UNA BRUTTA MATTINA PER POLDO
1.
Mi ero svegliato con la luna storta, e, giuro, avevo il presentimento che sarebbe accaduto qualcosa di sgradevole. Ma dire che le mie previsioni fossero ottimistiche sarebbe (
sarebbe stato... occhio ai tempi verbali) un vero eufemismo.
Me ne stavo sul divano a cazzeggiare. Naturalmente
(toglierei naturalmente) mi ero svegliato tardi, verso le dieci, e non avendo niente di meglio da fare che starmene davanti alla tele ad annoiarmi, non mi ero dato il disturbo di puntare la sveglia. (
perchè non fa niente? perchè è ricco? fa il mantenuto? è in pensione?)
Fumavo una sigaretta dietro l'altra, mentre un uomo
viscido e senz'altro inetto quanto me cercava di vendermi un materasso. Ma non mi andava di cambiar canale. C'erano uomini
viscidi anche sugli altri; almeno quel
viscido (
ripetizioni) lì lo conoscevo. (
e perchè lo conosceva? in che senso scusa? era un suo amico?)
Sbuffai svogliatamente fuori (
sbuffai fuori???) il fumo. Mi resi conto solo in quel momento che stavo scivolando verso il basso; sullo schienale restava solo la mia testa. Il sedere mi sporgeva in
fuori (
l'hai appena ripetuto sopra). La posizione era scomodissima.
Me ne fregai.
C'era quel maledetto cane che continuava a raspare sulla porta da mezz'ora. Non che non me ne fossi accorto, è che proprio non avevo voglia di alzarmi. (
meglio scrivere: me n'ero accorto ma non avevo voglia di alzarmi)
«Che palle, Poldo, perché non impari a usare il cesso? Io ce l'ho fatta. Puoi farcela anche tu»
Ma lo dissi mentre già mi stavo alzando. Tanto dovevo comprare le sigarette. Due piccioni con una fava.
Quanto mi era durato quel pacchetto? Mi sa che l'avevo comprato la sera prima.
Guardai il posacenere. Era talmente colmo che alcuni mozziconi erano caduti sul tavolino.
Feci spallucce e presi il guinzaglio.
Poldo non resisteva più. Appena vide che mi avvicinavo alla porta cominciò a saltare come un matto e ad abbaiare.
Agganciai il moschettone al suo collarino e uscimmo.
Appena fummo sul pianerottolo il bastardo pisciò.
«Cazzo, Poldo, ma non potevi resistere due minuti che scendevamo le scale? Fanculo, io non la pulisco quella (
questa perchè è vicina, quella se è lontana) porcheria. Quando imparerai a pulire lo farai tu. Ok?»
Tutti i giorni la stessa storia. Di solito ci pensava mia moglie ad asciugare quelle pozzanghere gialle (se era in casa), o la donna che veniva a lavare le scale (se era il suo giorno – e non ricordo quale fosse) (
toglierei qs parentesi un po' fastidiose) , ma spesso scomparivano da sole. Non so chi fosse a pulire, e, sinceramente, non me ne fregava niente. Io a quella roba puzzolente non mi ci avvicinavo.
Andai fin dal tabaccaio (e Poldo fece ancora un paio di spruzzatine su qualche angolo) (
via le parentesi); comprai le sigarette; salutai quel cretino coi denti da castoro che lavorava lì e ritornai indietro. Cinque minuti in tutto. Comprendenti anche una cacatina del cane al rientro.
Quando fui di nuovo davanti alla mia porta, mi accorsi con piacere che la pisciata era già stata pulita: tutto procedeva a gonfie vele, e io potevo rimettermi davanti alla televisione in santa pace a fare una scorpacciata di stronzate mediatiche.
Ma la precoce pianificazione delle mie pigrizie fu frenata quando mi resi conto che l'interno dell'appartamento era buio e silenzioso. Qualcosa non tornava: io lascio sempre la TV accesa.
2.
Accesi subito la luce. Le tapparelle erano abbassate, la TV spenta: tutto sembrava in ordine.
Liberai Poldo.
«C'è nessuno?»
Pensai che mia moglie potesse essere rientrata prima.
Nessuna risposta.
Vidi gli occhi della gatta, che chiamiamo affettuosamente “vecchia zia”, che mi fissavano da sotto un mobile.
Magari avevo spento la tele senza accorgermene. Presi posto sul divano; mi accesi una siga (
siga mi sa di teen ager non di uomo, quindi meglio mi accesi una sigaretta); raccolsi il telecomando.
Ero pronto a reinserirmi nel mio rassicurante ed (
d eufonica) abituale flusso di eventi, quando una voce che proveniva dalle mie spalle, maschile, mi mise in allarme e mi fece correre un brivido di paura lungo la schiena. C'era qualcosa di irreale in quella presenza intrusa nella mia routine.
«Non puoi farne a meno, vero?»
Non capii a cosa alludesse. Ma lasciai cadere il telecomando e balzai in piedi, come all'impulso di una scarica elettrica.
Dietro al divano, in piedi, c'era un omone obeso sui 150 chili, (
qs ripetizione mi ricorda l'appunto che hai fatto a me su una giovane donna di 36 anni... come vedi a volte rende meglio precisare!!!) che teneva in mano una scure.
«La televisione. Fammi la cortesia di farne a meno, ora, perché dobbiamo parlare io e te (
punto)»
Non lo conoscevo. Feci qualche passo all'indietro. Inciampai nel tavolino, quasi caddi. Mi appoggiai al muro.
«Chi sei?» balbettai.
Tenne la scure per il centro del manico, e la fece oscillare debolmente sopra la sua testa. Sorrideva in modo strano. Capii che era fuori di testa.
«Cosa vuoi?»
«Quel cagnaccio (
punto)»
«Vuoi il mio cane?» chiesi incredulo.
«Sì. Gli voglio tagliare il pisello(
punto)»
«Che cosa?! (
ci vuole semmai ?!? non ?!)»
«Già. Ha pisciato una volta di troppo sul mio pianerottolo (
punto)»
Era il mio vicino. Lo riconoscevo solo allora. Non mi era mai importato nulla di chi fossero
quelli che abitavano in
quel (
ripetizione) palazzo. Non conoscevo il nome di nessuno.
«Ascolta:
(toglierei i 2 punti e metterei una virgola) ti posso risarcire per il disturbo. Adesso... devo avere qualche cosa nel portafoglio, poi quando arriva a casa mia moglie ti faccio avere il resto. Grazie per aver pulito (
punto)»
«Grazie un cazzo. Voglio il suo pisello, non voglio soldi, e glielo taglierò davanti a te (
punto)»
«No, aspetta... questa è una roba da malati! Sono sicuro che tra persone civili ci si può mettere d'accordo. Adesso sei preda della rabbia (
in preda alla rabbia), io ti capisco...»
«Dammi le chiavi(
punto)»
Mi si fece vicino. Era grosso. Gli diedi le chiavi.
«Hai scavalcato il balcone, vero?»
Lui andò alla porta e la chiuse. Mise le chiavi in tasca.
«Il suo pene in cambio delle chiavi. Poi, io e te, ci lasceremo da amici. Promesso(
punto)»
Guardai la grossa ascia che teneva in mano.
«Tu vorresti tagliargli il coso... con quella?»
«Esatto(
punto)»
Poldo, come se avesse capito, squittì (
è il topo che squittisce non il cane). Spostava lo sguardo da me a quel ciccione.
«Ma non ce la farai mai. Quell'ascia è più grossa di lui!»
«Io non sbaglio un colpo(
punto)»
Non avevo scampo. Quel pazzo avrebbe potuto farmi a pezzi da un momento all'altro. Dovevo accontentarlo in qualche modo, e poi trovare una maniera per chiamare la polizia. Magari, una volta avuto quello che voleva, sarebbe davvero uscito col suo feticcio canino e mi avrebbe lasciato in pace.
«Ok. Ma permettimi di consigliarti di usare delle forbici. Ne ho un paio in cucina che andranno benissimo(
punto)»
«Niente forbici! Userò l'ascia. Ho deciso(
punto)»
Cazzo se era ostinato.
«Fidati. Ho una mira infallibile(
punto)»
«Ma dopo mi lascerai in pace?»
Quando lo saprà mia moglie vorrà tagliarmi il mio, come minimo.
«Certo, hai la mia parola. E... non morirà. Se ti sbrighi a portarlo dal veterinario, lo salverai. Solo che avrai un cane eunuco(
punto)»
Dovette trovare questa battuta molto divertente, perché ne rise per un po'. I suoi tre menti ballavano come budino.
«Ok(
punto)» dissi.
La vecchia zia continuava a guardarmi dal suo buio nascondiglio. Lo so cosa pensava di me, ma io me la stavo facendo sotto.
3.
Il ciccione sollevò l'ascia.
«Chiudi gli occhi se sei debole di stomaco(
punto)»
«No, voglio guardare(
punto)»
Povero Poldo... Però (
minuscolo) ero curioso di vedere come avrebbe fatto ad evirare un cane così piccolo con un'ascia così grossa.
La lama calò. Nessun lamento.
Metà Poldo volò da una parte;(
virgola non metà dall'altra. Il pavimento era pieno di sangue. Il ciccione ne aveva sulla canottiera.
«Che cazzo hai fatto?!(
occhio... si mette ?!?)»
“Eh, ho sbagliato...»
«Avevi detto che eri infallibile!»
«Senti, prova te a colpire un cazzo di due centimetri con una scure!»
Dicendo questo allargò le braccia. Io approfittai del momento per tentare di liberarmi di lui. Avevo capito che non avevo speranze. Mi avrebbe macellato sicuramente se non avessi fatto qualcosa.
Mi ci lanciai contro con tutta la forza. Mi andò bene. Probabilmente era sbilanciato, altrimenti non sarei riuscito a buttare a terra un grassone come lui.
Volò all'indietro, inciampando nel tavolino (
glielo avevo detto, a mia moglie, che non era il posto adatto) (
glielo e a mia moglie è una ripetizione, meglio: avevo già detto a mia moglie che non era il posto adatto in cui metterlo) e rovinò attraverso il cristallo. (
cosa significa e rovinò attraverso il cristallo?)
Sperai che si fosse fatto male.
E mentre era lì che si dimenava come una tartaruga sul guscio, afferrai l'ascia e la calai con tutta la mia forza sul suo braccio destro. Lo tranciai di netto. Un fiotto copioso di sangue scuro si riversò sul pavimento.
«Sadico bastardo...». E gli sputai addosso.
Poi mi venne un'idea.
Mentre il porco si dissanguava andai in cucina a prendere le forbici.
Tornai di là che già si stava alzando. Non potevo credere a quanto fosse resistente. Avrei dovuto andarci più pesante. Ma stavo per rimediare.
Feci per colpirlo dritto al petto, con l'ascia, però quello, incredibilmente, riuscì ad afferrarla per il manico con la mano che gli restava.
Tirai. Ma aveva una presa d'acciaio.
Me la strappò di mano. La sua faccia era un nodo di muscoli contratti e grasso arrabbiatissimo.
Cazzo, mi cagai addosso.
Gli ficcai la forbice nella gola. Ma il panzone riuscì a colpirmi con l'ascia.
Ora guardavo il mio braccio a terra, vicino al suo.
La vecchia zia ci guardava entrambi curiosa.
Il ciccione cadde in ginocchio, con le mani sull'impugnatura della forbice. Stava affogando nel suo sangue.
Io mi sentivo svenire. Avevo brividi lungo tutto il corpo.
Cademmo a terra insieme. Purtroppo avevo la faccia vicino alle sue gambe, e durante la sua ultima agonia si dimenò e mi ruppe il naso con un calcio. Non sentii dolore. Un braccio reciso era già sufficiente a impegnare tutti i miei nervi.
Poi non si mosse più. Era morto. Ma a me non rimaneva molto tempo.
Mentre riflettevo sul da farsi, e le opzioni erano davvero limitate, vidi la gatta uscire dal suo nascondiglio.
Il mio campo visivo si restringeva sempre di più, e il mio battito cardiaco era rallentato talmente che credevo che il mio cuore fosse già fermo.
Ma non lo era ancora. Il tempo che
mi restava
mi (
ripetizione) fu sufficiente per vedere la vecchia zia che si metteva a rosicchiare il mio braccio staccato.
Stronza di una gatta.