| «Non è voi che rimpiango, anni della mia primavera, / passati via nei sogni di un vano amore [...]» (Aleksandr Puškin)
Heidi era piuttosto nervosa quella sera. Nonostante ciò, uscì di casa senza sbattere la porta. Scese i suoi tre piani a piedi e si ritrovò nel cortile deserto, illuminato dalla luce soffusa dei lampioni. Era ancora primavera, ma l’estate si avvicinava in fretta. Tra qualche settimana l’aria sarebbe diventata umida e soffocante. Adesso, invece, l’atmosfera era proprio perfetta per una di quelle passeggiate serali che a Heidi servivano a schiarire le idee. Malgrado fosse quasi mezzanotte, il vento era tiepido e leggero. Respirando a pieni polmoni, Heidi percepiva l’eco pungente della pioggia del giorno prima. Mentre si avviava verso la strada principale, estrasse dalla tasca un pacco di Winston e se ne accese una. La nicotina non funzionava più come una volta, ma lei si sentiva a suo agio con una sigaretta tra le dita. L’aiutavano a combattere la solitudine che l’assaliva nei momenti più inaspettati. Non fumava spesso; sapeva che prima o poi avrebbe smesso di nuovo. Per poi ricominciare. Come per provare a se stessa che il fumo non aveva sortito effetti negativi sulla sua salute, tutt’a un tratto si mise a correre. Un cane solitario se ne accorse troppo tardi e si scostò ringhiando, schivandola per un pelo. Dopo neanche trenta secondi, Heidi era sfinita. Rallentò il passo, cercando di respirare esclusivamente dal naso. La sigaretta era ancora accesa.
Quel pomeriggio Kiril le aveva dedicato più attenzioni del solito. Tornata a casa dall’università, lo aveva trovato sdraiato sul letto, in mutande. Al suo ingresso, lui le aveva sorriso in modo particolarmente intenso e si era alzato ad abbracciarla. L’aveva stretta forte a sé, sempre sorridendo. Dopodiché le aveva preso una mano e l’aveva fatta sdraiare sul letto, accanto a lui. Heidi aveva chiuso gli occhi, cercando di non pensare a niente. Come al suo solito, Kiril aveva preso ad intrecciarle delicatamente i capelli, per farla rilassare completamente. Quando la tensione fu scomparsa dal volto di Heidi, sostituita da un’espressione di grato compiacimento, Kiril iniziò a massaggiarle il collo. Heidi, che aveva poche ore di sonno e tanti pensieri per la testa, fu sul punto di addormentarsi. Ma quando incrociò lo sguardo di Kiril, e gli occhi nocciola di lei si piantarono in quelli profondi come l’oceano di lui, Heidi riuscì solo a dire che i suoi occhi erano meravigliosi. Si erano guardati a lungo: il prezioso turchese di Kiril nell’autunno caldo di Heidi, e viceversa. Kiril le accarezzava il viso, nutrendosi della giovane sensualità di Heidi, da cui non riusciva a distogliere lo sguardo. Heidi, sentendosi un tantino in soggezione, aveva chiuso nuovamente gli occhi. Quando li aveva riaperti, Kiril aveva posato le labbra sulle sue. Il cuore di Heidi aveva spiccato un balzo, facendola ritrarre immediatamente. Nonostante la sensazione fosse piacevole, era proprio quell’inaspettata voluttà che le metteva paura. Considerava Kiril quasi un amico e non avrebbe dovuto accettare di condividere il letto con lui. Alla reazione di lei, però, Kiril le aveva appoggiato una mano dietro la nuca e aveva ripreso ad accarezzarla teneramente. Come fermarlo? Heidi non poteva negare che le piaceva. Nelle lunghe notti solitarie d’inverno aveva tanto desiderato che qualcuno l’accarezzasse in quel modo, cullandola dolcemente. Perché sottrarsi, allora? Non meritava forse un risarcimento per la gelida morsa di solitudine che così spesso le oppeimeva l’anima? Non poteva semplicemente godersi la vita, una volta tanto? Certo che poteva... Se solo avesse voluto. Avrebbe potuto concedersi a suo piacimento tutti coloro che glielo chiedevano. Era bella e giovane e nessuno le avrebbe impedito di farlo. Ma Heidi avvertiva che c’era qualcosa di sbagliato. La sottile tentazione di abbandonarsi ai suoi amanti la solleticava ogni volta, senza mai allettarla realmente. Ogni volta che seduceva qualcuno –il più delle volte inconsapevolmente– Heidi sorrideva tra sé di quanto i maschi fossero inclini a perdere la testa per lei. Avrebbe potuto dire di sì a tutti, se solo avesse voluto. Subito dopo, però, si ritraeva disgustata da quelle riflessioni, vergognandosi di se stessa e dell’incapacità degli uomini di tenere a bada i propri istinti animali. “Gli uomini fraintendono sempre” aveva sentenziato sua madre prima di lasciar partire Heidi per l’università. Non aveva aggiunto altro, ma ora il significato di quelle parole era più trasparente che mai. Ripensandoci, Heidi sorrise amaramente. Quanto aveva ragione, sua madre! Heidi ne era la prova vivente. Ogni volta che li ospitava a casa sua, i ragazzi si presentavano da lei con dei progetti ben chiari. Senza contare tutti quelli con cui era uscita, anche se in occasioni isolate, che avevano preso a guardarla in un modo particolare... Appena si accorgeva di quello sguardo, Heidi li liquidava all’istante. Anche Kiril, in un certo senso, aveva piantato le tende e sembrava non volersene andare prima di aver ottenuto qualcosa in più della semplice amicizia... Lui però era diverso. Kiril sembrava sinceramente affezionato a lei. Per giunta, era il primo ragazzo che ad Heidi piacesse veramente: non era più, lei, un mero oggetto di desiderio, ma un soggetto desiderante. Amando Kiril, sarebbe divenuta prigioniera della morbosa speranza di essere ricambiata, ma trovarsi dall’altra parte era una sensazione del tutto nuova che affascinava Heidi. L’affascinava e la spaventava terribilmente. La bellezza esteriore di Kiril rispecchiava la sua purezza d’animo? Kiril era alto, biondo e aveva due occhi incantevoli. Heidi si incantava a fissare il proprio sguardo nel suo, immaginando di perdersi nelle limpide profondità di un lago. Inoltre Kiril veniva da Odessa, e avrebbe potuto insegnare ad Heidi il russo, la lingua dei suoi romanzi preferiti. “Vieni a Odessa. Vieni a Ucraina. Posso ospitarti nella mia casa per quanto tempo vorrai.” Le aveva detto nel suo italiano incerto. Heidi non poteva perdere quell’occasione. Alla fine gli aveva promesso che sarebbe andato a trovarlo quell’estate stessa. Così, adesso, Kiril la baciava e l’accarezzava, la baciava e l’accarezzava, immaginandosi chissà che cosa. L’espressione beata del suo volto suggeriva che il ragazzo non aveva alcuna fretta di “ottenere di più” da Heidi, fiducioso com’era nella sua promessa. Heidi lo osservava, disteso su un fianco, mentre le sue mani le sfioravano il corpo. Sebbene tenesse i gomiti schiacciati al seno e le gambe serrate, sentiva le sue viscere sciogliersi e la sua anima distendersi tra le braccia levigate di Kiril. Cercò di decifrare i pensieri che si celavano dietro quella candida fronte. I suoi gesti delicati lasciavano intendere che considerava Heidi preziosa. Lei lo avvertiva e questo la rendeva orgogliosa come una regina, ma non meno sola. Neanche Kiril, infatti, poteva comprendere i suoi dissidi interiori. Le venne in mente una poesia che aveva letto a scuola: “Ognuno sta solo sul cuor della Terra...” – chiunque la scrisse, beh, aveva ragione. La verità è che Heidi non sapeva rilassarsi. I sensi di colpa la tormentavano ogni secondo, e senza che lei riuscisse a spiegarsi il perché. Sarebbe stato già molto meglio se solo fosse riuscita a togliersi dalla testa il dubbio più grande che la ossessionava. La questione era: Kiril le dedicava tante attenzioni soltanto perché era bella, o anche perché la trovava interessante? A lei Kiril piaceva sul serio, ma era vero il contrario? Heidi non osava chiederglielo, e temeva ad ogni minuto di poterlo deludere con un comportamento immaturo. Allo stesso tempo però cercava di tranquillizzarsi – diamine, dopotutto aveva otto anni in meno di lui! Era lei l’inesperta della situazione ed era normale che fosse assalita dai dubbi. Si impose di non pensarci. Mentre Kiril le massaggiava deliziosamente il collo e le spalle, Heidi allungò una mano ad afferrare un tascabile dalla scrivania. Ricominciò a leggerlo da dove si era interrotta, per distogliere la mente. Quando fu il momento di voltare pagina, Heidi urtò inavvertitamente Kiril con il gomito, che si riscosse. Il ragazzo sollevò la testa e vide il libro. Heidi si voltò leggermente verso di lui, e si ritrovò a navigare in un punto interrogativo azzurro. Piccole rughe di perplessità si disegnavano sulla fronte del ragazzo. Heidi gli sorrise irresistibilmente con i suoi occhi nocciola. Era un sorriso innocente e pieno di divertita ironia. Kiril non poté fare a meno di ricambiarlo e le rughe sulla sua fronte scomparvero. “Tu vuoi sempre fare qualcosa” le disse. Sospirò – Leggere non era stata una buona mossa, registrò Heidi. “Usciamo. Ha smesso di piovere?” “No.” Kiril si tirò su, lentamente. Heidi si mise a sedere accanto a lui e posò le proprie gambe su quelle di lui. Kiril accarezzò le folte ciocche dei suoi capelli lunghi. La pioggia picchiettava incessante sui vetri. “Usciamo lo stesso” disse. Esitò, poi aggiunse malinconicamente: “Non era simpatico che leggevi quando eravamo sdraiati.” Erano usciti. Heidi lo aveva guidato attraverso la città, noncurante della pioggia battente che allagava le strade. Soltanto dopo il tramonto, con i piedi ormai ridotti a spugne, Kiril si era ritenuto soddisfatto della gita turistica ed aveva espresso il desiderio di ritornare a casa. Heidi ce l’aveva portato. Avevano ordinato due pizze e si erano messi a mangiarle sul letto, direttamente dal cartone tanto erano affamati. Non sazio, Kiril si recò in cucina e iniziò a preparare degli squisiti pancake russi. Heidi fu deliziata da quel cibo che sapeva di dolce e di salato allo stesso tempo. Li divorarono guardando la pioggia infrangersi sui vetri della finestra. Poi regnò di nuovo il silenzio e Kiril prese a fissare Heidi. Le piantò dritto in faccia la lama azzurra del suo sguardo, in cui alla dolcezza si mescolava una punta di malizia. Le prese le mani e cominciò ad accarezzarle. Heidi passò un dito sull’unghia del suo mignolo. Più tardi erano sul letto, a contemplarsi a vicenda. Ma Kiril chiuse gli occhi inaspettatamente presto, questa volta. Nel giro di pochi secondi era già profondamente addormentato. Heidi invece non riusciva a prendere sonno. C’era qualcosa di irrimediabilmente sbagliato nel dormire nello stesso letto con Kiril. Sentiva che se si fosse abbandonata tra le sue braccia non avrebbe più potuto fermare il resto. E lei non voleva una “storia romantica” con Kiril –come lui l’aveva chiamata. Allora si era alzata dal letto senza far rumore e vi si era seduta per osservare Kiril riposare. Il suo lieve russare emanava una calma benefica.
Tuttavia, Heidi percepiva che l’effetto rassicurante di Kiril non sarebbe durato a lungo. La sua tenerezza non sarebbe bastata a ridarle la gioia di vivere, né ad aiutarla a risolvere i suoi problemi. Con una lucidità quasi impressionante, Heidi ammise a se stessa che mai avrebbe potuto amare Kiril. Avrebbe voluto abbandonarsi completamente a lui, ma qualcosa nei suoi gesti la bloccava ogni volta. Forse erano la differenza d’età, forse i mezzi comunicativi insufficienti. Come sarebbe Heidi potuta entrare nella vita di Kiril, lei che era quasi una ragazzina? Inoltre, con Kiril aveva sempre la sensazione di non potersi esprimere liberamente. Siccome lui non conosceva perfettamente l’italiano, Heidi doveva semplificare molto il suo linguaggio. Si dice che gran parte della comunicazione sia non verbale, eppure per Heidi erano troppe cose inespresse che le impedivano di conoscere a fondo Kiril. E questo era davvero insopportabile. Mentre fumava, quella notte, decise che l’indomani avrebbe mandato Kiril via da casa sua. Gettò il mozzicone, e senza che se accorgesse, un gabbiano atterrò silenzioso alle sue spalle. Heidi si sentì triste ma allo stesso tempo scaricata di un grosso peso: quello della decisione o dell’indecisione? Si chiese. In fondo era la stessa cosa. Fece per tornare verso casa, e in quel momento il gabbiano afferrò il mozzicone nel becco.
Heidi entrò in camera cautamente, per non svegliare Kiril. Alla luce dei lampioni che filtrava dalla finestra, si accorse che il letto di Kiril era vuoto. Il ragazzo si era infatti trasferito nel letto di Heidi, dove giaceva supinamente abbandonato al sonno. Una mano riposava lungo il fianco, l’altra sullo stomaco che si alzava e abbassava lentamente al ritmo del suo placido sonno. Heidi non riuscì a trattenere un sospiro esasperato. Poi, però, la tenerezza sopraffece l’irritazione, e Heidi rimase per un po’ ad osservarlo nella penombra, con la testa leggermente piegata di lato. Le ricordava un bambino che si rifugia dagli incubi notturni nel lettone dei genitori. Come poteva Heidi cacciarlo? Sarebbe già stato abbastanza difficile, l’indomani, trovare le parole per fargli capire che doveva sloggiare. Così, dopo un attimo di esitazione, si svestì e si sdraiò accanto a lui. In fondo, pensò, sarebbe stata l’ultima notte piacevole per entrambi. Si strinse il più possibile contro la metà libera del letto, ma lasciò scivolare i suoi piedi freddi tra quelli di Kiril.
Quella mattina non furono i gabbiani a svegliare Heidi, ma il rumore improvviso di un’imposta sbattuta dal vento. Quando si destò, le parve di aver dormito cent’anni. Captò subito qualcosa di strano, ma lì per lì non capì cosa. Allungò una mano alla scrivania per controllare l’ora sul cellulare. Le dieci e un quarto. Di solito era in piedi almeno un’ora prima. Dannato telefono, perché la sveglia non aveva funzionato? E perché gli scuri erano socchiusi, se la sera prima lei li aveva lasciati aperti, esattamente come piaceva a Kiril...? Heidi si accorse con sgomento di essere da sola. Kiril non era né nel suo letto, né in quello per gli ospiti. Anche il suo zaino era sparito. A parte Heidi, la stanza era completamente vuota. Provò un misto di sollievo misto a vergogna per i quali si adirò con se stessa. Non aveva più l’incombenza di mandarlo via, se n’era andato da solo. Heidi provò ulteriore disgusto verso di sé. Le lacrime le si affacciarono agli occhi, ma senza avere il coraggio di scendere. Interdetta, Heidi si sfilò le coperte di dosso con un gesto meccanico. Continuava a guardarsi in giro, senza capire, mentre la sua vista si sfocava sempre di più. “Non era quello che volevi?” le disse una sarcastica voce interiore. “Hai cose più importanti a cui badare e lui si è sentito di troppo”. Aveva persino chiuso gli scuri. Il suo era stato un gesto gentile o beffardo? Heidi non riusciva a concepire che Kiril le portasse rancore. Se n’era andato sicuramente col cuore pesante, agendo a causa di un fraintendimento, ma mai per prenderla in giro... Senza rendersene conto, Heidi aveva aperto l’armadio e aveva cominciato a tirarne fuori abiti alla rinfusa. Nella sua mente lampeggiava la vaga idea di vestirsi e di correre a cercare Kiril da qualche parte nel mondo. L’avrebbe seguito fino in Ucraina, se necessario. Doveva assolutamente spiegargli che c’era un errore. A un certo punto, nello sfilare un jeans da una gruccia, le sue dita urtarono qualcosa che cadde. Heidi raccolse la piccola calamita di legno che qualcuno aveva attaccato alla gruccia. Se la rigirò tra le mani: una matrioska variopinta. Per un po’ Heidi non si mosse. Frugò nel suo cuore e fu sorpresa di trovarci gioia mista ad eccitazione mista a rimpianto e a sensi di colpa. Rimase immobile con la matrioska in mano, lasciando che tutte queste emozioni esplodessero dentro di lei. Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra. Un vento impetuoso, per nulla somigliante alla tiepida brezza della sera prima, faceva ondeggiare le chiome degli alberi. Strappava via i cappelli dei passanti e sollevava una gran polvere come per spazzare via gli ultimi brandelli di primavera: l’estate era arrivata. Come ogni mattina, i gabbiani strepitavano in coro dall’alto dei tetti, indifferenti alle umane sorti. Fu allora che le lacrime cominciarono finalmente a sgorgare sul viso di Heidi.
Edited by lux1993 - 4/7/2012, 19:22
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