Premessa: questa è la seconda versione del 06/11/2012, la prima la trovate in fondo come spoiler.
Non so perché mi trovo in strada a quest'ora della notte, forse avevo solo bisogno di passeggiare per schiarirmi le idee: è stata una settimana pesante al lavoro e un po' di sano relax non può che farmi bene.
L'aria è già molto fresca e io indosso solo una leggera sottoveste; eppure sono certa di essermi cambiata prima di uscire. Ricordo benissimo di aver indossato i miei jeans preferiti e una felpa nera... o l'ho solo sognato?
In ogni caso così sto proprio comoda, mi vien voglia di andare al mare.
Invece mi dirigo verso la stazione, ho proprio voglia di fare un bel viaggio.
Le strade della mia città sono strette vie collegate tra loro da ampi cortili dove i bambini crescono giocando a palla avvelenata, proprio come ho fatto io.
Per fortuna l'illuminazione è buona grazie anche alla splendida luna che mi fermo ad ammirare di tanto in tanto.
Decido di prendere una scorciatoia attraversando uno di quei cortili ma me ne pento subito. Una donna bionda, tutta trafelata, infila di corsa un bambino in auto cercando di allacciare bene il seggiolino mentre un uomo, presumo suo marito, le urla dietro a pieni polmoni che non la passerà liscia, che lui non è così violento come lei lo descrive.
Mi faccio piccola piccola sperando di passare inosservata e tuttavia non posso fare a meno di sbirciare, curiosa come sono; lei, capelli sfibrati e tinta per niente naturale, indossa una tuta blu sgualcita da troppi lavaggi, a guardare bene potrebbe anche essere un pigiama; lui, magro all'inverosimile, ha il viso scavato, gli zigomi sporgenti e gli occhi che sembrano voler uscire dal loro posto.
L'auto parte e l'uomo rientra in casa sbattendo la porta.
Io mi addentro nel vicolo dietro di me per allontanarmi da quella brutta situazione e tornare così a godermi la passeggiata in silenzio.
Che illusa! L'uomo, ancora più sconvolto e sudato sbuca da una porta seminascosta nel buio del vicolo che solo adesso mi rendo conto essere cieco.
Non ho nemmeno il tempo di alzare le mani per ripararmi il viso, lui mi colpisce con un martello e perdo subito i sensi.
Spirali colorate, quadrati incastrati uno nell'altro, equazioni complicate, lampi di luce accecante, un televisore sintonizzato su una trasmissione in bianco e nero, ciocche di capelli, un orsetto di pezza, le mie gambe nude legate con una corda stretta: questo è ciò che vedo prima di ritrovare la lucidità necessaria per capire dove sono.
Mi trovo in un salotto scialbo, grigio; la tappezzeria è scolorita e a tratti anche strappata. Il pavimento è cosparso di vari oggetti (tra cui riconosco il martello che mi è arrivato prima in faccia) e di stracci impregnati di sangue.
Appena mi rendo conto che si tratta del mio ho un piccolo shock! La stanza inizia a ruotarmi intorno e nel frattempo il mio carnefice mi osserva come un topo da laboratorio.
Sento la nausea salire dallo stomaco e un ronzio nelle orecchie, segno che sto per svenire di nuovo, ma l'uomo me lo impedisce piazzandosi di fronte a me e urlando come un ossesso.
Inizialmente non capisco quello che dice e penso sia colpa del sangue che ho perso o di qualche droga che mi ha iniettato. Rimango a guardarlo a bocca aperta per qualche minuto mentre cerco di mettere ordine nella mia testa.
Allora mi guardo intorno evitando di soffermarmi sulla pozza scarlatta a pochi centimetri dai miei piedi.
Un souvenir di Firenze poggiato sul tavolino vicino al divano, un quadro raffigurante un veliero appeso sulla parete dietro di me (lo vedo attraverso uno specchio dell'ingresso), e piantine grasse di tutte le forme disposte in modo meticoloso negli angoli della stanza.
D'un tratto il coraggio che credevo di avere mi abbandona, il mio respiro si fa più pesante e veloce, sì, sto per avere un attacco di panico!
Calmati! Respira! Non è come sembra! Non sei stata rapita da uno psicopatico!
Non è possibile! Proprio a me doveva capitare!
Piagnucolo come una ragazzina e questo viene interpretato come un invito a fare conoscenza.
Il maniaco si siede su uno sgabello a pochi centimetri da me e inizia a parlarmi confidenzialmente; probabilmente mi ha scambiata per qualcun'altra... oddio! Mi parla come fossi sua moglie.
Si accorge certamente della mia disperazione ma la ignora continuando a rimproverarmi questo atteggiamento fastidioso e quell'episodio spiacevole.
Provo quindi a dire qualche parola ma ora sono certa di essere drogata: la mia lingua è intorpidita, non riesco a impostarla in modo da dire una parola sensata. Riesco a mettere insieme solo due lettere per dire semplicemente... no.
Basta questo per scatenare la sua reazione del tutto irrazionale.
Ma non posso fare altro che guardarlo, inerme, mentre riprende in mano il martello e, senza una spiegazione, mi colpisce più volte.
Vedo gli schizzi di sangue sui mobili, i suoi occhi spalancati e rabbiosi, la sua mano ossuta che mi viene incontro ripetutamente con violenza.
Eppure non sento dolore, non mi sfugge nemmeno un grido di terrore: mi sembra di osservare la scena dall'alto e penso che quella povera ragazza non merita una fine così meschina solo perché assomiglia vagamente alla moglie di un pazzo.
Ecco questo è l'ultimo colpo, me lo sento: mira proprio in mezzo agli occhi...
Spirali colorate, quadrati incastrati uno nell'altro, equazioni complicate, lampi di luce accecante, un televisore sintonizzato sulla replica notturna di “Striscia la Notizia”, ciocche di capelli, un orsetto di pezza, le mie gambe nude distese sul divano: questo è ciò che vedo prima di ritrovare la lucidità necessaria a capire dove sono.
Mi trovo nel salotto di casa mia; la tappezzeria familiare è ancora fresca di ristrutturazione. Il pavimento è cosparso di vari oggetti tra cui riconosco le mie ciabatte e la scatola della pizza con cui ho cenato ieri.
Mi guardo intorno un po' stordita, stropiccio gli occhi e, sollevata, recupero il telecomando poggiato sul tavolino vicino al divano.
Grazie a Dio, mi dico, era solo un incubo.
Non so perché mi trovo in strada a quest'ora della notte, forse avevo solo bisogno di passeggiare per schiarirmi le idee.
L'aria è già molto fresca e io indosso solo una leggera sottoveste; eppure sono certa di essermi cambiata prima di uscire. Ricordo benissimo di aver indossato i miei jeans preferiti e una felpa nera... o l'ho solo sognato?
In ogni caso così sto proprio comoda, mi vien voglia di andare al mare.
Invece mi dirigo verso la stazione.
Le strade della mia città sono strette vie collegate tra loro da ampi cortili dove i bambini crescono giocando a palla avvelenata, proprio come ho fatto io.
Per fortuna l'illuminazione è buona grazie anche alla splendida luna che mi fermo ad ammirare di tanto in tanto.
Decido di prendere una scorciatoia attraversando uno di quei cortili ma me ne pento subito. Una donna bionda, tutta trafelata, infila di corsa un bambino in auto cercando di allacciare bene il seggiolino mentre un uomo, presumo suo marito, le urla dietro a pieni polmoni che non la passerà liscia, che lui non è così violento come lei lo descrive.
Mi faccio piccola piccola e spero di passare inosservata ma non posso fare a meno di sbirciare, curiosa come sono; lei, capelli sfibrati e tinta per niente naturale, indossa una tuta blu sgualcita da troppi lavaggi in lavatrice, a guardare bene potrebbe anche essere un pigiama; lui, magro all'inverosimile, ha il viso scavato, gli zigomi sporgenti e gli occhi che sembrano voler uscire dal loro posto.
L'auto parte e l'uomo rientra in casa sbattendo la porta.
Io mi addentro nel vicolo dietro di me per allontanarmi da quella brutta situazione sperando di tornare così a godermi la passeggiata in silenzio.
Ma mi ero illusa. L'uomo, ancora più sconvolto e sudato sbuca da una porta seminascosta nel buio del vicolo che solo adesso mi rendo conto essere cieco.
Non ho nemmeno il tempo di alzare le mani per ripararmi il viso, lui mi colpisce con un martello e perdo subito i sensi.
Spirali colorate, quadrati incastrati uno nell'altro, equazioni complicate, lampi di luce accecante, un televisore sintonizzato su una trasmissione in bianco e nero, ciocche di capelli, un orsetto di pezza, le mie gambe nude legate con una corda stretta: questo è ciò che ricordo prima di ritrovare la lucidità necessaria per capire dove sono.
Mi trovo in un salotto scialbo, grigio; la tappezzeria è scolorita e a tratti anche strappata. Il pavimento è cosparso di vari oggetti (tra cui riconosco il martello che mi è arrivato prima in faccia) e di stracci impregnati di sangue.
Appena mi rendo conto che si tratta del mio ho un piccolo shock! La stanza inizia a ruotarmi intorno e nel frattempo il mio carnefice sembra inscenare un ballo rituale.
Sento la nausea salire dallo stomaco e un ronzio nelle orecchie, segno che sto per svenire di nuovo, ma l'uomo me lo impedisce piazzandosi di fronte a me e urlando come un ossesso.
Non capisco quello che dice e penso sia colpa del sangue che ho perso o di qualche droga che mi ha iniettato. Invece, facendo uno sforzo di concentrazione, mi rendo conto che sta parlando un'altra lingua. Rimango a guardarlo a bocca aperta per qualche minuto mentre cerco di mettere ordine nella mia testa.
Allora noto un Corano poggiato sul tavolino tra i divani, un tappeto persiano appeso sulla parete dietro di me (lo vedo attraverso uno specchio dell'ingresso), e diverse statuine raffiguranti non so quale dio straniero disposte in modo meticoloso negli angoli della stanza.
Mi costringo a pensare che no, non sono razzista ma, oddio, proprio in casa di un musulmano dovevo capitare?
Lo guardo recitare quella che sembra una preghiera, dopodiché prende in mano il Corano e lo sfoglia velocemente; arrivato alla pagina che cercava si siede su uno sgabello a pochi centimetri da me e inizia a parlarmi in italiano della bellezza delle tradizioni islamiche, mi descrive le feste e i colori e io provo un altro shock, questa volta più grande, quando gli sento proclamare orgoglioso che anch'io potrò godere di tutto questo quando mi porterà nella sua città, dalla sua famiglia, in Africa!
Si accorge certamente della mia disperazione ma la ignora continuando a parlare di cous cous e palme centenarie e stoffe pregiatissime.
Provo quindi a dire qualche parola ma ora sono certa di essere drogata: la mia lingua è intorpidita, non riesco a impostarla in modo da dire una parola sensata. Riesco tuttavia a mettere insieme due lettere per dire semplicemente... no.
Basta questo per scatenare la sua reazione che io trovo del tutto irrazionale.
Ma non posso fare altro che guardarlo, inerme, mentre riprende in mano il martello e, senza una spiegazione, mi colpisce e io perdo subito i sensi ancora una volta.
Spirali colorate, quadrati incastrati uno nell'altro, equazioni complicate, lampi di luce accecante, un televisore sintonizzato sulla replica notturna di “Striscia la Notizia”, ciocche di capelli, un orsetto di pezza, le mie gambe nude distese sul divano: questo è ciò che ricordo prima di ritrovare la lucidità necessaria a capire dove sono.
Mi trovo nel salotto di casa mia; la tappezzeria familiare è ancora fresca di ristrutturazione. Il pavimento è cosparso di vari oggetti tra cui riconosco le mie ciabatte e la scatola della pizza con cui ho cenato ieri.
Mi guardo intorno un po' stordita, stropiccio gli occhi e, sollevata, recupero il telecomando poggiato sul tavolino tra i divani.
Grazie a Dio, mi dico, era solo un incubo.
Edited by caterina.russo - 10/11/2012, 15:13