porta rimasta socchiusa. Silenzioso ingresso si intrufolava. “E’ arrivata la tua ora” Sibilò l’uomo nel suo impermeabile nero. Non era alto, non era robusto. In penombra illuminato si intravedeva il profilo di un baffo. Occhi incavati. Reggeva nella mano sinistra una lama. Urlò spaventata a quell’intrusione. Saltò giù dal letto pronta a fuggire. Colpo fendente le strappa una ciocca di biondo lucente. Livido sangue scivola sul volto. L’uomo è su di lei. Sferra fendenti senza colpire organo. Ferita divincola il suo corpo. Fugge, inizia a correre. Cade per le scale urlando il suo aiuto. Si rialza frenetica e scappa in strada. La pioggia insiste ancora la sua corsa, la fredda all’istante. Non può fermarsi, corre. Sanguina dalla testa copiosa; ginocchio franto al suolo dalla caduta le rallenta la corsa. Si sente persa.
“Aiutatemi, qualcuno mi aiuti” Strepitio lontano la sua voce fine, strozzata, impercettibile tra le onde di quella bufera che non accennava a placarsi. Bussava, attendeva risposta, correva ancora; nessuno si azzardava ad aprire l’uscio, nessuno sentiva bussare. L’ombra battente il suolo la seguiva, si avvicina, la percepiva in trappola. La voleva, l’aveva avuta, voleva zittirla. Segreti inconfessabili nella sua furia: moglie – figli – lavoro – vita che nessuno doveva conoscere. Era un pericolo, un ostacolo a vivere ancora nell’ombra della sua ipocrisia. Quella puttana era un errore, doveva finirla. Passo – passo, leggero – pesante, schizzavano l’acqua sotto i piedi frangenti. La sentiva vicina, voleva finire il lavoro iniziato. Nessun testimone del suo malaffare doveva vivere. Correva, ferma si arrampicava nell’angolo, finita. Vicolo cieco il suo ultimo anfratto. Pedane di legno accatastate l’una sull’altra: cercava di arrampicarsi. Alte finestre impedivano la fuga. Grondaie stracolme riversavano fiumi d’acqua sul suo volto. Un’ombra rabbuiò il vicolo. Fine… L’uomo si avvicinava, pochi passi. Le sue urla si strozzavano, non proferivano suono alcuno. Lo ebbe a tu per tu. Gli occhi! Conosceva molto bene quegli occhi. Lo aveva conosciuto. Lo aveva amato. Era… Nemmeno il tempo di dirgli addio. Non poteva permetterselo. Aveva fretta di concludere. Brillò sul volto lama d’argento. Unico fendente le strappò gli occhi dalle orbite. Infierì sul corpo di quella inerme esile donna con violenza inaudita. Ad ogni affondo schizzi zampillavano ovunque. Una goccia di sangue scivolò da quel baffo intriso di odio. Straccio ciò che rimaneva della donna quasi fosse carne da macello. Solo un ultimo urlo riuscì a spandersi nella nebbia di acqua e ghiaccio. Ancora un “AIUTO”. Ancora silenzio. Finito. Aveva portato a termine il suo compito. Andò con agonia via da quel luogo quasi niente fosse accaduto. L’ombra silente svaniva lontana. L’impermeabile nero svolazzava nel vento di quelle ore, allontanadosi. Tuoni e fulmini avevano placato la loro presenza. Non servivano più a nascondere quanto accaduto. Tutto era compiuto. Stretta la mano portava il suo cimelio, il terzo… non l’ultimo. La ripose in tasca, non doveva perderlo.
“Maresciallo venga. Si tratta ancora di una donna. Anche lei prostituta, come le altre due”. Senza nemmeno averlo di fronte, Cordusio aveva iniziato la spiegazione dell’accaduto al suo superiore. “Lasciami indovinare: era nuda quando è stata rinvenuta” Conoscevano fin troppo bene, ormai, il modo di operare dell’assassino. Solo ragazze giovani, bionde, lavoratrici della notte. Sembrava che chi commettesse quelle efferatezze avesse un conto in sospeso con ognuna di esse. Ma quale poteva esserne il movente. Perché le usava e poi le assassinava con tanta ferocia? “Si maresciallo. Anche questa volta si è portato via un cimelio della sua vittima. La falange del dito medio” Proseguì Cordusio lasciando che il telo bianco che ricopriva la vittima si alzasse per mostrare lo scempio al suo superiore. “Ha colpito ancora durante una tempesta. È come se seguisse un rituale. Ma quale?” Pensieri scuotevano la mente di Farris. Non trovava un nesso con tutti quei morti con quel sangue. E poi quel cimelio… perché portarsi via una falange, mai dello stesso dito. Aveva preso il mignolo, l’anulare adesso il medio. Non si sarebbe fermato. Quella serie di delitti non si sarebbero fermati. I R.I.S. brancolavano nel buio, non riuscivano a trovare tracce utili al loro lavoro. Ogni volta una tempesta. Farris rifletteva. Forse l’unico punto di forza era proprio quello: conosceva sempre in anticipo l’arrivo di un nubifragio che poteva coprire le sue tracce. Se si fosse trattato di un meteorologo?
Le prime luci dell’alba lasciavano l’orrore della notte. Un corpo esanime, lacero, nudo, assente. Era stata la terza notte senza vita. La terza notte di morte in quel buio ridente silente e tranquillo quartiere alla periferia Est di Roma. Il maresciallo Farris aveva tre omicidi, tre donne dai connotati fisici dell’est Europa. Tre donne assassinate con estremo accanimento. Questa volta era diverso: la donna era fuggita. L’assassino l’ha inseguita per strada. Potevano partire da quel particolare. Inseguire la vittima da dove era fuggita. Non poteva lasciarlo impunito.
Edited by piero sardo viscuglia - 21/10/2012, 13:38
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