Ci sono cose che non si possono spiegare di cui non c’è proprio niente da capire. E si accettano così senza farsi troppo domande, come si accetta che la pioggia quando scende bagna la terra, che una stagione segue sempre inevitabilmente un’altra e che il sole quando nasce sorge sempre eternamente a est.
Fu proprio durante un giorno privo di domande in un giorno qualunque, uno di quei giorni in cui qualcosa accade perché deve accadere, che Lei s’innamorò del signor Frederique Francois Emile Dubuaa.
Per una volta i ruoli eterni s’invertirono, spiazzando uomini, poeti e cantautori e tutti quelli che avevano poetizzato il mito della Luna.
I romantici persero le speranze e con queste i pensieri reconditi che per anni le avevano affidato, i pittori cominciarono a sbavare le proprie tele, e molti si persero tra le vie buie, spente e piene dell’assenza del suo chiarore.
Lei, la buona amica di tanti, la musa ispiratrice, la fonte di tanta emozione e di umana poesia, s’innamorò perdutamente, di
un? uomo la cui statura morale coincideva esattamente con quella metrica. Precisamente, un metro e sessantadue centimetri di effimera, vacua, insostenibile sostanza.
Il Signor F.F. Emile Dubuaa era quel tipo di uomo per il quale nessuna donna con un po’ di sale in zucca avrebbe provato il ben che minimo interesse
virgola? tanto era scialbo e insignificante. Eppure Lei, la quintessenza della femminilità
qui chiudi l'incisiva: virgola decise caparbiamente di innalzare l’omino sul tipico piedistallo dell’amore, incoronandolo proprio re.
Sarà stato per l’insorgere di un’improvvisa urgenza, o per la stanchezza atavica di essere da sempre la consigliera solitaria degli uomini e degli dei, o chissà per quale stramba coincidenza che,
via sta virgola l’uomo suscitò in lei un’intensa passione.
Era stanca, terribilmente stanca e soprattutto profondamente sola.
Millenni di anni a rappresentare un luogo fantastico, qualcosa da catturare e rinchiudere in un pozzo; secoli a sentire i dispiaceri degli animi, i turbamenti; anni passati a consolare a
questa a è forse una e? riempire vuoti altrui, anni
perché qui ripeti anni? non ci sta megliomesi, dato l'excursus temporale? passati a rifiutare il pretendente per antonomasia il cui calore le toglieva il fiato al solo pensarlo più vicino.
Il tempo l’aveva logorata e l’aveva offesa
che, nessuno, sole incluso, si era mai soffermato a chiederle notizie sul suo stato. che? Nessuno che le avesse chiesto: “Come stai?”.
Nessuno che l’avesse ascoltata nei suoi momenti bui, nessuno che le avesse detto: ”Beh, adesso siediti, ci penso io a illuminare la notte”.
Tutti da sempre,
o togli sta virgola o la metti anche dopo tutti davano per scontato che Lei fosse meravigliosa, lontana, inafferrabile, quando la realtà era ben diversa.
Lei era un insieme di rocce ignee, un mondo privo di atmosfera e di acqua, inadatta alla vita. Se solo gli altri avessero saputo!
Beh, in realtà c’era stato qualcuno che l’aveva vista da vicino. Due buffi uomini, in un lontano mese di luglio, si erano adagiati sulla sua superficie per pochi istanti. Allora Lei aveva creduto che
fossero arrivati per restare, che finalmente qualcuno
foss’anche di un altro mondo,
fosse venuto a farle compagnia.
io toglierei quello in mezzo Ma niente. I due se ne erano andati così come erano arrivati, saltellando.
Il suo mito continuò ad accompagnarla, come la sua solitudine.
Così quando vide il signor F.F. Emile Dubuaa, nel bel mezzo della notte solo e perduto in mezzo al lago, ramingo come il più randagio degli uomini, le sembrò meraviglioso. Sofferente e focoso, come l’ultimo dei poeti maledetti o dei mo
hicani.
Pensò quindi che,
via la virgola fosse sensibile e dannato al tempo stesso, misterioso e affascinante e che fosse, finalmente, quello giusto, quello da riporre al proprio fianco.
riporre? mmmPer intendersi, quello che l’avrebbe stesa, con il solo sguardo.
L’indecifrabilità dell’altro fu colta, come un segnale di sfida.
Fu naturale, come il più atavico dei peccati, l’essere attratta proprio da una situazione difficile a priori.
Lei avrebbe risolto ogni rebus della testa e del cuore di quell’uomo e sarebbe stato come guardarsi allo specchio.
Perché dannazione e sregolatezza erano indici di debolezza e di fragilità; ragioni queste, sufficienti, a farle scattare, oltre all’amore, l’innato istinto materno.
In realtà, l’uomo non aveva niente di diabolicamente attrattivo, tantomeno le caratteristiche tipiche del bello e del dannato. Piuttosto possedeva la mediocrità tipica dello scialbo per antonomasia.
L’indecifrabilità era dovuta a un leggero strabismo, ereditato dalla nonna paterna, mentre l’alone di fascino lo doveva a un quoziente intellettivo, di poco inferiore alla media che lo rendeva leggermente distaccato dalle cose terrene.
Non potendo dormire, non certo a causa di etici turbamenti, ma per colpa di un’ernia iatale che lo infastidiva a dir poco, Frederique Francois Emile Dubuaa aveva deciso di concedersi un giretto in barca e
virgola data l’ora, ne aveva approfittato per una pesca notturna. Così
’ armato di bigattini, lenza e pazienza, si era inoltrato nel mezzo del lago.
Tutto accadde in una frazione di secondo. Lei illuminò la solitaria barca e il suo cuore fu trafitto dalla freccia del Dio dell’amore che, per volontaria bizzarria, non trafisse il cuore di lui.
Quando Lei cercò di avvicinarsi per esprimergli i suoi più puri sentimenti, quello non fece altro che voltarsi dall’altra parte, dannando
il verbo maledire non èmeglio? quell’improvviso chiarore che gli avrebbe fatto fuggire prede assai più ghiotte.
Lei gli sussurrò parole gentili promettendogli giorni indimenticabili, lui si stropicciò l’orecchio infastidito da un sibilo improvviso.
Gli promise la luce eterna, quella che illumina il cammino senza bruciare, quella che permette di non sbagliare, quella che allontana dall’oscurità.
Gli raccontò di illimitati orizzonti, soffiandogli aria pura, vento nuovo e sogno.
E lui, più duro del granito, non solo non comprese le possibili infinite chances di un amore eterno ma commise l’errore, imperdonabile, di rifiutarle l’immenso sentimento.
Brutto affare rifiutare l’amore di un essere capace di amare e odiare con la stessa intensità.
Ma rendersi conto di essere stati invaghiti e rifiutati da un essere di poco valore,
virgola tra soggetto e predicato è un affare ancor peggiore.
Così il signor Frederique Francois Emile Dubuaa da super uomo,
la virgola la metterei prima di da e toglierei questa divenne in un batter di ciglia l’uomo più scadente, ordinario, dozzinale e insignificante che Lei avesse mai incontrato. Quell’essere misero e modesto, insufficiente anche per se stesso, l’aveva rifiutata.
La sua rabbia si trasformò in uragano, il rancore incrinò la notte, il vento del suo soffiò increspò il lago, inondando la barca del signor Emile.
Il livore di Lei non si attenuò neanche di fronte alla richiesta di aiuto dell’uomo.
La fragilità e l’incertezza dell’uno si scontrarono irrimediabilmente con la ruggine del cuore della seconda.
Non ci fu spazio per il perdono e niente la calmò.
Nemmeno quando decise di spegnere la notte e di ritirarsi verso altre galassie riuscì a comprendere che in realtà, il piccolo uomo, tale lo era sempre stato e solo Lei, con i suoi occhi ciechi vi aveva visto dentro cose inesistenti.
Così, inaridita dalla sua stessa sete d’amore, smise di illuminare le notti altrui.
Non cullò più sogni e pensieri e smise di custodire gli affanni e i segreti.
Poeti, scrittori, pittori e politici, non trovando più alcuna ispirazione, si persero tra le pieghe infangate della loro bruttezza.
Insonni, gli uomini tutti, cominciarono ad aggrapparsi a un cielo nero, dimenticando così la bellezza della luce e assomigliando, ogni notte di più, a un certo signor Emile Frederique Francois Dubuaa.
Un uomo piccolo, piccolo.