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L'isolamento - Francesco Corigliano

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RedRedemption
view post Posted on 16/10/2012, 14:28




L’isolamento

- In isolamento, vi dico.
- Ma perché?
- Sentite, non è colpa mia, va bene? Hanno ordinato così. Andiamo.
La guardia lo afferrò dalla collottola, tirandolo su, e lo costrinse a camminare; percorrendo il corridoio, le catene che si trascinava dietro facevano un gran fracasso.
- Forza, - fece il carceriere, - non rendete le cose peggiori di quel che già sono. Muovetevi. È tardi.
- La fate facile, voi. Sono io quello col ferro ai piedi. E voi non volete dirmi il perché dell’isolamento…
- Perché, perché – ribatté l’altro, fermandosi ad aprire una porta e spingendo avanti il prigioniero, - sapete meglio di me come funziona qui. Non c’è sempre un perché. Ora, scendete.
La porta dava su una piccola stanza, illuminata a malapena da una minuscola grata; nel pavimento si apriva invece una scala a chiocciola che scendeva giù, nelle profondità delle segrete. Lui ci era già stato e non gli piacevano proprio: per quanto potesse essere sgradevole una cella, la sua era di certo preferibile alla zona sotterranea del vecchio carcere. Incassate nelle fondamenta dell’edificio, le segrete erano la zona più antica, secondo alcune stime risalente addirittura all’alto Medioevo; stanzette minute, a volte scavate direttamente nella roccia, umidissime e puzzolenti. Laggiù si respirava un’aria stantia, rafferma, quasi fosse sempre la stessa da quando il convento era stato trasformato in carcere, secoli addietro.
E ora lo prendevano dalla sua cella e lo cacciavano lì dentro. Perché?
Era vero che la politica della prigione era strana, ultimamente; gente presa e spostata in altre camere, gente liberata, gente sparita nel nulla. La cosa inquietava un po’ i prigionieri, e già avevano iniziato a girare storie su scambi di persone, omicidi, anche una vecchia leggenda su certi riti oscuri praticati nel convento medievale…ma in tempo di guerra, si sapeva, c’era sempre una gran confusione e una gran voglia di chiacchierare.
Giunsero alla fine della scala, e presero il vecchio corridoio che conduceva alle celle; vide molte porte chiuse, segno che altri erano stati portati in isolamento.
Meccanicamente si fermò davanti alla prima porta aperta, sicuro che gli toccasse entrare; ma la guardia lo spinse oltre.
Lo condusse per altri corridoi, androni, sale; non avrebbe mai detto che i sotterranei del carcere potessero essere così estesi.
E iniziò ad inquietarsi. Se prima era quasi seccato dal doversi sorbire qualche giorno d’isolamento, ora la noia faceva posto alla paura e a tutte quelle storie sulla gente scomparsa nel carcere; certo, quando c’era un’esecuzione lo si sapeva subito… ma se le guardie avessero voluto far tutto di nascosto? Se l’avessero ucciso lì, e basta? Perché poi?
La guardia continuò a guidarlo per anfratti e cunicoli, finché non giunsero ad un’altra scalinata; diritta, scendeva in profondità e nel buio. Il carceriere prese una torcia dal muro, e sguainò il coltellaccio che portava legato alla cinta.
“Ecco,” pensò il prigioniero, “adesso mi ammazzano qui e mi lasciano a marcire nei sotterranei”, e stava già per urlare.
Ma l’altro lo anticipò. – Scendete, per favore.
- Dove mi portate?
- In isolamento. Scendete, per favore.
- Volete uccidermi?
- Oh, ma che dite? Ve l’ho detto, andate in isolamento.
- Ma le celle vuote, prima…
- Sentite, vi ho già chiesto cortesemente di non rendere le cose più pesanti. Vi assicuro che non devo uccidervi.
- E il vostro coltello, allora?
- È per precauzione.
- Per cosa?
- Per favore, non costringetemi a usare la forza. Scendete.
Titubante e dubbioso, iniziò a scendere le scale. I gradini erano umidi, ricoperti di muffa, ma si capiva che erano di una pietra diversa rispetto al resto delle segrete. Mattoni più grossi, più chiari.
Incespicò un paio di volte nelle proprie catene, trattenuto dalla guardia che gli impedì di cadere. La discesa continuò per un bel po’, alla sola luce della torcia; poi, giunti alla fine, la guardia lo spinse ancora oltre l’ultimo gradino, sul pavimento anch’esso in mattoni, davanti ad una porta di legno dall’aspetto vetusto.
- Lì, - disse la guardia tirando l'anta, - lì dentro. Entrate.
- Fa freddo qui sotto.
- Vi porterò una coperta, dopo. Ora entrate.
Si fece coraggio e varcò la soglia, immergendosi nel buio più completo. Non c’era assolutamente nessuna fonte di luce nella stanza, e la torcia del secondino riusciva appena ad illuminare l’ingresso. Stava già per voltarsi e chiedergli di portarlo altrove, quando la porta si richiuse alle sue spalle lasciandolo da solo nell’oscurità.
L’aria puzzava di vecchio e l’umidità pareva raggiungere direttamente le ossa; nel buio completo l’uomo si avvicinò alla porta, tastando il legno. Udì i passi della guardia allontanarsi, su per le scale, perdersi lontano.
In pochi istanti, ancora con l’orecchio teso ai suoni al di là della porta, si riconobbe completamente e assolutamente solo. Solo, in una cella vecchia centinaia di anni, sotto chissà quanta terra e quanta pietra, in un posto in cui avrebbe dovuto passare chissà quanto tempo.
Intuì di stare già tremando, più per la tensione che per il freddo. Ancora in piedi davanti alla porta, cercò di calmarsi e di razionalizzare la situazione.
“Bene,” si disse, “ti hanno messo in isolamento, in una cella vecchia e buia in cui dovrai restare un bel po’. Di solito si tratta di due o tre giorni, ma è meglio non farsi illusioni. Ora, resta tranquillo, e inizia a vedere quant’è grande questo posto”.
L’idea di rendersi conto della larghezza del luogo gli piacque molto, gli sembrò un buon punto di partenza per iniziare a passare il tempo.
Fu con una certa determinazione, quindi, che prese a tastare il muro subito alla sua destra, tenendosi la porta alle spalle. Avanzò camminando piano, tenendo una mano davanti a sé e una sulle vecchie e muffose pietre. Dopo cinque passi incontrò l’altra parete, l’angolo; fece lo stesso percorso in senso opposto, ripassando davanti alla porta, incontrando l’altro muro a distanza uguale.
“Sembra,” considerò, “che la stanza sia quadrata, o al massimo rettangolare”.
Dall’angolo scelse di seguire il muro, per capire quale fosse la lunghezza della camera. Avanzò quindi nella stessa maniera, aspettandosi di trovare il fondo della stanza dopo quattro o cinque passi.
L’aria stantia iniziava a pesargli nel petto, il respiro gli veniva a fatica; e si innervosì lievemente quando si accorse che la stanza era più grande di quel che potesse aspettarsi. Aveva già fatto almeno una decina di passi, infatti, senza incontrare né muri né ostacoli di alcun tipo. Perché metterlo in isolamento in una cella così grande? Da solo, poi…
Continuò a camminare: quindici, venti, venticinque passi e ancora il fondo non si vedeva. O meglio, non si toccava, dato che il buio lì dentro era assoluto. Gli venne in mente che forse la stanza aveva pianta irregolare, e immaginò che dal muro opposto a quello che ancora toccava con la mano partisse una parete obliqua, che andasse a chiudersi in diagonale davanti a lui, sicuramente a poca distanza, ormai, tre, al massimo quattro passi…
Invece ne fece altri dieci, di passi, e non trovò nulla.
Si fermò. Chiaramente c’era qualcosa di sbagliato, in quella cella. Forse non era proprio una cella d’isolamento, forse era un magazzino, o una cisterna riadattata…o una cisterna e basta. Ma perché metterlo lì? Da solo. Ripensò ancora una volta alle storie sui prigionieri spariti nel nulla, dimenticati negli anfratti della prigione. Baggianate.
Eppure? Perché era lì? Lì e non in una cella normale? Il respiro gli si fece ancora più pesante quando avvertì uno strano olezzo nell’aria; un tanfo sottile, acido, ben distinto dalla puzza di chiuso e di umido…
Lo disgustò abbastanza. E lo fece sentire ancora più affranto; ebbe l’impulso di buttarsi a terra e piangere, ma riuscì a trattenersi. “Piangerò vicino alla porta”, si disse istintivamente, e trovò la cosa stranamente rassicurante.
Si mescolavano in lui, infatti, la tristezza per la propria condizione di solitudine e l’inquietante sensazione di trovarsi in mezzo al nulla. Il contatto col muro era incredibilmente rincuorante, più di quanto gli sembrasse lecito aspettarsi da un muro. Del resto, non aveva mai trovato dei muri rincuoranti, prima di allora… neppure nel carcere normale, lì sopra.
Girò su sé stesso e prese a fare la strada al contrario, in direzione della porta. Non poteva aprirla, sicuramente, ma era pur sempre l’unica cosa che rappresentasse il mondo fuori dalla cella; la cella, l’oceano di buio che al momento lo opprimeva così orribilmente. Trovò ulteriore conforto pensando al momento in cui ne sarebbe uscito, finalmente, e avrebbe protestato con la guardia su quel trattamento incredibile. Ammesso che gli fosse consentito protestare, certo.
Pensava e camminava, a ritroso accanto al muro. Poi sentì il rumore.
Un rumore alle sue spalle, indefinito, lontano, secco e veloce insieme. Senza rimbombo, o eco.
Concluse che fosse uno dei tanti rumori del vecchissimo edificio, o magari qualcuno che si muoveva ai piani di sopra… sempre che ci fossero dei piani di sopra, dato che per quanto aveva camminato con la guardia, si poteva dire che la cella fosse lontanissima dal nucleo centrale della prigione.
Nel buio, ancora, sentì un suono. Un rumore veloce, un passo.
“Chi c’è”, pensò.
- Chi c’è? - urlò, senza voltarsi, e un brivido gli percorse le ossa mentre aspettava la risposta.
Ma non udì niente; e intuendosi ancora i brividi addosso, avvertì una goccia di sudore percorrergli la schiena. Si aspettava forse una risposta, lì sotto? Se ci fosse stato qualcun altro lì dentro, lo avrebbe chiamato non appena lo avesse visto entrare nella stanza. E comunque, questo ipotetico qualcuno sarebbe sicuramente stato vicino alla porta. Indubbiamente. Immaginò una fine della cella, in cui l’altro prigioniero, seduto, fermo, sdraiato, immobile, lo aveva visto entrare e stanco per…
Ma ecco, un nuovo rumore, un nuovo passo. Sentì più forte l’odore disgustoso di prima. Forte, intenso, nauseante.
Si voltò, e “chi c’è” ancora disse.
La risposta fu, questa volta, un altro passo. E un altro. E un altro. Si accorse di avere iniziato a tremare e di stare anche ansimando. “Chi è là?”, urlò.
Passo, e passo. Non sembrava neanche che i rumori si avvicinassero. Forse non erano passi, forse era davvero qualcos’altro, di esterno alla cella. L’idea portava un insospettabile sollievo; essere solo, lì dentro, gli sembrava la cosa migliore al mondo. Solo, assolutamente solo, senza nessuno che camminasse. Chi aveva bisogno di qualcuno, lì? Era solo. Era solo?
No. Sentiva distintamente, e non con l’udito, che qualcuno c’era. E che in realtà si avvicinava. Avvicinava.
Si ritrovò a camminare ancora, anzi a correre lungo il muro verso la porta. Non poteva controllarsi, e riconobbe di essere nel panico. Dimenticò anche di mettere una mano avanti a sé.
E di colpo sentì l’odore acido, fortissimo; poi si accorse di essere disteso a terra, con un forte dolore alla fronte una sensazione di calore sul volto.
Aveva battuto al muro, il muro dove stava la porta. Era vicino all’angolo, e nonostante un fortissimo giramento di testa riuscì a mettersi seduto e rannicchiarsi.
Gli sembrò di avere i sensi amplificati; perfettamente avvertiva il freddo delle pietre su cui poggiava le spalle, l’umidità dell’aria, l’odore, la puzza del suo sangue mista a quella dei cadaveri in putrefazione, e il suono di passi, passi che si avvicinavano. Passi, sicuramente passi, piedi nudi uno davanti all’altro nel buio.
Non potevano vederlo, certo; ma il rumore? Il suo stesso camminare e la botta contro il muro e la sua voce e tutto quel girare di testa…i passi, tanti, più di una persona, più d’un morto avanzare, correre ora verso di lui.
Ansimava, e tremava, e ansimava sentendo il sapore ferroso del sangue tra i denti. I morti!
I morti? Ma quali morti? Era da solo, lì. Nessun passo, nessun odore, solo la sciocchezza e la stupidità della paura… si ricordò della coperta che gli aveva promesso la guardia. Gli venne da sorridere, ma non lo fece.
Non poté proprio, in nessun modo, sorridere, e fissò soltanto il buio davanti a sé. Distintamente nell’oscurità quelli correvano, senza respirare, o ansimare anche loro, niente, senza emettere nessun suono se non quello degli odiosissimi passi.
Allora urlò, al limite dell’orrore; urlò, sperando che qualcuno lo sentisse, al di là della porta, al di là dei muri, la guardia, la coperta, lontano. Il suono della sua voce si perse nello scalpiccio di quei passi furiosi; e ancora, prima che i passi e l’odore gli fossero addosso, gridando e sempre chiedendo: “Chi c’è? Chi c’è?”, sperò che almeno loro, almeno i morti gli rispondessero: "Tu! Ci sei tu!".
Ma non udì niente, proprio niente, mai più.

Vecchia versione:
L’isolamento

- In isolamento, vi dico.
- Ma perché?
- Sentite, non è colpa mia, va bene? Hanno ordinato così. Andiamo.
La guardia lo afferrò dalla collottola, tirandolo su, e lo costrinse a camminare; percorrendo il corridoio, le catene che si trascinava dietro facevano un gran fracasso.
- Forza, - fece il carceriere, - non rendete le cose peggiori di quel che già sono. Muovetevi. È tardi.
- La fate facile, voi. Sono io quello col ferro ai piedi. E voi non volete dirmi il perché dell’isolamento…
- Perché, perché – ribatté l’altro, fermandosi ad aprire una porta e spingendo avanti il prigioniero, - sapete meglio di me come funziona qui. Non c’è sempre un perché. Ora, scendete.
La porta dava su una piccola stanza, illuminata a malapena da una minuscola grata; nel pavimento si apriva invece una scala a chiocciola che scendeva giù, nelle profondità delle segrete. Lui ci era già stato e non gli piacevano proprio: per quanto potesse essere sgradevole una cella, la sua era di certo preferibile alla zona sotterranea del vecchio carcere. Incassate nelle fondamenta dell’edificio, le segrete erano la zona più antica, secondo alcune stime risalente addirittura all’alto Medioevo; stanzette minuscole, a volte scavate direttamente nella roccia, umidissime e puzzolenti. Laggiù si respirava un’aria stantia, rafferma, quasi fosse sempre la stessa da quando il convento era stato trasformato in carcere, secoli addietro.
E ora lo prendevano dalla sua cella e lo cacciavano lì dentro. Perché?
Era vero che la politica della prigione era strana, ultimamente; gente presa e spostata in altre camere, gente liberata, gente sparita nel nulla. La cosa inquietava un po’ i prigionieri, e già avevano iniziato a girare storie su scambi di persone, omicidi, anche una vecchia leggenda su certi riti oscuri praticati nel convento medievale…ma in tempo di guerra, si sapeva, c’era sempre una gran confusione e una gran voglia di chiacchierare.
Giunsero alla fine della scala, e presero il vecchio corridoio che conduceva alle celle; vide molte porte chiuse, segno che altri erano stati portati in isolamento.
Meccanicamente si fermò davanti alla prima porta aperta, sicuro che gli toccasse entrare; ma la guardia lo spinse oltre.
- No, noi andiamo da un’altra parte.
- Dove?
- In isolamento.
- Ma non è qui?
- Non per voi.
Lo condusse per altri corridoi, androni, sale; non avrebbe mai detto che i sotterranei del carcere potessero essere così estesi. Le rare fiaccole non riuscivano ad illuminare tutto lo spazio, e molte gallerie parevano perdersi nel buio, indistinte.
Lui iniziò ad inquietarsi. Se prima era quasi seccato dal doversi sorbire qualche giorno d’isolamento, ora la noia faceva posto alla paura e a tutte quelle storie sulla gente scomparsa nel carcere; certo quando c’era un’esecuzione lo si sapeva subito… ma se le guardie avessero voluto far tutto di nascosto? Se l’avessero ucciso lì, e basta? Perché poi?
La guardia continuò a guidarlo per anfratti e alcove, finché non giunsero ad un’altra scalinata; diritta, scendeva in profondità e nel buio. Il carceriere prese una torcia dal muro, e sguainò il coltellaccio che portava legato alla cinta.
“Ecco,” pensò il prigioniero, “adesso mi ammazzano qui e mi lasciano a marcire nei sotterranei”, e stava già per urlare.
Ma l’altro lo anticipò. – Scendete, per favore.
- Dove mi portate?
- In isolamento. Scendete, per favore.
- Volete uccidermi?
- Oh, ma che dite? Ve l’ho detto, andate in isolamento.
- Ma le celle vuote, prima…
- Sentite, vi ho già chiesto cortesemente di non rendere le cose più pesanti. Vi assicuro che non devo uccidervi.
- E il vostro coltello, allora?
- È per precauzione.
- Per cosa?
- Per favore, non costringetemi a usare la forza. Scendete.
Titubante e dubbioso, iniziò a scendere le scale. I gradini erano umidi, ricoperti di muffa, ma si capiva che erano di una pietra diversa rispetto al resto delle segrete. Mattoni più grossi, più chiari…
Incespicò un paio di volte nelle proprie catene, trattenuto dalla guardia che gli impedì di cadere. La discesa continuo per un bel po’, alla sola luce della torcia. Poi, giunti alla fine, la guardia lo spinse ancora oltre l’ultimo gradino, sul pavimento anch’esso in mattoni, davanti ad una porta di legno dall’aspetto vetusto.
Se possibile, quella zona delle segrete pareva ancora più vecchia del resto della prigione. Ma perché lo portavano lì?
- Lì, - disse la guardia aprendo la porta, - lì dentro. Entrate.
- Fa freddo qui sotto.
- Vi porterò una coperta, dopo. Ora entrate.
Si fece coraggio e varcò la soglia, immergendosi nel buio più completo. Non c’era assolutamente nessuna fonte di luce nella stanza, e la torcia del secondino riusciva appena ad illuminare l’ingresso. Stava già per voltarsi e chiedergli di portarlo altrove, quando la porta si richiuse alle sue spalle lasciandolo da solo nell’oscurità.
L’aria puzzava di vecchio e l’umidità pareva raggiungere direttamente le ossa; nel buio completo l’uomo si avvicinò alla porta, tastando il legno. Udì i passi della guardia allontanarsi, su per le scale, perdersi lontano.
In pochi istanti, ancora con l’orecchio teso ai suoni al di là della porta, si riconobbe completamente e assolutamente solo. Solo, in una cella vecchia centinaia di anni, sotto chissà quanta terra e quanta pietra, in un posto in cui avrebbe dovuto passare chissà quanto tempo.
Intuì di stare già tremando, più per la tensione che per il freddo. Ancora in piedi davanti alla porta, cercò di calmarsi e di razionalizzare la situazione.
“Bene,” si disse, “ti hanno messo in isolamento, in una cella vecchia e buia in cui dovrai restare un bel po’. Di solito si tratta di due o tre giorni, ma è meglio non farsi illusioni. Ora, resta tranquillo, e inizia a vedere quant’è grande questo posto”.
L’idea di rendersi conto della larghezza del luogo gli piacque molto, gli sembrò un buon punto di partenza per iniziare a passare il tempo.
Fu con una certa determinazione, quindi, che prese a tastare il muro subito alla sua destra, tenendosi la porta alle spalle. Avanzò camminando piano, tenendo una mano davanti a sé e una sulle vecchie e muffose pietre. Dopo cinque passi incontrò l’altra parete, l’angolo; fece lo stesso percorso in senso opposto, ripassando davanti alla porta, incontrando l’altro muro a distanza uguale.
“Sembra,” considerò, “che la stanza sia quadrata, o al massimo rettangolare”.
Dall’angolo scelse di seguire il muro, per capire quale fosse la lunghezza della camera. Avanzò quindi nella stessa maniera, aspettandosi di trovare il fondo della stanza dopo quattro o cinque passi.
L’aria stantia iniziava a pesargli nel petto, il respiro gli veniva a fatica; e si innervosì lievemente quando si accorse che la stanza era più grande di quel che potesse aspettarsi. Aveva già fatto almeno una decina di passi, infatti, senza incontrare né muri né ostacoli di alcun tipo. Perché metterlo in isolamento in una cella così grande? Da solo, poi…
Continuò a camminare: quindici, venti, venticinque passi e ancora il fondo non si vedeva. O meglio, non si toccava, dato che il buio lì dentro era assoluto. Gli venne in mente che forse la stanza aveva pianta irregolare, e immaginò che dal muro opposto a quello che ancora toccava con la mano partisse una parete obliqua, che andasse a chiudersi in diagonale davanti a lui, sicuramente a poca distanza, ormai, tre, al massimo quattro passi…
Invece ne fece altri dieci, di passi, e non trovò nulla.
Si fermò. Chiaramente c’era qualcosa di sbagliato, in quella cella. Forse non era proprio una cella d’isolamento, forse era un magazzino, o una cisterna riadattata…o una cisterna e basta. Ma perché metterlo lì? Da solo. Ripensò ancora una volta alle storie sui prigionieri spariti nel nulla, dimenticati negli anfratti della prigione. Baggianate.
Eppure? Perché era lì? Lì e non in una cella normale? Il respiro gli si fece ancora più pesante quando avvertì uno strano olezzo nell’aria; un tanfo sottile, acido, ben distinto dalla puzza di chiuso e di umido…
Lo disgustò abbastanza. E lo fece sentire ancora più affranto; ebbe l’impulso di buttarsi a terra e piangere, ma riuscì a trattenersi. “Piangerò vicino alla porta”, si disse istintivamente, e trovò la cosa stranamente rassicurante.
Si mescolavano in lui, infatti, la tristezza per la propria condizione di solitudine e l’inquietante sensazione di trovarsi in mezzo al nulla. Il contatto col muro era incredibilmente rincuorante, più di quanto gli sembrasse lecito aspettarsi da un muro. Del resto, non aveva mai trovato dei muri rincuoranti, prima di allora… neppure nel carcere normale, lì sopra.
Girò su sé stesso e prese a fare la strada al contrario, in direzione della porta. Non poteva aprirla, sicuramente, ma era pur sempre l’unica cosa che rappresentasse il mondo fuori dalla cella; la cella, l’oceano di buio che al momento lo opprimeva così orribilmente. Trovò ulteriore conforto pensando al momento in cui ne sarebbe uscito, finalmente, e avrebbe protestato con la guardia su quel trattamento incredibile. Ammesso che gli fosse consentito protestare, certo.
Pensava e camminava, a ritroso accanto al muro. Poi sentì il rumore.
Un rumore alle sue spalle, indefinito, lontano, secco e veloce insieme. Senza rimbombo, o eco.
Concluse che fosse uno dei tanti rumori del vecchissimo edificio, o magari qualcuno che si muoveva ai piani di sopra… sempre che ci fossero dei piani di sopra, dato che per quanto aveva camminato con la guardia, si poteva dire che la cella fosse lontanissima dal nucleo centrale della prigione.
Nel buio, ancora, sentì un suono. Un rumore veloce, un passo.
“Chi c’è”, pensò.
- Chi c’è? - urlò, senza voltarsi, e un brivido gli percorse le ossa mentre aspettava la risposta.
Ma non udì niente; e intuendosi ancora i brividi addosso, avvertì una goccia di sudore percorrergli la schiena. Si aspettava forse una risposta, lì sotto? Se ci fosse stato qualcun altro lì dentro, lo avrebbe chiamato non appena lo avesse visto entrare nella stanza. E comunque, questo ipotetico qualcuno sarebbe sicuramente stato vicino alla porta. Indubbiamente. Immaginò una fine della cella, in cui l’altro prigioniero, seduto, fermo, sdraiato, immobile, lo aveva visto entrare e stanco per…
Ma ecco, un nuovo rumore, un nuovo passo. Sentì più forte l’odore disgustoso di prima. Forte, intenso, nauseante.
Si voltò, e “chi c’è” ancora disse.
La risposta fu, questa volta, un altro passo. E un altro. E un altro. Si accorse di avere iniziato a tremare e di stare anche ansimando. “Chi è là?”, urlò.
Passo, e passo. Non sembrava neanche che i rumori si avvicinassero. Forse non erano passi, forse era davvero qualcos’altro, di esterno alla cella. L’idea portava un insospettabile sollievo; essere solo, lì dentro, gli sembrava la cosa migliore al mondo. Solo, assolutamente solo, senza nessuno che camminasse. Chi aveva bisogno di qualcuno, lì? Era solo. Era solo?
No. Sentiva distintamente, e non con l’udito, che qualcuno c’era. E che in realtà si avvicinava. Avvicinava.
Si ritrovò a camminare ancora, anzi a correre lungo il muro verso la porta. Non poteva controllarsi, e riconobbe di essere nel panico. Dimenticò anche di mettere una mano avanti a sé.
E di colpo sentì l’odore acido, fortissimo; poi si accorse di essere disteso a terra, con un forte dolore alla fronte una sensazione di calore sul volto.
Aveva battuto al muro, il muro dove stava la porta. Era vicino all’angolo, e nonostante un fortissimo giramento di testa riuscì a mettersi seduto e rannicchiarsi.
Gli sembrò di avere i sensi amplificati; perfettamente avvertiva il freddo delle pietre su cui poggiava le spalle, l’umidità dell’aria, l’odore, la puzza del suo sangue mista a quella dei cadaveri in putrefazione, e il suono di passi, passi che si avvicinavano. Passi, sicuramente passi, piedi nudi uno davanti all’altro nel buio.
Non potevano vederlo, certo; ma il rumore? Il suo stesso camminare e la botta contro il muro e la sua voce e tutto quel girare di testa…i passi, tanti, più di una persona, più d’un morto avanzare, correre ora verso di lui.
Ansimava, e tremava, e ansimava sentendo il sapore ferroso del sangue tra i denti. I morti? Ma quali morti? Era da solo, lì. Nessun passo, nessun odore, solo la sciocchezza e la stupidità della paura… si ricordò della coperta che gli aveva promesso la guardia. Gli venne da sorridere, ma non lo fece.
Non poté sorridere e fissò tremante il buio davanti a sé. E poi, quando nell’oscurità quelli correvano, senza respirare, o ansimare anche loro, niente, senza emettere nessun suono se non quello degli odiosissimi passi, lui urlò, al limite dell’orrore; urlò, sperando che qualcuno lo sentisse, al di là della porta, al di là dei muri, la guardia, la coperta, lontano. E urlò ancora, prima che i passi e l’odore gli fossero addosso, gridando e sempre chiedendo: “Chi c’è? Chi c’è?”.


Edited by RedRedemption - 2/11/2012, 16:23
 
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wyjkz31
view post Posted on 16/10/2012, 17:52




Mi hai incuriosito, mi hai tenuto con il fiato sospeso, mi hai fatto venire i brividi e poi lasci tutto inspiegato?
Eh, no. Non si fa così!
Un piccolo dubbio mi era venuto quando ho visto che la tiravi per le lunghe, ma ho sperato fino all’ultimo di sbagliarmi.
Il racconto si legge bene e cattura l’attenzione; non mi è piaciuto molto solo per la faccenda del finale, una semplice questione di gusto personale.

Ti segnalo quello che ho notato
CITAZIONE
gente presa e spostata in altre camere,

in una prigione non metterei delle camere
CITAZIONE
a tutto quelle storie

CITAZIONE
La guardia continuò a guidarlo per anfratti e alcove

alcove?
CITAZIONE
Stava già per voltarsi e chiedergli di portarlo altrove,

un prigioniero non mi sembra sia nella posizione di esprimere delle preferenze.
CITAZIONE
Chiaramente c’era qualcosa di sbagliato

Era un pezzo che il nostro prigioniero girava nel buio più assoluto e quel “chiaramente” mi ha fatto un po’ ridere.
 
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RedRedemption
view post Posted on 16/10/2012, 19:00




Mi rendo conto che alcove è un po' improprio, come anche "camere". Volevano essere allusioni alla natura "mista" dell'edificio. Penserò a dei validi sostituti : |
La richiesta del prigioniero, invece, dovrebbe essere giustificata in funzione del rispetto che la guardia gli porta - che ho tentato di esprimere con l'uso del "voi", della promessa della coperta, ecc. Forse avrei dovuto esplicitare un maggior grado di confidenza?
"Chiaramente" sarebbe da sostituire con "oscuramente", allora? :P

Correggo subito quel "tutto" e ringrazio per il commento :) sul finale non mi esprimo, per ora, non volermene male ^^

EDIT: Oh e se ci sono consigli generali sullo stile dici/dite pure :0
 
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davide2283
view post Posted on 16/10/2012, 19:24




Ciao! Ti chiedo una cosa...ma perchè l'uso (peraltro reciproco) del voi? È ambientato in Campania ( mfr_lol ) oppure nel secolo scorso? Se così fosse io l'avrei esplicitato, magari mettendo all'inizio del racconto qualcosa del tipo "Carcere XXXX, YYYY (località), ZZZZ (anno)". Lasciato così, decontestualizzato, mi sembra un po' ridicolo questo modo di rivolgersi. È una mia idea, magari nessun altro è d'accordo, però è la prima cosa che ho pensato quando ho cominciato a leggere.
Andando avanti nella lettura, ho trovato gli ambienti descritti bene, con buon lessico e uso della lingua italiana (e non è poco, credimi). Nonostante ciò, hai secondo me rallentato troppo il ritmo soffermandoti troppo su alcune cose che alla lunga stancano e distolgono l'attenzione. In un racconto breve di questo genere, infatti, rapire l'attenzione del lettore in ogni riga è tutto: se il livello d'attenzione scende, anche solo per un attimo, il racconto non renderà più al 100%. Nella fattispecie, ho trovato un po' tediosa la questione "Dove mi stai portando? Ti porto in isolamento", siparietto che si ripete almeno 3, se non 4 volte. Una volta che gliel'ha detto, direi che può bastare. Sarebbe stato meglio che la guardia ignorasse del tutto il prigioniero, gli avrebbe fatto venire più paura (a lui e a noi), invece di rispondergli ogni volta allo stesso modo come un disco rotto, e in modo così educato poi (di solito i secondini non sono così soft con i detenuti).
Un po' troppo lunga mi pare anche la parte in cui il detenuto misura la cella. Quando poi capisce (o crede di capire) che c'è qualcun altro, tutto ciò che fa è chiedere a disco rotto "Chi c'è" fino alla fine. E all'inizio va pure bene, poi però speravo che facessi succedere qualcosa, tipo che il prigioniero venisse attaccato, ucciso da un nemico invisibile che forse neanche esiste. Invece lui continua a dire "Chi c'è" e basta, e il racconto termina così, bruscamente, senza che sia in sostanza successo alcunché. E senza soprattutto dare nessun indizio, nessuno spunto che permetta al lettore di chiedersi se questa presenza sia reale (sì, c'è l'odore strano, ma in una cella nei sotterranei sentire puzza penso sia normale).
Non so, ho aspettato un po' a scrivere questo commento perchè volevo rileggere il tutto per bene. In sostanza ti dico questo: il racconto è ben scritto, ma così com'è secondo me è incompiuto, manca l'azione. La suspence, quella c'è (a meno di levare qualche ripetizione inserita senz'altro di proposito ma che rallenta troppo il ritmo) ma poi non si traduce in un brivido, o in qualcosa che possa far pensare alla sorte del prigioniero, ad arrovellarsi sulla realtà o meno delle sue sensazioni.
 
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RedRedemption
view post Posted on 16/10/2012, 20:37




Rispondo anche a te davide :)
Come scrivevo anche nel commento precedente, l'uso del "voi" vuol alludere ad una forma di rispetto del secondino nei confronti del prigioniero, che può essere interpretata come allusiva ad un'epoca diversa dalla nostra, ad un personaggio particolare, e via discorrendo. Non vuole avere una valenza significativa ai fini della narrazione stessa, semplicemente mi piaceva. Probabilmente però contribuisce a rendere il tutto ulteriormente indefinito.
A dirla tutta, "l'indefinito" era stato il programma nella stesura di questo racconto, ma dal tuo commento (e da quello di wyjkz) intuisco che c'è qualcosa che non va. Ho in mente qualche cambiamento al testo, basato su ciò che mi avete detto, ma mi permetto di leggere qualche altro commento prima di modificare.

E comunque grazie per i complimenti sul modo di scrivere :)

Edited by RedRedemption - 17/10/2012, 12:01
 
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ej.memories
view post Posted on 16/10/2012, 22:35




ciao! concordo come sempre con davide
leggendo il tuo racconto sono rimasto piacevolmente impressionato e incuriosito ma anche io ho sbuffato all'ennesime ripetizione sul freddo/umido, sull'isolamento ecc. Mi permetto di dirti che sforbiciando questi in favore di qualche riga aggiuntiva sul finale la tua opera ne gioverebbe non poco. L'idea poi del tuo racconto mi piace e nel contesto del concorso è pure originale. In sostanza, dopo tutte queste bella premesse ti manca solo un bel finale, e diciamo che puoi spaziare un po' dove vuoi.
Buon lavoro e complimenti
 
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Atropos
view post Posted on 17/10/2012, 12:34




PIl finale arriva come una mazzata sui denti lasciandoti un po sbigottito, vorresti sapere chi c'è o che cos é ma la curiosità ne resta smorzata xche ne hai talmente abbastanza di quella prigione,ne rimango così impaurito che faccio spallucce e mi sussurro che va bene così


_\m/
 
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bibina74
view post Posted on 18/10/2012, 18:32




Ciao Red, mi spiace ma condivido e sottoscrivo tutti gli appunti che ti ha fatto Davide. Scrivi bene e senza errori e qs è buono, però il ritmo è un pò lento, sono arrivata a metà a fatica ma ho proseguito sperando in qualche colpo di scena che mi risvegliasse, invece niente.
Ripeti tante volte che stanno andando in isolamento e ti dilunghi troppo sulla descrizione di lui che tasta qs benedetti muri, tutta qs tensione, tutto qs pathos e poi?
Mi sembra grammaticalmente una buona prova ma come racconto horror/noir un pò deboluccio....cmq il tempo per metterlo a posto c'è quindi se riesci a rivedere qcsa può venir fuori un bel pezzo!!!
Io tenterei!
 
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view post Posted on 18/10/2012, 18:39

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Secondo me tu scrivi molto bene. Hai un buon linguaggio espressivo. la descrizione della prigione è così vera, claustrofobica, dà veramente i brividi. Forse dico una sciocchezza, ma mi ha ricordato così, vagamente, il Conte di Montecristo che attende che il tempo passi in mezzo a quello squallore e a quella disperata solitudione. Forse anche il Voi che hai usato, che sa di antico, mi ha fattto tornare indietro nel tempo, in un passato non ben definito, che la mia fantasia a ricollegato, appunto al conte. Ripeto, secondo me hai il dono di scrivere molto bene. Hai creato un clima di attesa da vero romanziere. Hai decritto tutto lo sconforto e la solitudine del carcerato. E quelle pietre, e l'odore stantio. Io il "non" finale, se così posso esprimermi, penso di averlo capito. L'ho interpretato come una situazione di gelo che dura per l'eternità. Non c'è più nullla, non c'è più speranza, oltre quella porta.
Ma, dopo averci fatto venire i brividi, dentro quella prigione, perchè non ci regali anche un finale mozzzafiato?
Complimenti. Benvenuto ed in bocca al lupo!
Pat
 
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RedRedemption
view post Posted on 19/10/2012, 22:41




Ho riletto il racconto e tutti i vostri commenti, e sono arrivato ad alcune conclusioni:

1) Probabilmente l'introduzione con la guardia può essere limata. E' l'unica sezione in cui mi pare di individuare ripetizioni che appesantiscono il racconto. In particolare vorrei eliminare :
" No, noi andiamo da un’altra parte.
- Dove?
- In isolamento.
- Ma non è qui?
- Non per voi."
E forse anche un paio di altre battute.

2) Sui pensieri del prigioniero della cella, e suoi suoi tentativi di misurazione: nel buio viene totalmente a mancare l'elemento visivo, e credo sia necessario insistere sulle altre percezioni sensoriali e sulle sue impressioni. Il tutto è finalizzato a concentrare l'attenzione sulla solitudine e sull'impossibilità di verifica di ciò che sta effettivamente accadendo - difatti tendiamo a fidarci molto della vista rispetto che degli altri sensi, e ciò che volevo trasmettere era l'insicurezza del personaggio e l'incapacità di determinare cosa è reale e cosa no.

3) Questo senso di indefinito avrei voluto che si trasmettesse allo stesso lettore, che vorrei rimanesse con un vago dubbio su come finisca la storia; un dubbio che non deve essere totale, però, e che in teoria avrebbe dovuto essere attenuato da elementi "oggettivi" come:
- l'uso del coltello della guardia come "precauzione"
- le leggende sul convento
- l'ultima frase "E urlò ancora, prima che i passi e l’odore gli fossero addosso, gridando e sempre chiedendo: “Chi c’è? Chi c’è?”.
". Sostanzialmente si dice che i passi arriveranno sul protagonista, senza forse e senza ma.

Chiedo dunque: se l'ultima frase fosse "E urlò ancora, per l'ultima volta, prima che i passi e l’odore gli fossero addosso, gridando e sempre chiedendo: “Chi c’è? Chi c’è?”. " vi risulterebbe più completo? Devo proprio scrivere che il tipo ci tira le cuoia? O magari descrivere nel dettaglio cosa sono questi affari che gli stanno per camminare addosso? Trovo che il racconto sia compiuto, e che una ulteriore esplicitazione dei fattori di cui sopra sia meramente una questione di stile. E, nella fattispecie, trovo che la spiegazione uccida sempre un po' di atmosfera.
O forse m'inganno, e ho preteso troppo da poche parole che credevo sarebbero bastate a spiegare? In questo caso, sono pronto ad aggiungere quanto necessario, e a regalarvi un finale che soddisfi me e voi (speriamo bene) ò___ò
 
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slayercetty
view post Posted on 20/10/2012, 04:26




Bruttissimo! (in senso più che buono :P )

Dà proprio i brividi: l'ansia, la claustrofobia dell'isolamento, la sensazione di non essere soli e la paura di essere soli che si mescolano, il terrore dell'indefinito...

Questo racconto mi è proprio piaciuto. :)

Hai un bello stile vivace e forbito, che guida bene il lettore fino alla fine. :D :P

Personalmente non penso tu debba dire di più nel finale: i brividi ci sono già così e, sia che l'uomo rinchiuso si stia immaginando tutto, scivolando nella follia,
sia che ci sia davvero qualcosa di rancido e di morto che sta per ucciderlo, il racconto funziona.
:P
Ci sono un paio di piccolezze da sistemare:

QUOTE
, c’era sempre una gran confusione (qui manca una "e" o una virgola) una gran voglia di chiacchierare.

QUOTE
Le rare fiaccole non riuscivano ad illuminare tutto lo spazio, e (eliminerei la virgola o la "e") molte gallerie parevano perdersi nel buio, indistinte.

QUOTE
(...) ora (qui manca lo spazio) la noia faceva posto alla paura e a tutte quelle storie sulla gente scomparsa nel carcere; certo quando c’era un’esecuzione lo si sapeva subito… (anche qui va uno spazio) ma se le guardie avessero voluto far tutto di nascosto?

QUOTE
Non c’era assolutamente nessuna fonte di luce nella stanza, e appena la torcia del secondino riusciva appena ad illuminare l’ingresso. (spostando il termine, la frase risulterebbe più chiara e si leggerebbe meglio)

QUOTE
Del resto, non aveva mai trovato dei muri rincuoranti, prima di allora… (manca uno spazio) neppure nel carcere normale, lì sopra.

QUOTE
Concluse che fosse uno dei tanti rumori del vecchissimo edificio, o magari qualcuno che si muoveva ai piani di sopra… (spazio) sempre

QUOTE
Ma quali morti? (andrei a capo) Era da solo, lì. (andrei a capo) Nessun passo, nessun odore, solo la sciocchezza e la stupidità della paura… ( spazio) si ricordò della coperta che gli aveva promesso la guardia.

Spero di esserti stata d'aiuto in qualche modo.

In bocca al lupo e ancora complimenti! :)
 
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view post Posted on 20/10/2012, 18:01
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@ Francesco, siì ebbene sì, mi sembrava di poter vedere quel tugurio, quella grotta.

Scrivi molto bene.

come ti hanno già fatto notare, torgliere delle ripetizioni, che appesantiscono il racconto.

Ok Alla prossima :D
 
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marcoad82
view post Posted on 20/10/2012, 18:10




Ciao, l'idea di far spaventare a morte il protagonista senza mai chiarificare se una minaccia ci fosse veramente è molto buona. Una cella totalmente buia, puzzolente ed enorme come quella farebbe impazzire chiunque... Riesci bene a spaventare anche il lettore!

Però qualcosa non mi ha convinto.

1) Il protagonista viene recluso in isolamento per un capriccio dei suoi aguzzini. Ma il carceriere che lo accompagna mi sembra fin troppo "rassicurante" come figura. Lo sorregge quando sta per cadere, e sembra molto gentile nei suoi riguardi. Gli dice anche che gli porterà una coperta... avrei preferito un truce bastardo.

2) I due personaggi si danno del voi. Perché? Ormai si usa solo in Topolino. Oltretutto all'inizio ho creduto che i prigionieri fossero più di uno. Il carceriere deve avere un gran rispetto per quel rifiuto umano che sbattono nel dimenticatoio...

3) una svista:

CITAZIONE
orala noia

4) Poi alcune frasi che secondo me sono poco efficaci.

CITAZIONE
“Sembra,” considerò, “che la stanza sia quadrata, o al massimo rettangolare

Ok, la stanza poi aveva una strana forma. Ma lui come poteva intuirlo? Normalmente se una stanza non è quadrata, di certo non può essere triangolare...

CITAZIONE
“Piangerò vicino alla porta”, si disse istintivamente

Insomma, un vero uomo. :P

CITAZIONE
più d’un morto avanzare, correre ora verso di lui.

"Morto"? come gli è venuto in mente?

CITAZIONE
E poi, quando nell’oscurità quelli correvano, senza respirare, o ansimare anche loro, niente, senza emettere nessun suono se non quello degli odiosissimi passi, lui urlò, al limite dell’orrore; urlò, sperando che qualcuno lo sentisse, al di là della porta, al di là dei muri, la guardia, la coperta, lontano.

Frase troppo lunga. Potresti sostituire il punto e virgola con un punto. E poi è un po' contorta, secondo me dovresti metterla giù meglio.


Nel complesso non è male, il suo lavoro di buon horror lo svolge. Però rivedrei qualche frase...

Ciao, e buona fortuna!

Marco
 
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Lavella
view post Posted on 21/10/2012, 10:50




Ti segnalo qualche piccolo refuso:
Girò su sé stesso (toglierei l'accento, la maggior parte delle grammatiche lo considera superfluo) e prese a fare la strada al contrario, in direzione della porta. Non poteva aprirla, sicuramente, ma era pur sempre l’unica cosa che rappresentasse il mondo fuori dalla cella; la cella, l’oceano di buio che al momento lo opprimeva così orribilmente. Trovò ulteriore conforto pensando al momento in cui ne sarebbe uscito, finalmente, e avrebbe protestato con la guardia su quel trattamento incredibile. Ammesso che gli fosse consentito protestare,certo (Qui manca solo uno spazio).
Pensava e camminava, a ritroso accanto al muro. Poi sentì il rumore.
Un rumore alle sue spalle, indefinito, lontano, secco e veloce insieme. Senza rimbombo, o eco.
Concluse che fosse uno dei tanti rumori del vecchissimo edificio, o magari qualcuno che si muoveva ai piani di sopra…sempre che ci fossero dei piani di sopra, dato che per quanto aveva camminato con la guardia, si poteva dire che la cella fosse lontanissima dal nucleo centrale della prigione.
Nel buio, ancora, sentì un suono. Un rumore veloce, un passo.
“Chi c’è”, pensò.
- Chi c’è? - urlò, senza voltarsi, e un brivido gli percorse le ossa mentre aspettava la risposta.
Ma non udì niente; e intuendosi ancora i brividi addosso, avvertì un goccia (una goccia) di sudore percorrergli la schiena. Si aspettava forse una risposta, lì sotto? Se ci fosse stato qualcun altro lì dentro, lo avrebbe chiamato non appena lo avesse visto entrare nella stanza. E comunque, questo ipotetico qualcuno sarebbe sicuramente stato vicino alla porta. Indubbiamente. Immaginò una fine della cella, in cui l’altro prigioniero, seduto, fermo, sdraiato, immobile, lo aveva visto entrare e stanco per…


Il racconto mi ha dato emozioni forti, claustofobiche direi ... Molto particolare, complimenti!

P.S. SOS ai moderatori non riesco ad usare la funzione citazione!!
 
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marcoad82
view post Posted on 21/10/2012, 10:55




pulsante QUOTE alla tua sinistra, anche io ci ho messo un po' a capirlo... ;)
 
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45 replies since 16/10/2012, 14:28   535 views
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