| "Possiamo coprirli, vero?"
Dietro la porta della cucina, ascoltavo la voce di Emma riempire il salotto. Mi aveva cacciato via in malo modo dicendo che doveva riflettere con calma e risolvere una certa questione. E ora parlava e cercava di spiegarsi nel contorto modo che la contraddistingue. Io origliavo, sì, ma solo in nome dell’affetto che a lei mi lega.
«Come hai potuto? Proprio tu! Ecco, le frasi che mai avrei voluto dire. Mai parole più insulse e abusate furono pronunciate in questo mondo, eppure nella storia continuano a ripetersi, in contesti differenti, tra persone diverse, come ancestrali rosari dimenticati. Se parole più insignificanti un giorno saranno inventate, spero che il loro ideatore abbia il tatto di non venire a raccontarmele. Eppure non posso che cominciare così il mio discorso con te: non ho trovato frasi più adatte. Vorrà dire qualcosa? Forse dovevo solo iniziare a parlare per rompere questo lungo silenzio imbarazzante e ora tutto scivolerà fuori come l’albume da un guscio d’uovo rotto, prima titubante e poi in fuga senza sosta. Non mi aspettavo di rivederti. Non ora. Sapessi quante lettere ti ho scritto. Così tante da riempire cassetti con sogni abortiti da una vita. E che belle parole avevo trovato! Molto più belle di queste che ora mi si confondono dentro con un misto di angoscia e stupore ed escono confuse. Eppure non ne hai mai letta una. Mai. Non te le ho mai spedite per paura di una risposta, per paura di sapere cosa ne pensavi tu. Ora tutto mi sembra così inutile. Ora che sei qui vorrei cominciare dall’inizio e raccontarti tutta la verità, ma non ne sono capace. Voglio solo dirti che non ti ho mai odiata: non ci sono mai riuscita. Ti ho sempre voluto bene anche quando tu mi hai tradita andandotene quando avevo più bisogno di te, quando l’abisso era così nero e profondo da togliermi il fiato. In quelle fredde notti dell’animo, mi pareva che spiriti dispettosi mi toccassero i piedi sottraendomi le coperte, ma erano solo frutto delle creature dei miei incubi. Avrei voluto saperti al mio fianco e invece la tua voce era lontana e il pianto senza sosta affogava ogni residuo di buon senso. Avevo trasformato le mie ipotesi in tesi: ogni ipotesi ne definiva una successiva. Avevo formato una catena di se, ma, però, senza mai un semplice allora a portare conclusioni. Tanti mattoni di ipotesi messi in fila come carrozze di un treno partito senza una destinazione, rassegnato a fermarsi solo al termine dei binari che vincolano il suo inutile cammino. E tu non c’eri. Questo è tradimento. Gli uomini tradiscono, è la vita, ma le amiche? Le amiche non dovrebbero mai tradire. Che ne è stato dei nostri sogni condivisi?, del nostro dirci che non ci saremmo mai lasciate e che avremmo combattuto insieme per quello in cui credevamo? Quando, per un crudele capriccio del destino, la colla che ci teneva unite si è trasformata in poli di calamita capaci solo di respingersi e allontanarci sempre più? Anch’io ho le mie colpe, non lo nego. Non ho avuto la forza di trattenerti, come un bambino che ha visto il suo palloncino volare lontano senza aver la prontezza di riflessi per afferrare il filo e salvarlo dall’oblio. Può il bambino rimproverare al suo palloncino un desiderio di libertà che gli sarà fatale? No. E io non posso farlo con te. Tu hai voluto andare e io ho dovuto accettare la tua scelta. Non si può soffiare su un soffione e poi piangere il volare lontano dei semi. Sì, so anche questo. So tutte queste cose, eppure vedere una tua fotografia o riascoltare la tua voce nei vecchi video d’infanzia mi provoca un dolore folle, del tutto privo di rabbia o risentimento, ma per questo ancora più drammatico. Tu mi hai tradita, ma anch’io l’ho fatto. Possiamo dividerci le colpe, se vuoi, ma ormai non m’importa. Quando ripenso alla nostra antica amicizia, in realtà, ho ormai poco su cui soffermarmi: ho perdonato tutte le tue colpe e dimenticato tutti i tuoi meriti».
Nascosto dietro la porta della cucina, mi chiedevo con chi stesse parlando e soprattutto perché l’interlocutrice non rispondesse nemmeno una parola. Feci per aprire la porta, ma ero consapevole che Emma si sarebbe arrabbiata con me, perché per lei la privacy è un diritto inalienabile. Quando però le sue parole si mutarono in lacrime, mi azzardai a entrare in salotto e la trovai sola, seduta davanti allo specchio a cercare di nascondere i segni del pianto pizzicandosi la faccia per renderla tutta uniformemente vermiglia. «Tutto ok?» le chiesi non ricordando quanto odiasse quella frase quando piangeva «Vuoi dirmi cos’è successo?». «Una mia cara amica è venuta a trovarmi e io finalmente ho avuto il coraggio di raccontarle il male che mi ha fatto». Era così fragile mentre pronunciava quelle parole che temevo che anche solo avvicinandomi avrei potuto distruggerla e così stavo a qualche passo da lei. «E dov’è ora?» chiesi. «Se n’è appena andata. Puoi lasciarmi sola un momento, per favore?» mi chiese. Io avrei voluto gridarle di no: volevo starle vicino. Invece le sorrisi debolmente e tornai in cucina, in esilio dal suo amore. Poco tempo dopo ricominciai a sentire la sua voce quasi sussurrata, a tratti interrotta dai singhiozzi. Pensavo mi chiamasse, ma non era così.
«Che ci fai tu qui ora? Ti avevo giurato che non ti avrei mai permesso di allontanarti, che, anche se tutti ti avessero cacciata e ripudiata, io ti avrei tenuta con me, con lo stesso affetto che destino ai randagi che tutti maltrattano e io invece sfamo e curo. E tu, creatura fragile e inadatta a questo mondo forse ancor più di quanto non sia io oggi, tu avevi bisogno di me, ma te ne sei andata. Sei immagine sbiadita che confonde la realtà degli eventi all'immaginazione del sogno e del possibile. Sei ricordo di ciò che sono stata e di ciò che non sarò mai più. Avevo giurato di non perderti mai e di difenderti, poi invece sono cresciuta e ti ho dimenticata. Tu eri la giovane gemma piena di promesse, eri la speranza, eri gioia e ispirazione, amore e illusione. E io ti ho uccisa, pian piano e senza la decenza di toglierti l’ultimo respiro».
Non potevo più stare ad ascoltare senza intervenire. Misi su un vassoio una bottiglia di tè e due bicchieri ed entrai in salotto con la scusa di offrire da bere a Emma e alla sua ospite che credevo appena ritornata. Con mia grande sorpresa, invece, Emma era ancora immobile e non c’era nessuno con lei, se non il suo antico dolore. «Dove è andata la tua amica?» chiesi. «Se n’è andata tempo fa, te l’ho detto. Non ricordi?». «Ma allora con chi parlavi adesso?» domandai senza riflettere. Notai il suo respiro farsi veloce: la vena del collo pulsava in modo evidente e mi sembrò di vederla affogare in se stessa. Non era il caso di insistere e non lo feci, ma lei rispose: «Parlavo tra me… il mio io bambina che… non puoi capire!». Io non potevo mai capire niente. Se c’era una cosa che avevo capito da quando conoscevo Emma è che l’animo degli altri non si può capire. Ero però certo che se lei avesse potuto incontrare realmente la sua immagine di quando era bambina, quella piccoletta sarebbe stata fiera della magnifica donna che era diventata. E avrei voluto dirglielo, gridarglielo, farle aprire gli occhi sul meraviglioso fiore che era. Sapevo però che non ci avrebbe creduto, perché troppo intenta a odiarsi per colpe lontane che forse ella stessa aveva dimenticato, ma per le quali sentiva di dover continuare a scontare una pena.
Così, nonostante le innumerevoli cose che avrei voluto dirle, ancora una volta mi allontanai in silenzio per rispettare il suo bisogno di solitudine e perché sapevo che odiava quando io la vedevo piangere. Non riuscii però a lasciarla del tutto sola e così mi appostai dietro la porta socchiusa per poterla spiare senza essere visto. Presto tornai a sentire la sua voce nella solitaria stanza. Quella volta non sussurrava ma gridava con tutta l’angoscia che aveva trattenuto fino a quel momento e che improvvisamente era esplosa bagnandole di lacrime il volto: «Tu no! Ti prego, tu no! Lasciami in pace! E anche voi, voi altri, via! Via da me! Non vi avvicinate!».
Spaventato, corsi da lei. Questa volta era in piedi e gesticolava furente davanti allo specchio. Non sapevo cosa fare. Chiamai il suo nome. «Mandali via, ti prego!». Era la prima volta che mi chiedeva aiuto e io, che aspettavo da tempo un’occasione per mostrarle che poteva fidarsi di me, non sapevo cosa fare. «Chi? Chi devo mandare via?». «Tutti, tutti, mandali via tutti!». Fissava lo specchio e capii che qualcosa la turbava in quell’immagine riflessa. «Non è successo niente, è solo un riflesso. Non preoccuparti». Era una frase da abbraccio e da pianto su una spalla amica, ma io mi limitai, con un dito, ad asciugarle una lacrima che dispettosa le rigava il viso. Le trote possono sopportare sanguinanti ami nella pelle senza morire, riescono a inglobarli fino a corroderli, ma non possono sopportare che qualcuno le sfiori fuori dall’acqua. Emma è esattamente come una trota: può sopravvivere al male del mondo, ma lo incamera in sé e non accetta di essere sfiorata. E io lo sapevo. Avevo osato troppo con quel piccolo gesto, ma come potevo ignorare la sua angoscia così manifesta? Lei indietreggiò di scatto, osservandomi come se fossi una fiera pericolosa e desiderosa solo di sbranarla. «Stammi lontano!» gridò rivolto a me o a qualcuno dentro lo specchio, forse a entrambi. I fantasmi del suo passato le mordevano l’anima e io, come sempre, non potevo capire. Ero presente ma ero meno concreto per lei di quelle oscure presenze. «Ho perso tutto: la mia migliore amica, me stessa bambina e tutti gli altri tornano per… per…». Non poteva continuare. Non poteva. «Possiamo coprirli, vero? Possiamo? Eh, possiamo coprirli?» continuava a ripetere come fosse stato uno di quei motivetti insulsi che una volta sentiti alla radio non ti abbandonano per tutta la giornata. «Cosa?». «Gli specchi… possiamo coprirli, vero?». Io presi il telo che rivestiva il divano nuovo e lo gettai sullo specchio del salotto. Lei fece un sospiro, come se si fosse appena liberata dalla morsa di un boa che le avvolgeva il collo. «Puoi coprire anche quello della mia stanza e del bagno? E anche quello nel corridoio, per favore!». Ansimava ancora una po’, ma sembrava più calma, come se tutte le sue angosce riposassero ora dietro quel tessuto, ma nei suoi occhi continuavano a combattersi guerre di amicizie tradite, sentimenti disillusi, promesse infrante: dolori insormontabili e cangianti nell’inconsistenza di ricordi troppo nitidi ma che appaiono in attimi fugaci. Coprire una macchia mettendoci sopra un tappeto non la pulisce, dopotutto.
So che è difficile crederlo, però io amavo Emma nonostante la follia e gli spiriti che popolavano i suoi sogni e gli specchi. La amavo pur sapendo che non mi avrebbe mai amato, che per lei sarei stato solo un vicino di casa, forse nemmeno un vero amico. La proteggevo dalle ombre che ogni tanto riaffioravano alla sua mente. Coprii tutti gli specchi ma lei prima o poi avrebbe visto i suoi fantasmi in una tazza di tè o nell’acqua della vasca da bagno oppure nel riflesso della vetrina di un negozio. E io lo sapevo già. Anche mentre nascondevo gli specchi sapevo che non avrei risolto nulla. Nonostante questo continuavo a cercare di proteggerla da ciò da cui non poteva sfuggire. La proteggevo da se stessa in nome di un amore che non avrebbe mai ricambiato.
Modifiche apportate in seguito ai vostri commenti - avrebbe visto i suoi fantasmi in una tazza di te --> tè - Io la spiavo, sì, ma solo in nome dello strano affetto che a lei mi lega. --> origliavo. - Non ho avuto la forza di trattenerti a me. - ma ormai non m’importa --> aggiunto punto alla fine della frase. - offrire da bere a Emma e la sua ospite --> alla. - Ben presto, però, tornai a sentire la sua voce nella solitaria stanza e non mi servì origliare perché gridava con tutta l’angoscia che aveva trattenuto fino a quel momento e che improvvisamente era esplosa come un gavettone bagnandole di lacrime il volto: «Tu no! Ti prego, tu no! Lasciami in pace! E anche voi, voi altri, via! Via da me! Non vi avvicinate». --> Non riuscii però a lasciarla del tutto sola e così mi appostai dietro la porta socchiusa per poterla spiare senza essere visto. Presto tornai a sentire la sua voce nella solitaria stanza. Quella volta non sussurrava ma... [Modifica apportata perché lui origliava ma descriveva le lacrime di Emma e poi così almeno non origlia sempre] - So tutte queste cose(,) eppure vedere una tua fotografia --> aggiunta la virgola tra parentesi. - Avevo giurato di non perderti mai e di difenderti(,) poi invece sono cresciuta e ti ho dimenticata. --> aggiunta la virgola tra parentesi. - So che è difficile crederlo(,) però io amavo Emma nonostante la follia e gli spiriti che popolavano i suoi sogni e gli specchi. --> aggiunta la virgola tra parentesi. - quei motivettoi - Non si può soffiare su un soffione e poi piangere il volare lontano dei semi legati a quegli insoliti mezzi di locomozione. - Molto più belle di queste che ora mi si confondono dentro con un misto di angoscia e stupore ed escono confuse come pezzi di puzzle non assemblati. - Quando la colla che ci teneva unite si è trasformata in poli di calamita capaci solo di respingersi e allontanarci sempre più? --> Quando, per un crudele capriccio del destino,
Modifiche apportate per mia pignoleria, senza segnalazioni nei commenti - dello strano affetto che a lei mi lega. --> dell' - Mai parole più insulse e abusate vennero pronunciate --> furono - un giorno verranno inventate --> saranno - Così tante da riempire cassetti di sogni abortiti --> con - E che belle parole --> E che belle parole avevo trovato! - ma erano solo frutto degli incubi --> delle creature dei miei - Avrei solo voluto saperti al mio fianco - Avevo formato una catena di se, ma, però, senza mai un semplice allora a portare conclusioni. --> Aggiunti i corsivi - privo del tutto di rabbia o risentimento --> del tutto privo - ho ormai poco a cui pensare --> su cui soffermarmi - Quando però le sue parole si mutarono in pianto --> lacrime - «Vuoi dirmi cosa è successo?». --> cos’è - ho avuto il coraggio di raccontare il male che mi ha fatto --> raccontarle - Invece però le sorrisi debolmente - in quell’esilio dal suo amore --> in esilio - Tu eri il giovane virgulto pieno di promesse --> la giovane gemma piena - Presi una bottiglia di tè --> Misi su un vassoio una bottiglia di tè e due bicchieri - «Se n’è andata tempo fa, non ricordi che te l’ho detto? --> te l'ho detto. Non ricordi? - Notai il suo respiro farsi veloce, la vena del collo pulsava --> : - Se c’era una cosa che avevo capito da quando conoscevo Emma è che l’animo degli altri non si può comprendere e capire --> Aggiunto corsivo e tolta la parte barrata. - Sapevo però che Emma non ci avrebbe creduto, - Non vi avvicinate --> Non vi avvicinate! - Non sapevo cosa fare. La chiamai. --> Chiamai il suo nome - Era una frase da abbraccio e da pianto su una spalla amica, ma io non mi azzardai ad andare oltre un dito che le asciugava una lacrima che dispettosa le rigava il viso. --> mi limitai, con un dito, ad asciugarle - «Stammi lontano» --> «Stammi lontano!». - continuava a ripetere come un motivetto insulso che una volta sentito alla radio non ti abbandona per tutta la giornata. --> come fosse stato uno di quei motivetti insulsi che una volta sentiti alla radio non ti abbandonano per tutta la giornata. - Io presi il telo che copriva il divano --> rivestiva - So che è difficile crederlo però io la amavo nonostante la sua follia e gli spiriti che popolavano i suoi sogni e gli specchi. --> amavo Emma - in una tazza di te --> tè - eppure nella storia continuano a ripetersi, in contesti diversi, tra persone diverse --> differenti - Forse dovevo solo cominciare a parlare --> iniziare - domandai istintivamente e senza riflettere. - come se fossi una fiera pericolosa, desiderosa solo di sbranarla. --> e
Cose che mi avete segnalato e io non ho modificato (motivazioni) - Emma è troppo razionale quando parla delle sue visioni? [Emma è una persona contorta e si esprime in modo complesso. Di fatto parla con le figure che vede nello specchio ritenendole reali, quindi si esprime come se le avesse davanti] - Valutare se ridurre le entrate di lui nel salotto e/o sfoltire i monologhi di Emma. [Non ho ridotto le entrate ma ho cambiato alcuni dettagli] - Valutare se togliere la similitudine della trota (perché non in linea con il tono delle altre) [Io ho inserito questa similitudine con l’intento di farne una più vicina al modo di pensare maschile del personaggio. Dato che mi hanno chiesto di togliere questa similitudine delle donne e l’hanno invece appoggiata gli uomini, credo di aver raggiunto lo scopo, forse] - che a lei mi lega [Ho lasciato il presente, qui e in un altro passaggio, perché lo immagino come un segno di un amore che comunque continua]. - Valutare se cambiare il titolo [Solo una persona me l’ha segnalato, quindi l’ho lasciato invariato, ma siete ancora in tempo per farmi cambiare idea!]
Grazie a tutti!
--- Ho scritto un numero elevato di versioni e corretto refusi duemila volte. Potrei andare avanti ancora qualche giorno, ma sento che se non posto il testo oggi, domani ricomincerò a revisionarlo ancora mille volte e alla fine non lo posterò più. Sto diventando decisamente troppo pignola, soprattutto con me stessa. Ora sono arrivata alla conclusione che preferisco sapere cosa ne pensate voi. Se non vi piace o trovate errori e imprecisioni, vi prego di farmelo sapere. Tanto io partecipo a questi concorsi per migliorare. Grazie!
Edited by Romina Tamerici - 3/9/2012, 23:56
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