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Il volo - Romina Tamerici

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view post Posted on 22/6/2012, 23:44
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Romina Tamerici

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Il volo

Non ci si può fare niente: gli uomini sono nati per desiderare ciò che non possono avere. Fin dai tempi dell’Eden, pur avendo a disposizione ogni cosa, hanno desiderato il solo frutto proibito. Ed è tutta qui la ragione della nostra perenne infelicità: raggiunto un desiderio, non c’è appagamento ma solo un nuovo desiderare e il vortice ci trascina nel baratro.

Io volevo volare.
Sì, volevo essere un novello Icaro con le sue ali di cera a sfidare il mondo e il sole.
Dentro di me però quel desiderio ne nascondeva uno ben più drammatico: un senso di insoddisfazione che aveva ormai cominciato a rivestire ogni aspetto della mia vita. E ciò non aveva senso neppure lontanamente: avevo una moglie perfetta, due figli meravigliosi, un lavoro che amavo, ma dentro di me scavava sempre più a fondo una goccia cinese di insoddisfazione.
Mi ero convinto che volando avrei dato pace a tutta questa angoscia, perché forse fluttuando dall’alto avrei potuto finalmente osservare la mia vita con occhi diversi e accorgermi dell’immensa fortuna che avevo e non riuscivo a vedere.
Dovevo prendere una decisione per dare una svolta alla mia vita e infine la presi.

Chiesi un giorno di permesso dal lavoro un anonimo martedì di fine aprile. Come ogni mattina salutai mia moglie con un tenero bacio appena abbozzato sulle labbra.
«È una cosa stupida, lo sai?» mi disse subito dopo.
«Lo so».
«Ma devi farlo lo stesso, vero?».
«Devo».
Lei non era d’accordo. Pensava fosse stupido andare a fare bungee jumping per chiarirsi le idee sulla propria vita, ma lei era una donna e le donne, si sa, ragionano a modo loro, con tutti i loro saggi provvedimenti e senza troppi colpi di testa. Presi in braccio la mia bimba più piccola e la abbracciai forte, poi poggiai la mano sulla spalla del più grande, di sette anni appena. Li salutai e uscii di casa come tutte le mattine ma diretto a un’attività diversa e più pericolosa del mio tranquillo lavoro all’ufficio postale. Erano gli stessi gesti di sempre, senza sapere che quel sempre non era infinito e niente sarebbe mai più stato lo stesso dopo quel giorno.

Dopo essere salito in macchina, guidai per oltre un’ora per raggiungere il luogo dove avevo prenotato il lancio. Lì, un cortese addetto specializzato, che doveva avere sì e no vent’anni e ne dimostrava cinque di meno, non mi ispirava particolare fiducia, anzi… Comunque mi lasciai imbragare e ascoltai le sue istruzioni. Ero sul punto di saltare quando finalmente cominciai a ragionare: non avrei risolto nulla saltando nel vuoto solo per provare l’ebbrezza del volo. L’insofferenza che mi portavo dentro sarebbe scesa con me e poi sarebbe risalita con me con l’elastico. Non si sarebbe scollata di dosso per la forza violenta del salto come l’ombra di Peter Pan. E allora a che serviva? Serviva a qualcosa provare un’ebbrezza di libertà, una parvenza di liberazione, per poi ritrovarsi con le stesse angosce di prima? Improvvisamente quel volo non sembrava più capace di darmi ciò che desideravo e assumeva un sapore aspro e doloroso. Per questo spiegai al giovane che il mio gesto non aveva senso e che volevo solo andarmene di lì. L’efebo, nel fior dei suoi vent’anni, replicò con un sorriso cinico, come a insinuare che non avevo abbastanza coraggio per saltare: «Non deve preoccuparsi, capita a molti di cambiare idea».
Mentre parlava, mi liberava dall’imbracatura. Il mio orgoglio era disattivato per via di ben altri pensieri e non provai il desiderio di replicare: non avevo intenzione di dar lezioni di vita a qualcuno che evidentemente era più in pace di me con il cosmo, non aveva problemi e per vivere accompagnava la gente a sfidare il volo. Pagai il salto che non avevo fatto, raccolsi le mie cose e feci per tornare a casa.

Prima di raggiungere l’auto, un piccolo sentiero che saliva su per la montagna attirò tutta la mia attenzione, così decisi: non sarei sceso in basso per risalire al livello di prima con l’elastico. A me serviva un’elevazione! Dalla cima della montagna avrei trovato le mie risposte!
So che sembra una sciocchezza ora e forse lo era anche allora, ma ne ero così convinto da mettermi in marcia. Camminai per due ore, forse tre, ma nessuno spirito misterioso, nessuna divinità, nulla mi raggiunse per dare un senso alla mia angoscia di uomo che aveva tutto tranne la facoltà di godere di ciò che aveva. Dalla vetta guardai in basso, con un misto di superiorità e delusione. Al di sotto di me c’erano centinaia di metri di nulla e rocce appuntite come coltelli.
Il vuoto.
Il baratro.
Quello spettacolo non sarebbe stato poi tanto diverso dalla mia anima in quel momento, se mai la si fosse potuta vedere. Una tiepida brezza mi avvolse, mi coccolò e quasi pareva spingermi a guardare nel profondo di quell’angoscia, ma non ottenni nessuna risposta.
Nemmeno una.

Ancora una volta feci per tornare a casa, per dire a mia moglie che non avevo saltato e che il ragazzo del bungee jumping era un bel tipo che le sarebbe piaciuto. Lei avrebbe riso e avrebbe fatto una battuta dolce, di quelle che sapeva fare solo lei. I bambini mi sarebbero saltati al collo e sarebbe stato tutto come prima, forse anche meglio di prima. Io però indugiai un momento di troppo e l’angoscia latente in me si fece pressante.
Dovevo volare.
Non c’era altra soluzione.
Dovevo oltrepassare il baratro.
È inutile che cerchi di spiegarvi.
È inutile che vi dica che ci avevo pensato bene.
Saltai e basta.
Certo, sapevo cosa stavo facendo: era una possibilità su cui avevo meditato spesso senza avere l’occasione o il coraggio di compiere quel gesto. Nessuno spirito me lo aveva imposto o aveva cercato di trattenermi. Saltai verso quelle rocce aguzze pronte ad accogliermi in un abbraccio di morte.

Non fu la decisione di perire, però, a dare una svolta alla mia esistenza, ma quello che vidi in quegli istanti di caduta libera. Molte volte ho sentito dire che chi sta per morire vede passarsi davanti tutta la sua vita, ma non è così e ben altre angoscianti immagini hanno attraversato in quei momenti la mia mente. L’ebbrezza del volo, il senso di libertà e la serena gioia di una fine vicina durarono così poco che mi accorsi appena della loro presenza, perché fui distratto presto da una visione inquietante.
Al di sotto di me, lungo la traiettoria della mia caduta, si stava formando uno strano disegno circolare. Più mi avvicinavo, più assumeva una forma definita. Si trattava di un occhio, un solo, unico, grande occhio senza ciglia né palpebre, che guardava fisso verso di me. Io ero avvolto da una brezza che credevo provocata dall’accelerazione del mio corpo in caduta libera, ma, mi sbagliavo: quel vento era una sorta di turbine che mi conduceva dritto al centro di quella pupilla. E più mi avvicinavo, più il vento mi trascinava verso il suo unico grande occhio dal colore innaturale, dolce come l’abbraccio del tepore del sole ma anche aspro come arancia ancora acerba. Nella sua iride arancione riuscivo a scorgere dei visi inquietanti e perplessi, volti di uomini e donne mai conosciuti o incontrati che però mi sembravano partecipi di uno stesso destino. Tutto ciò avvenne in pochi secondi eppure il tempo si era come fermato, come se quel vento mi trascinasse in basso ma allo stesso tempo impedisse al mio corpo di portare a termine la sua caduta.

Quella però era solo una sensazione e come ero entrato in quel vortice così ne uscii.
Il vento mi salutò con una specie di carezza e io mi ritrovai con una consapevolezza nuova dettata dai volti che avevo incrociato in quella sorta di spazio temporale ristagnante. Il dolore nei loro sguardi fissi imprigionati in quell’occhio inquietante che avevo appena oltrepassato pareva raccontarmi verità nuove ma antiche come il mondo. Finalmente tutto mi era chiaro: avevo ritrovato il senso della mia vita e la necessità del mio esistere.
È difficile ora spiegarvi questa presa di coscienza: tra me e voi c’è oggi un divario troppo profondo per essere colmato ed è quello che passa tra chi ha oltrepassato l’occhio e chi no, tra chi è finito in quel vento così innaturale e chi non ha compiuto il salto. Per questo non potete capirmi, per questo mi considererete un folle, ma non importa.

Io avevo deciso di vivere. Una decisione del genere, tuttavia, conta ben poco quando si è in caduta libera da un dirupo e le rocce a terra, acuminate come lance pronte per la guerra, sembrano protendersi per accoglierti nell’ultimo e mortale abbraccio. L’impatto con il suolo, infatti, fu inevitabile.
Pensavo di avvertire un dolore terribile, di soffrire come mai prima, invece provai solo un grande senso di freddo, mentre il sangue mi scorreva fuori a causa delle tante ferite.

Non so cosa avvenne dopo: i ricordi sono confusi, annebbiati, affogati in quel bagno di sangue. Quando mi ripresi dallo shock, mi vidi come per la prima volta, dall’esterno.
Vedevo il mio corpo martoriato ed esanime.
Mi vedevo morto.
In tutti i modi provai a ricongiungermi con la mia parte terrena come si vede fare nei film, poi provai invece a raggiungere il cielo. Entrambi i tentativi non portarono ad alcun esito gettandomi nella frustrazione più angosciante. Ero indissolubilmente legato a quella carne infranta come onda sugli scogli, ma ormai diviso da lei. Per liberarmi da una vita insulsa avevo trovato il senso di ogni cosa e perso il mio corpo. Ero un inetto: non ero stato in grado nemmeno di morire del tutto, di morire come si deve.

Qualche ora dopo, allarmata per il mio mancato ritorno, mia moglie venne a cercami e incontrò la giovane guida che le raccontò le mie paure (che non avevo avuto!). Lei iniziò così a cercarmi nei dintorni. Non voleva chiamare la polizia o i soccorsi: pensava solo che io fossi impaurito o sconsolato. Conosceva bene il mio altalenare tra gioie immense e periodi profondamente cupi. Mi conosceva bene ma non poteva immaginare di sporgersi da un monte e scorgere il mio cadavere. O forse poteva, ma non volle. Il fatto che il corpo fosse vestito come me o che mi assomigliasse, infatti, non la turbò da quella distanza, ma chiamò subito i soccorsi e poi scese con loro per un irto sentiero per raggiungere quell’essere umano ridotto in brandelli. Io ero lì quando arrivò e vidi la sua espressione terrorizzata e disperata, quando non poté più nascondere a se stessa l’atroce verità. I suoi occhi si riempirono di lacrime che presto traboccarono come dighe nei mesi in cui i ghiacciai si sciolgono.
Come avevo potuto gettarmi nel vuoto senza pensare allo spettacolo che le avrei offerto? Mi sentivo in colpa e cercai di avvicinarmi per sfiorarla, ma credo che non avvertì molto più di una leggera brezza causata dal mio spostarmi nello spazio, anche se non avevo materia o sostanza.
Un giorno potrò perdonarmi di averla abbandonata, potrò perdonarmi di aver fatto crescere due bimbi orfani di padre, potrò perdonarmi il fatto di non aver lasciato un biglietto, di non aver spiegato, ma mai riuscirò a perdonarmi il peso del suo sguardo afflitto rivolto alla parte terrena di me.
Quella fu l’ultima volta che la rividi, anche se spesso ne avrei avuto la possibilità. Ancora oggi potrei andare ovunque, ma non me la sento di spiare la sua vita e di vederla vivere il dolore della mia morte così tragica e insanguinata. Di certo per l’eternità sconterò la pena di quello sguardo ferito che io avevo trafitto come le rocce avevano fatto con le mie membra mortali.

Fu così che, potendo andare ovunque, non andai da nessuna parte. Rimasi lì, su quella montagna, a osservare con il passare del tempo il sole splendere e la pioggia cancellare le tracce del mio sangue, ma non i ricordi di quel nefasto giorno, in cui cominciai ad amare la vita perdendola.

Inoltre i giorni possono essere piuttosto lunghi quando si è liberi del proprio corpo e il tempo non si percepisce più sulla propria pelle.
Io vagavo, non facevo altro. Finché la mia esistenza (ammesso che si possa parlarne in merito a uno spirito) fu sconvolta di nuovo.

Un vento impetuoso si alzò nell’aria, inatteso come uno schiaffo proveniente da una mano protesa per dare una carezza.
Sentii che ciò era presagio di sventura.
Un singhiozzo distante catturò tutta la mia attenzione.
Mi avvicinai.
Sulla cima della montagna, una donna bionda, incantevole come poche ne avevo viste in vita, indossava un abito rosso troppo elegante e completamente inadatto al contesto. Piangeva e le lacrime le scendevano ormai copiose sul viso e lungo il collo per poi scivolare perdendosi nella scollatura del vestito. Si tolse le scarpe di vernice, un po’ rovinate a causa del cammino sul sentiero petroso. Le ripose in un angolo con la stessa cura di una domestica che rassetta la casa in attesa del controllo di una signora troppo pignola.
Poi si accostò al dirupo.
Il suo singulto si fece sospiro.
Sommesso e disperato.
Angosciato.
Il vento soffiava sempre più forte. Forse chiamava quella donna per attirarla in quell’occhio che dal nulla cominciava a materializzarsi nel vuoto. Io cercai di fermarla, lo giuro, ma non poteva sentire la mia voce, così impotente assistetti al suo salto nel vuoto. I suoi capelli si sollevarono verso l’alto come le serpi di Medusa e io per un istante mi persi a guardarli, come fiamme dorate dentro un camino.

Volevo fermarla, ma a che sarebbe servito? Se qualcuno avesse fermato me, ci avrei riprovato, ne ero certo, a meno che non mi avessero fermato dopo aver oltrepassato l’occhio del vento. Così seguii la donna e aspettai, aspettai di vederla indugiare in un istante simile a incanto dentro a quell'arcana pupilla in cui tra i tanti volti impauriti mi parve di cogliere anche il mio. Aspettai ancora un poco, un poco soltanto, giusto il tempo di vedere nascere nel volto della donna vestita di rosso un’inquietudine diversa: non più quella di chi non vuol più vivere, ma quella di chi scopre il valore della sua vita quando ormai sa di averla perduta.
A quel punto sapevo di dover intervenire perché potevo salvarla davvero, perché dopo aver visto non si sarebbe mai più buttata nel vuoto. Scesi in picchiata più in basso di lei mettendomi tra lei e il suolo sperando di attutirne l’urto, mentre un vento forte e crudele la spingeva sempre più giù, verso il suolo e verso la disperazione. Io non ero più fatto di sostanza corporea e concreta eppure era ancora come se avessi gambe e braccia per poter cingere quella donna in un abbraccio di salvezza. Lei gridava e si divincolava ma poi, sentendosi sostenuta e riuscendo a fluttuare in aria evitando lo schianto, si trovò sperduta e svenne, forse solo per lo shock e lo stupore. Io la appoggiai delicatamente a terra. Mentre lei sembrava riaversi dal trauma, volai rapido verso quell’unico, grande occhio senza ciglia né palpebre per sperare di scorgervi il mistero che mi teneva lì prigioniero in quell’universo di non vita e non morte, ma se n’era già andato e restava solo una forte brezza a serbarne il ricordo.

Chissà che fine avranno fatto gli altri volti imprigionati in quell’occhio?
Forse non lo scoprirò mai, ma ormai il mio destino è vivere in questa brezza, nella solitudine di questa montagna. Io ormai sono vento, un vento che salva mentre l’altro trascina nell’occhio, svela misteri di felicità e poi tenta di annientare, consegnando alla morte.
Sognavo di volare per liberarmi e il volo infine mi ha reso libero, anche se a modo suo.

Nessuno scoprirà mai il mistero della donna vestita di rosso, forse anche perché lei mai racconterà di aver saltato nel vuoto. Lei però non ha dimenticato. Lei, come me, possiede la verità rivelata dall’occhio e per averla non ha nemmeno perso la vita. Per questo non esiste al mondo essere umano più fortunato di lei. E lei lo sa. E di questo ringrazia il vento tornando una volta al mese su questa montagna e gettando tra il suo vortice un mazzo di fiori, come una sorta di voto.

Io invece ora volo e basta. Prendermi il merito della sua salvezza non mi interessa. Resto solo qui in attesa che il vento mi annunci la comparsa dell’occhio per guardarci dentro, per rivivere istanti di verità vera in questo mio volo ormai eterno.


***

Questo è il mio testo. Sono stata indecisa a lungo se presentarlo o no. Ho letto già quasi tutti i vostri racconti e spero presto di commentare quelli che mi mancano, però non volevo postare il mio racconto proprio negli ultimi giorni perché trovo giusto lasciare a tutti il tempo di leggere con calma e soprattutto perché la cosa che mi interessa di più è ricevere i vostri commenti. Soprattutto le critiche e i suggerimenti. Quindi ecco qui questo mio testo, nella speranza che vi piaccia. Grazie a tutti!


***
Cose che ho corretto grazie ai vostri commenti:
[Le parti barrate sono state sostituite con quelle poste dopo la freccia -->]
- Correzione di alcuni errori di battitura.
- Camminai per due ore, forse tre, ma nessuno spirito misterioso, nessuna divinità, nulla mi raggiunse per dare un senso alla mia angoscia di uomo che aveva tutto tranne la felicità di godere di ciò che aveva. --> facoltà
- L’impatto con il suolo, infatti, era stato inevitabile. --> fu
- Un vento impetuoso si alzò nell’aria, inatteso come una carezza proveniente da una mano protesa per dare uno schiaffo. --> uno schiaffo proveniente da una mano protesa per dare una carezza.
- Angosciato. Io capii subito cosa aveva in mente.
- Non so cosa avvenne dopo: i ricordi sono confusi, confusissimi, annebbiati, affogati in quel bagno di sangue.
- E più mi avvicinavo, più il vento mi trascinava verso il suo unico grande occhio e io riuscivo a scorgere nella sua iride aranciognola dei visi inquietanti e perplessi, volti di uomini e donne mai conosciuti o incontrati che però mi sembravano partecipi di uno stesso destino. --> dal colore innaturale, dolce come l’abbraccio del tepore del sole ma anche aspro come arancia ancora acerba. Nella sua iride arancione riuscivo a scorgere
- dentro a quella pupilla aranciognola in cui tra i tanti volti impauriti -->arcana pupilla

Cose che ho deciso di correggere anche senza che nessuno me lo chiedesse:
- Li salutai tutti e uscii di casa come tutte le mattine [Quel tutti/tutte mi faceva un po' orrore].
- Salito in macchina, guidai --> Dopo essere salito in macchina, guidai [Rileggendolo non mi suonava bene]
- Entrambi i tentativi non portarono a nessun esito gettandomi nella frustrazione più angosciante. --> ad alcun [Questo errore mi era sfuggito e dunque ho rimediato]
- Per liberarmi da una vita insulsa avevo trovato il senso della vita e perso il mio corpo. --> di ogni cosa [Terribile ripetizione!]
- Il fatto infatti che il corpo fosse vestito come me o che mi assomigliasse non la turbò da quella distanza --> Il fatto che il corpo fosse vestito come me o che mi assomigliasse, infatti, non la turbò da quella distanza [Le parole fatto/infatti messe vicine suonavano malissimo!]
- causa del cammino nel sentiero petroso --> sul
- in attesa del controllo di una signora troppo severa. --> pignola

Elementi su cui ho riflettuto in seguito ai vostri commenti, ma non ho modificato (con relative motivazioni):
- Lo stato d'animo iniziale del protagonista che forse non fa pensare al suo folle gesto. [Dopo attenta analisi credo che lo stato d'animo sia comprensibile e il fatto che non sia palese mi piace]
- Rivedere il brano “sapeva quello che stava facendo […] quel gesto”. [Mi pare che sia chiaro. Ogni versione diversa che ho provato a scrivere mi è sembrata meno efficace di questa].
- Valutare se sostituire: “con il cosmo” --> “con il mondo”. [Il cosmo mi dà l’idea di qualcosa di più esistenziale e grande]
- Valutare se sostituire: “si fece pressante” --> “si riaffacciò”. [Il significato è diverso, sostituire questa parola cambia il senso della frase]
- Valutare se rafforzare il parallelismo nella frase “Io ormai sono vento, un vento che salva mentre l’altro trascina nell’occhio, svela misteri di felicità e poi tenta di annientare, consegnando alla morte.” [Mi pare che il parallelismo ci sia già, ho deciso di non efatizzarlo troppo].
- Valutare se togliere la figura etimologica “verità vera” e lasciare solo “verità”. [Togliere "vera" modifica il senso. Il concetto è che con questo aggettivo si suggerisce la possibilità di verità non vere, bugiarde].
- Decidere se in questa frase ("Lì, un cortese addetto specializzato [...] istruzioni") manca qualcosa o lasciare la sospensione su "anzi". [A me sembra chiaro il senso di "anzi...", però potrei sbagliarmi]


Grazie di cuore a tutti!

Edited by Romina Tamerici - 8/7/2012, 17:25
 
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Flamer
view post Posted on 23/6/2012, 14:51




Io non sono bravo a commentare i racconti degli altri, quando leggo una storia cerco solo di immedesimarmi in essa e posso dire che con la tua ci sono riuscito pienamente.
Magnifica.
 
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view post Posted on 23/6/2012, 15:29
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Romina, finalmente il tuo racconto tanto atteso!
Subito i refusi così ce li togliamo di torno:
- mia moglie venuta a cercami e incontrò la giovane guida manca un "era"?
- Io la appoggia credo manchi la i
- Aranciognolo/a ammesso che esista, come colore è abbastanza inusuale. Non lo userei una volta, figurati due!

Veniamo al racconto. Ci sono immagini veramente, veramente bellissime! Descrizioni favolose, metafore riuscitissime, similitudini da chiedersi come ti siano venute in mente!
Il racconto, nonostante la sua lunghezza, si legge molto bene: merito tuo, dei punti fermi che hai usato, degli a capo, dei righi vuoti :)

Hai fatto davvero un buon lavoro! Anche originale, considerando come hai trattato il Vento. I miei più sinceri complimenti :)
 
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view post Posted on 23/6/2012, 16:18
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Romina Tamerici

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@Flamer: Grazie mille! Non immedesimarti troppo, però, non vorrei che facessi gesti inconsulti! Sono felice che ti sia piaciuto.

@Vivonic:Io non volevo nemmeno postarlo. Non ero sicura che il ruolo del vento fosse abbastanza esplicito e poi è un periodo un po' strano per me... poi ho pensato che era un peccato non postarlo anche solo per vedere cosa ne pensavate voi altri. E invece... almeno da questi due commenti posso essere soddisfatta. Grazie mille per il commento e i complimenti, forse troppi. Sui primi due errori ti do completamente ragione e vado a correggere, per quanto riguarda "aranciognoli", è ricavato sulla falsa riga di "azzurrognoli", non so se esista, però mi piaceva l'idea di un colore innaturale (compare due volte solo perché riferito allo stesso occhio, descritto in vari passaggi nello stesso modo). Ci penso su, magari aspetto di sentire il parere degli altri.

Intanto grazie mille a entrambi. Sono davvero lieta dei vostri commenti, comunque sentitevi liberi di segnalare tutto ciò che volete. Sono qui per migliorare!
 
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marcosanti74
view post Posted on 24/6/2012, 08:57




Romina complimenti. La frase che mi piace di più è:

Il fatto infatti che il corpo fosse vestito come me o che mi assomigliasse non la turbò da quella distanza

Se dovessi trovare un neo indicherei la depressione del protagonista nella parte iniziale, non è ben sviluppata.
Non mi da l'idea di una persona che possa compiere quel gesto. Ovvio che rimane un parere personale.
Superata questa sensazione, il racconto entra nel vivo e si ammirano le belle immagini.
In boca al lupo
In bocca al lupo
 
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view post Posted on 24/6/2012, 10:29
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Romina Tamerici

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Grazie Marco. Sono contenta che il racconto ti sia piaciuto.

La depressione del protagonista si evince già all'inizio, per esempio:
CITAZIONE
Dentro di me però quel desiderio ne nascondeva uno ben più drammatico: un senso di insoddisfazione che aveva ormai cominciato a rivestire ogni aspetto della mia vita. E ciò non aveva senso neppure lontanamente:

Però hai ragione, non è ben sviluppata. Non volevo lasciare capire le sue intenzioni, forse perché non si può parlare di intenzioni: era partito per fare bungee jumping, quindi il gesto non era premeditato. Per questo ho pensato di non insistere troppo inizialmente sulla sua angoscia, per non far immaginare troppo il seguito. Del resto però forse specificando meglio avrei reso più efficacemente il concetto. Sinceramente non lo so, però ti ringrazio per questo spunto di riflessione. Aspetto ancora qualche commento e poi vedo se modificare quella parte o lasciarla così. In ogni caso, il tuo "non mi dà l'idea di compiere quel gesto", mi fa pensare ai familiari che commentano i gesti suicidi dei loro cari dicendo "non l'avrei mai creduto capace di una cosa simile, era un po' giù, ma...". Se fosse stato così evidente il suo malessere, forse la moglie non l'avrebbe fatto andare da solo, non ti pare? Boh, forse sragiono.

Grazie mille per il commento e per l'in bocca al lupo!
 
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marcosanti74
view post Posted on 24/6/2012, 10:39




gli altri ovvio, ma tu lo stai descrivendo in prima persona noi lo vediamo con i suoi occhi.
Per me non devi aver paura che si possa capire fin dall'inizio.
Non lo vedo un grosso problema, si capisce già che lo farà. ;)
Il racconto parte sopratutto dopo quel momento. Non è il gesto di per se ma la riflessione dopo quel gesto.
Comunque rimane sempre un mio parere personale.
Ciao e in bocca al lupo
 
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view post Posted on 24/6/2012, 10:44
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Romina Tamerici

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Secondo me, non lo sapeva neanche lui. Era troppo instabile emotivamente per capire qualcosa della sua vita. Comunque ho inserito il tuo suggerimento nella lista di cose da rivedere e sistemare. Ti ringrazio!
 
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pleiadi
view post Posted on 24/6/2012, 12:57




Ma che bello! Mentre leggevo volevo ricordarmi di due parole (due!) che mi sembravano leggermente fuori registro, ma alla fine sono stata così presa dal racconto, che ora non le ricordo più! Lo rileggerò, ovviamente, magari aggiungendo qualche critica, ma così, a caldo, volevo solo dirti che sei proprio brava. La storia è originale, complessa, ed ha una sua morale non bacchettona, ma di tipo esistenziale. Ci risentiamo! Pleiadi
 
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pleiadi
view post Posted on 24/6/2012, 13:26




Riletto con calma. Ti segnalo quello che io limerei, e qualche piccolo refuso. Ciao!
fluttuando dall’altro -alto
con il cosmo, -con il mondo
la felicità di godere - la facoltà
si fece pressante - si riaffacciò
aranciognola - Io non disdegno i neologismi, ma questo suona male. Ci sono colori che si prestano - giallognolo, verdognolo-, questo e altri no... non saprei
sola una sensazione - solo
L’impatto con il suolo, infatti, è stato inevitabile - fu inevitabile
esamine. - esanime
inatteso come una carezza proveniente da una mano protesa per dare uno schiaffo. ( l'immagine sarebbe più efficace se capovolta: lo schiaffo a chi invece attende una carezza)
Io capii subito cosa aveva in mente. ( Lo toglierei, il lettore lo ha già capito)
trascina nell’occhio (Cercherei un parallelismo tra : uno salva, l'altro ....(un verbo) e toglierei - nell'occhio-)
verità vera - verità ( e basta)

Ciao!
 
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view post Posted on 24/6/2012, 14:35
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Romina Tamerici

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Grazie pleiadi! Sono contenta di vedere che il mio testo ti ha catturata e che l'hai anche riletto per farmi delle segnalazioni più puntuali: grazie davvero!
Condivido le tue segnalazioni. Alcune sono sviste, altre errori che non avevo notato. Provvedo a correggere al più presto. Se ti viene in mente altro da segnalare, ogni critica è ben accetta! Grazie ancora!
 
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wyjkz31
view post Posted on 24/6/2012, 20:11




L'ho trovato molto bello. Hai scelto un tema difficile e l'hai trattato molto bene e in modo originale.
Mi unisco alle perplessità sull'aranciognolo.
Non toccherei invece la parte iniziale per quanto riguarda le intenzioni suicide: mi è piaciuto il fatto che nemmeno lui si rendesse conto pienamente di avere un'idea del genere.
In questo caso però
CITAZIONE
Certo, sapevo cosa stavo facendo: era una possibilità su cui avevo meditato spesso senza avere l’occasione o il coraggio di compiere quel gesto.

Mi pare che contrasti troppo nettamente con l’idea di un gesto non premeditato; forse sarebbe meglio sfumarla un po’.
 
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view post Posted on 24/6/2012, 20:56
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Romina Tamerici

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Grazie wyjkz31! La frase che ti lascia perplessa è inserita in un discorso più ampio. Lui non sa di voler morire quando parte da casa, ma pronuncia quella frase per spiegare che non è stato niente di fuori da lui a spingerlo a quel gesto. Non è saltato nel vuoto per errore, ma per una presa di coscienza che per quanto improvvisa non è stata impulsiva. Il fatto di aver già pensato al suicidio in passato non implica che quel giorno fosse partito con quell'idea.
Comunque lo inserisco nelle cose su cui meditare e magari esplicito meglio il concetto. Grazie di cuore per il suggerimento!
 
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justadream12
view post Posted on 25/6/2012, 09:54




Ciao cara Romina!
Dopo qualche giorno di non-contatto con il forum ho piacevolmente trovato il tuo racconto da leggere e mi ci sono dedicata nel silenzio totale per meglio assaporarlo.
Innanzitutto complimenti per l'idea molto originale, per come l'hai presentata e descritta, passo passo, guidando il lettore fra le angosce del protagonista. Poi mi è piaciuto questo dualismo che lui ha dentro: la consapevolezza di avere molto dalla vita e contemporaneamente di non avere abbastanza. Infatti dentro di se' non sa nemmeno cosa lui stesso farà.

Le immagini sono innumerevoli, tutte magnifiche; le metafore stupende ma sarebbe lungo elencarle. Ne ricordo qualcuna particolare:

CITAZIONE
e rocce a terra, acuminate come lance pronte per la guerra,

CITAZIONE
una goccia cinese di insoddisfazione.

Frase memorabile:
CITAZIONE
gli uomini sono nati per desiderare ciò che non possono avere.

Alcuni termini come "perire" e "aranciognolo" non mi suonano, ma già te l'hanno detto.

Infine questa frase non mi convince, manca qualcosa... o no?
CITAZIONE
Lì, un cortese addetto specializzato, che doveva avere sì e no vent’anni e ne dimostrava cinque di meno, non mi ispirava particolare fiducia, anzi… Comunque mi lasciai imbragare e ascoltai le sue istruzioni.

Forse ci sarà anche qualcosina in più ma in definitiva il racconto è centrato, vivido e suggestivo. Fa pensare a situazioni frequenti oggigiorno. Ti faccio i miei complimenti quindi, in bocca al lupo per il concorso e a presto!
 
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view post Posted on 25/6/2012, 15:04
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Romina Tamerici

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Grazie Justadream12! Sono contenta che le similitudini del mio testo ti siano piaciute. Sono un tratto stilistico a cui tengo molto, ma non sempre faccio qualcosa di buono!
La frase che ti sembra incompleta è spezzata su quell'"anzi" come a voler indicare che non solo non aveva fiducia, ma anzi diffidava. Comunque lo inserisco nei suggerimenti su cui meditare.
Grazie mille, a presto e in bocca al lupo anche a te!
 
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45 replies since 22/6/2012, 23:44   297 views
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