| Luce. Una luce tenue, nonostante siano le prime ore del pomeriggio, filtra con fatica dalle ferite nelle tapparelle semichiuse. Tra qualche ora lascerà il posto ai raggi artificiali di un lumicino da camera. È un eterno crepuscolo, in questa stanza dai muri smorti. Persino il tempo si è fatto ozioso e scorre con altre regole, altri ritmi. Quanto tempo è passato? Il volto di Dayne è imperlato di sudore estivo. Le colorate brezze primaverili se ne sono andate, cacciate via nel grigio fracasso delle scosse e delle macerie. Macerie di case, macerie di vita. Carol dorme da settimane ormai. Quando i soccorsi avevano aperto quella tomba di metallo accartocciato che un tempo era un ascensore, la massima aspirazione era stata recuperare un corpo riconoscibile. E invece qualche forza invisibile, aveva, chissà come, sorretto Carol in quella discesa verso l'inferno. L'opera di un angelo? Del caso? Dayne lo ignorava. Di certo, avrebbe preferito un aiuto più deciso. Quel limbo tra la vita e la morte era logorante nella sua incompiutezza imperscrutabile. Un ascensore fermo tra due piani, con le porte bloccate. Non poteva lasciarsi andare a un riso liberatorio, né a un pianto amaro ma consapevole. Chissà se provava lo stesso anche l'amore della sua vita: Dayne le parlava spesso, stringendole teneramente la mano e a volte pareva che lei lo riuscisse a udire. Ma il più delle volte invece, sembrava piuttosto in preda a una lotta personale, interiore. Un'anima perduta in cerca del suo destino. «Buonasera.» Quella voce, dal tono odiosamente neutro, lo interrompe dai soliti crucci. La conosce bene: appartiene all'infermiera pelle e ossa che, con altre tre colleghe, presta servizio in quel reparto. «Allora, come sta la bella addormentata?» aggiunge la donna senza rivolgere la domanda a nessuno in particolare, ravviandosi al contempo i corti capelli biondi e avvicinandosi al lettino. Dayne odia quando chiama Carol in quel modo, ma ha ormai abbracciato la stoica via della sopportazione. Nel suo solito modo brusco da fredda professionista la donna infila una siringa nella farfalla che fa ormai parte del braccio destro di Carol. Soltanto quando lo stantuffo sta già rubacchiando la rossa bevanda, precisa: «Un piccolo prelievo. È la routine.» Ma Dayne non la sta neanche ascoltando. È perso nel volto del suo amore, che d'improvviso ha visto contrarsi per un'emozione che non vedeva da tempo e che lo spaventa. E mentre lo stantuffo continua il suo furto di linfa vitale, lei schiude le piccole labbra sottili e pronuncia tre lettere. Tre semplici lettere che pure per Dayne rappresentano un invincibile spettro del passato, un ombra sull'amore fra lui e Carol che non è mai riuscito del tutto a cancellare dalla mente di lei. «S... a... m...»
Buio. Riapro gli occhi e sono immersa nel buio. Impenetrabile, denso, quasi fluido. Respiro a fatica, mi sento così debole. Sono sola. Non percepisco alcuna presenza in questa sorda oscurità. Neanche me stessa, neanche il battito del mio cuore. Sono forse morta? Oppure mi sono risvegliata a nuova vita? Sono mai stata viva? Il bello è che non ho affatto paura. Ripenso a Daniel. Mi ha ingannata e usata come una marionetta per uno scopo che ancora non comprendo. Non lo odio, in fondo. Poi il pensiero va a Sam. Il mio Sam. Ma no, non lo amo. Non più, almeno. Il suo ricordo mi è del tutto indifferente. Un angolino della mia testa mi suggerisce che questo non ha il minimo senso, che non posso accettare questo stato di cose con tanta indifferenza. Poi mi ricordo. “Il sangue caldo in cui scorrono tutte le emozioni e le sensazioni degli esseri viventi è il sangue al quale ogni Angelo e ogni Demone deve rinunciare per diventare ciò che è.” La Custode del Sangue ha compiuto la sua opera.
|