| Occhi neri
A parte le scorrerie di eserciti barbari che uccidevano gli uomini e stupravano le donne, la peste che decimava la popolazione, le carestie e altre calamità naturali, non si viveva male nel dodicesimo secolo in quella valle ai piedi delle Alpi. Lukas e Hanna si incontravano nel fienile del casolare di lui per fare l’amore. Di nascosto, quando faceva buio, non perché le famiglie fossero contrarie, ma perché Lukas non si decideva a fissare la data delle nozze. Un motivo valido il giovane ce l’aveva, anche se Hanna non era d’accordo: “Come la fai lunga per una notte! E noi donne allora che ci tocca subire per tutta la vita?” “Tu non ti rendi conto, Hanna, che vergogna sia per un uomo dover passare la notte prima del matrimonio a letto con il conte. È vecchio, basta avere un po’ di pazienza. Ci sposeremo quando sarà morto” rispondeva Lukas mentre spogliava la ragazza. Il conte Arcibald della famiglia Thuner, all’età di sessant’anni, per uno strano scherzo della natura, aveva cominciato ad apprezzare le grazie e i muscoli vigorosi dei giovani contadini e lo ius primae noctis preferiva esercitarlo con loro. Dopo tanti anni, le giovani ragazze lo avevano stufato. Un giorno di primavera la tranquillità della gente fu sconvolta da una notizia: il conte Arcibald era morto in un incidente di caccia. Era partito di mattina presto a cavallo insieme al figlio Wolfang. Mentre inseguivano un capriolo, Wolfang scoccò una freccia che, invece di colpire l’animale, prese il padre in pieno petto. Davvero un incidente? I contadini, sapendo come scalpitava il giovane rampollo nell’attesa di diventare il padrone assoluto dell’intera valle, erano più propensi a credere che quella freccia non fosse stato un errore di mira. Sparito l’ostacolo, Lukas e Hanna poterono fissare la data per il loro matrimonio. Il giorno prima delle nozze, Hanna si vestì con la veste da sposa, si sciacquò i denti, si lavò con acqua resa profumata da fiori ed erbe afrodisiache e si avviò al castello del conte. Lukas la salutò con un lungo bacio sulla porta principale, prima di consegnarla a due guardie armate. L’incontro tra Wolfang e Hanna ebbe un seguito anche dopo la notte passata nel letto a baldacchino tra lenzuola ricamate. Quando il conte vide che la ragazza non era vergine, si offese a morte e decise che il futuro marito avrebbe pagato caro l’oltraggio: “Io passare di qui dopo un contadino?” storse la bocca, ma ci passò lo stesso. Il giorno seguente Wolfang firmò la condanna a morte per decapitazione di Lukas. Hanna corse piangendo al castello per implorare la grazia. Il conte l’accolse severo, urlando la sua rabbia per l’offesa ricevuta, poi tentennò la testa e si mise la mano sinistra sotto il mento, gesto che faceva quelle poche volte che era lambito da un pensiero profondo. Che vantaggi gli avrebbe mai dato la morte di Lukas? Lui non era assetato di sangue, ma di donne e di ricchezza. Fissò gli occhi verdi di Hanna, inquieti, pieni di luce e così diversi dallo scuro dei suoi. La sera prima non li aveva notati. In quella valle di occhi chiari, solo i nati della famiglia Thuner avevano occhi neri, un chiaro segno di potere. Non gli era dispiaciuta la notte trascorsa con Hanna. Lei si era data da fare, aveva preso iniziative ardite, non come le solite vergini impacciate che gli arrivavano col rosario in mano recitando avemmarie e paternostri. Si prese il diritto di una secunda nox e trasformò la condanna a morte di Lukas in una tassa: un vitello e un porcellino da sacrificare in occasione della prossima festa al castello. Lukas ringraziò il cielo per lo scampato pericolo, ma si accorse presto che la vita che gli era stata salvata era una vita senza valore. Il conte, oltre ai consueti balzelli, aveva imposto ai contadini tasse nuove: sull’erbatico, l’erba che si tagliava nei campi, e sul polveratico, la polvere che si alzava camminando. “Il conte giovane il culo ce lo fa con le tasse” diceva Lukas a Hanna che, incinta, aveva bisogno di cibi sostanziosi che purtroppo scarseggiavano. Partorì lo stesso un bel maschietto, che aveva gli occhi neri come la pece. Lukas non ci fece caso. Dette la colpa alla natura che spesso si diverte a fare degli scherzi. Si presentarono col bambino in braccio al cospetto del conte che, per tradizione, doveva dare la sua approvazione al nome scelto dai genitori. “Mi piacerebbe tanto chiamarlo Ferdinand” sussurrò Hanna timidamente. Wolfang notò che il bambino aveva degli splendidi occhi neri che rilucevano di intelligenza. Scacciò un altro pensiero profondo e dette il suo responso: “Ferdinand a un figlio di contadini? Chi ve le mette in testa queste idee? O Peter o Jakob.” Lo chiamarono Jakob. Al castello il conte si dava ai bagordi più sfrenati, sordo alle insistenze della madre che avrebbe voluto che si sposasse e mettesse al mondo dei figli, idea che il conte aborriva perché i figli sono persone pericolose. La vita della famigliola, invece, si trascinava negli stenti. Hanna rimase incinta per la seconda volta. E per la seconda volta nacque un maschietto, Peter, con inconfondibili occhi neri che pungevano l’aria. Nella mente di Lukas si insinuò un sospetto. Un pomeriggio rientrò in casa prima del solito dal lavoro nei campi e ci trovò Sara, sua suocera, insieme ai bambini. Di Hanna nessuna traccia. Prese l’arco che si era costruito con il legno di tasso, il migliore, e due frecce con la punta di metallo, quelle che uccidono anche l’orso. Conosceva una via segreta, sotterranea, per entrare all’interno del castello. Non trovò nessun ostacolo fino alla camera di Wolfang. Lukas socchiuse appena la porta e li vide, eccome se li vide! Wolfang e Hanna, nudi e avvinghiati sul letto a baldacchino, ridevano alla faccia di tutti, del mondo intero, anche di lui. “Non dirmi che godi così anche con quel tuo contadino!” “Ah, ah” rise Hanna girandosi “facciamo il gioco della pecorina e del lupo cattivo.” Fu allora che Lukas tese il suo arco, armato con la freccia che trafisse la schiena di Wolfang. Dalla bocca di Hanna uscì un urlo spaventoso. Era giunta la sua ora. Non chiese pietà, non implorò la grazia, come aveva fatto lei per suo marito. Mentre lui armava l’arco per la seconda volta, Hanna porse il petto alla freccia con fierezza. La mano di Lukas, quella stessa mano che aveva per anni toccato e accarezzato il corpo di Hanna, fino a esplorarne le più intime femminilità, cominciò a tremare, incapace di far flettere l’arco. Lukas tolse la freccia e la gettò con un gesto di disprezzo sul letto insanguinato. Uscì veloce dal castello, passò da casa, vestì i suoi bambini, li caricò sul carro e li portò via con sé, lontano. Per molti secoli nessuno vide più occhi neri nella valle.
Edited by Lupoalfa - 20/8/2012, 21:01
|