| Chi si fosse trovato a passare per via Milano un tardo pomeriggio come tanti, avrebbe senza dubbio notato un individuo sostare curiosamente davanti a ogni superficie in grado di riflettere la sua immagine. Proprio quella sera, un uomo non più giovanissimo aveva bisogno di far colpo a tutti i costi e, per una nervosa mania di perfezionismo, si fermava a ogni vetrina, portone o specchietto di automobile che adocchiava lungo la strada. Guardava dritto negli occhi quell'uomo alto, abbronzato e pensava... Nei suoi quarantadue anni di esistenza si era sempre chiesto se le donne lo considerassero attraente o meno. La risposta doveva essere sì, evidentemente, se si trovava su un marciapiede con in bocca un sorriso da pubblicità del dentifricio e un mazzo di fiori nella mano destra.
Spinto da una voglia di vivere persa di vista ormai da molto tempo, l'uomo continuava a ispezionarsi fin nel più infimo dei dettagli per convincersi di essere impeccabile: riavviava i lunghi capelli neri e si lisciava la barba riccia, che cominciava a farsi brizzolata; stirava le pieghe sulla maglia nuova o tirava un po' su i pantaloni, avvolti in una cintura da playboy incallito. Aveva persino verificato per quanto tempo avrebbe potuto trattenere quel poco di pancia che aveva, per decidere ben presto di lasciar perdere.
Da quando era uscito di casa, avvertiva la presenza di una gioia quasi insopportabile che gli comprimeva lo stomaco come normalmente si farebbe con una pallina anti-stress e che lui tentava di sfogare muovendo nervosamente la mano sinistra o strizzando convulsamente gli occhi. La verità era che non era più in grado di sopportare le emozioni, specie se così intense. Da tempo aveva smesso di credere che ci fosse qualcuno nel mondo in grado di ricambiare la sua grande capacità di amare, di colmare il bisogno d'affetto di cui sentiva la mancanza. Il solo pensiero di aver trovato quell'essere umano lo stordiva. E poi quanto... ma quanto era bella? Intuiva, senza però avere il coraggio di pensarlo chiaramente, che quella sarebbe stata la sua grande occasione per dimostrare almeno a una persona quanto valesse: si sarebbe vendicato di tutti quelli che lo avevano sempre deriso, di tutti i camici bianchi così bravi a trovare tante definizioni per lui, una più incomprensibile dell'altra, che alla fine erano sempre servite a imbottirlo di pastiglie che lo facevano dormire. E poi, gli insegnanti... anche loro, che dicevano che era un buono a nulla: li avrebbe invitati al suo matrimonio, sì, e li avrebbe umiliati, ricordando davanti a tutti come lo avevano torturato negli anni passati. Non avete creduto in me? Guardate cosa sono riuscito a fare: mi sono sposato con una ragazza bellissima, che mi sa capire, che mi ama davvero per come sono! Così avrebbe detto... Continuava a elettrizzarlo l'eccitazione per quella prospettiva di rivincita, come se ogni passo che muoveva la alimentasse e la facesse crescere di intensità: a metà strada, aveva ormai il cervello completamente annebbiato. Così tanto da pensare già ai nomi dei figli e da fermarsi per l'ennesima volta davanti ad una vetrina. Ma non per specchiarsi: era la vetrina di un'agenzia immobiliare. Iniziò a cercare con lo sguardo l'annuncio di un appartamento che potesse fare al caso suo: spazioso abbastanza per tre o quattro persone.
Lamentandosi tra sé per i prezzi degli appartamenti, riprese a camminare, immerso in un tramonto soffocato dallo smog. Cercava di immaginare, con il cuore che pulsava a mille, il momento in cui l'avrebbe stupita mostrandole i suoi quaderni fitti di poesie o le tele dipinte durante le notti insonni: le avrebbe detto con l'inchiostro ciò che non avrebbe mai avuto il coraggio di comunicare a voce. Quella ragazza sarebbe stata un'occasione unica per togliere la sua vita da quel limbo in cui era scivolata. Gliel'aveva detto anche sua madre, mentre gli aggiustava i capelli sulla porta di casa: “ Guai a te se te la fai scappare!”. Non sarebbe accaduto.
Procedeva a passo lento, per godersi ancora quel momento così dolce, pieno di attese e aspettative. In quegli istanti si sentiva invincibile: un novello super-man o, per modestia, qualcosa di simile ma dal profilo più basso. Camminava a testa alta, senza curarsi di quelle ragazze che, per chissà quale motivo, gli lanciavano strani sguardi da dietro gli occhiali da sole o di chi si lamentava dei suoi spintoni per farsi largo. Nessuno era degno di attenzione, niente poteva distoglierlo dalla meta: le macchine, le persone, i rumori altro non erano che comparse insignificanti in quell'episodio della sua vita, snodo cruciale per la vendetta del passato e la conquista del futuro.
Controllando l'orologio si accorse che il tempo gli giocava contro. Dato che non aveva certo voglia di arrivare tardi al primo appuntamento, accelerò il passo: ormai mancava poco.
Sfortunatamente, per quanto possa c'entrare la cattiva sorte con uno schizofrenico che da tre giorni non assume medicinali, la gioia e l'eccitazione si trasformarono improvvisamente in paura e profondo pessimismo. E se poi non si fosse presentata? Però aveva sorriso... E se fosse stato lui a capire male e invece gli aveva detto di sì per non ferirlo e poi non fosse venuta? O magari sarebbe arrivata, ma con le sue amiche, solo per dire: “Ehi guardate! Quello lì voleva uscire con me! ahah! Ma ci pensate?”. Non avrebbe potuto sopportarlo, lo sentiva! Sarebbe impazzito, si sarebbe chiuso in casa per il resto della sua esistenza: avrebbe lasciato che la sua vita si consumasse piano piano, giorno per giorno, come una candela lasciata accesa. Tremava, la mano e gli occhi sempre più nervosi. Aveva una gran voglia di vomitare.
Era finalmente giunto al luogo dell'appuntamento: un'insignificante fermata dell'autobus di periferia, ma di quelle “belle”, con pensilina, panchina e cartellone pubblicitario vicino a quello degli orari. Lei era già là, affascinante come il mare in tempesta, ancora più bella di quando l'aveva incontrata per la prima volta. Quel giorno, lui aveva notato i suoi sguardi insistenti e i sorrisini timidi, tanto intensi che alla fine aveva raccolto tutto il suo coraggio e le si era avvicinato. Il resto era degno di un noioso film d'amore di serie B: lui che saluta lei, lei che sorride timida, qualche chiacchiera di circostanza; tenero finale con lui paonazzo che chiede, salendo sull'autobus, se potrà rivederla e lei che continua a sorridere mentre lui urla: "Domani qui, a quest'ora!”
Ed eccolo il protagonista, puntuale come non lo era mai stato da quando aveva imparato a leggere le lancette dell'orologio. Insicuro, decise di controllare da lontano se fosse sola. Sembrava di sì! Ma quando si avvicinò ancora, la terra accelerò bruscamente sotto i suoi piedi e il sangue gli si fermò nelle vene. Non era sola. Non aveva potuto vederlo prima ma, nel punto esatto in cui si era trovato lui il giorno prima, c'era un altro uomo, più giovane e più bello, da quello che riusciva a scorgere. Ridevano: sembravano divertirsi.
Le belle speranze si frantumarono e franarono in un tempo infinitesimale. Iniziarono a sfilare nella sua mente le immagini più significative di una vita trascorsa ai margini di tutto, fatta di rabbia, vuoto e solitudine: i bulli a scuola, gli sguardi degli sconosciuti, o infastiditi o compassionevoli, in entrambi i casi ugualmente odiosi; la puzza d'ospedale che resta sui vestiti per giorni e infine la madre, che aveva scolato tutte le confezioni di profumo quando la cirrosi epatica non le aveva più permesso di trascinarsi al supermercato sotto casa.
La disperazione si impadronì di lui. L'incontro che avrebbe dovuto sancire la svolta, la fine di tutto ciò, aveva invece significato l'ultimo tradimento, l'ennesima umiliazione. Un gesto deciso, da uomo vero, lo avrebbe strappato dalla caduta libera in quell'abisso, sarebbe stato come una corda per chi stava affondando nelle sabbie mobili.
Chiunque si fosse trovato a passare per via Milano un tardo pomeriggio come tanti, avrebbe certamente notato un individuo, evidentemente alterato, stringere nella mano destra una grossa pietra, mentre la sinistra si contorceva in preda a degli spasmi. Troppo tardi per fermarlo, ormai: si era già lanciato sulla donna colpendo ogni centimetro, ogni parte del corpo che riuscisse a raggiungere. Non si curava del mondo intorno, di chi avrebbe potuto vederlo. La testa era satura di pensieri terribili, tutti finalizzati ad aumentare la sofferenza della ragazza. Colpiva, colpiva e colpiva ancora. Ogni fendente sferrato era lo sfogo per ogni parola pensata che non era riuscito a trasformare in poesia, per ogni immagine sognata che non aveva saputo trasformare in dipinto. Voleva vivere, vivere, vivere, come chiunque altro, come poteva fare anche il più noioso degli impiegati delle poste: e più si accaniva su quella sagoma indifesa, più si sentiva libero. Desiderava una vita normale: chiedeva troppo? A lui quella libertà era negata. Aveva bisogno di liberare i pensieri, le paure, le speranze che covava dentro da anni, tanto da formare un tappo che sarebbe saltato solamente con un'esplosione, potente come quella di un vulcano. E alla fine era arrivata. Quando ebbe finito si voltò, ansante, trovando la sua immagine riflessa sulla pensilina che gli stava di fronte: capì tutto.
L'uomo che poteva vedere grazie all'ultima luce del tramonto non era quello alto di poco prima e non sembrava neppure lontanamente abbronzato, anzi. I lunghi capelli neri erano in realtà corti e grigi mentre la pelle, più gialla che pallida, aveva l'aspetto tipico di chi non esce di casa da molto tempo. Comprese che il mondo in cui aveva vissuto fino a pochi minuti prima era esistito solo nella sua mente; si presentava allora per ciò che era: il delirio di un disadattato che non trovava spazio nel mondo di tutti i giorni. La voglia di pace, di normalità, di risate era stata un inganno svelato dalla sua stessa immagine: nulla di tutto ciò sarebbe stato mai concesso a uno come lui. Osservò ancora la sua bocca storta, i lineamenti irregolari, brutti come i denti anneriti; la pancia tonda che tendeva una maglietta dei Sex Pistols sudicia più dei pantaloni che teneva legati con uno spago. Ricordò che sua madre era morta anni prima e che le poesie e le tele dipinte erano poco più che scarabocchi incomprensibili e pasticci di pennarelli. Il colpo che aveva ricevuto, lo shock, l'adrenalina liberata durante l'aggressione lo avevano strappato a quel torpore in cui aveva vissuto per tutti quegli anni. Finalmente si era incontrato, aveva scoperto la sua natura. Rise istericamente per il timore di impazzire che aveva avuto qualche istante prima. Non poteva diventare pazzo, semplicemente perché lo era già!
Era stato costretto a ingannarsi fino ad allora per poter sopravvivere, convincendosi di essere in qualche modo speciale: una sorta di genio incompreso, circondato da gente crudele e irrimediabilmente conformista. Invece, era soltanto uno psicopatico con tendenze aggressive e un aspetto piuttosto repellente. Guardò un ultima volta la ragazza, ridotta a brandelli. Poi emise un suono rauco e risucchiò in gola un po' di saliva. Ridacchiò tra sé scuotendo la testa. Mentre zigzagava sul marciapiede, riuscì a pensare che fino a quando aveva vissuto nella menzogna, aveva potuto conservare perlomeno la speranza nella speranza; ora, anche se aveva conquistato la verità, sapeva che nulla avrebbe potuto cambiare in modo significativo la sua vita. I bei sogni avevano avuto la durata di un lampo in un temporale estivo, eppure quel lampo era stato la cosa più vicina alla felicità che avesse mai provato. Non ci sarebbe mai più cascato. Era solo, lo sarebbe stato per sempre.
Quanto alla ragazza, non doveva aver provato molto dolore, in fin dei conti. Forse, anche per via del fatto che si trovasse a qualche fuso orario di distanza da via Milano, impegnata a farsi fotografare in bikini su una qualche spiaggia caraibica. Non seppe mai che uno squilibrato si era innamorato perdutamente di uno dei tanti cartelloni pubblicitari sui cui faceva bella presenza. Del resto, lei non aveva occhi che per quel Cristiano Ronaldo della pubblicità accanto.
Edited by kjmon - 6/9/2012, 22:46
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