| Rapitori di Vento
Il laboratorio era spento e freddo. Quando il professore accese la luce, Daniele ed io capimmo che tutta la curiosità che gravitava attorno al nostro insegnante di lettere era fondata. Non c’eravamo sbagliati affatto. Mostruose gigantografie di tifoni e tornado adornavano i pochi spazi sui muri lasciati liberi dalle numerose scaffalature. Centinaia di barattoli erano ben disposti sui ripiani. Non c’era traccia di polvere o disordine. Il Professore era un tipo preciso, lo si notava anche dalla maniera di camminare: mai un passo leggermente più lungo dell’altro, mai un improvviso acceleramento. Costante. - Venite, siete i benvenuti! - disse cordiale. Mosse un braccio come a spostare un sipario che si aprisse sul palcoscenico del suo regno segreto. A bocca aperta studiammo quello scantinato pieno di boccette, ampolle, vasi e contenitori rigorosamente in vetro. Mi avvicinai a uno scaffale e presi un barattolo. Me lo rigirai tra le mani studiandolo. Conteneva, come tutti gli altri, un pezzo di tessuto bianco molto spesso. L’etichetta posta all’esterno diceva: Laetamen. - Non conosco questa parola, è inglese? - chiesi. Vidi la testa senza nemmeno un capello del Professore voltarsi per guardarmi meglio. - E’ latino, non lo riconosci? - mi rispose divertito. - Meno male che no! - esclamai. L’inglese mi bastava, arrivavo giusto alla sufficienza. - E’ un peccato che non lo insegnino più alle medie. Vuoi annusare? - chiese. Annuii e svitai il tappo. Avvicinai il naso all’imboccatura del vasetto e inspirai con forza. Mi ritrassi sorpreso. Era un odore acuto, pungente, acre. Non lo avrei mai potuto definire un profumo. - Questo l’ho catturato alla fattoria. Riprova, non è difficile - mi esortò. Riprovai, ma non riuscii a collegarlo a niente sebbene mi rendessi conto di averlo già incontrato. - E’ letame! - esclamò divertito - Bisogna allenarsi. Ci vuole molta pratica, ma dopo sarai un abile annusatore e un buon rammentatore. Non fare quella faccia, Filippo, ogni odore ha diritto di essere contemplato! - continuò. Daniele prese un vasetto con scritto Quercus. Annusò con decisione. - Sa di foglia! - esclamò trionfante felice di avermi superato. - Giusto! Beh, più o meno. E’ il profumo di quercia. Bravo. - si complimentò. - E questo chi lo riconosce? - domandò porgendoci un barattolo identificato con Nebula. Fece saltare la chiusura ermetica. - Mah, è difficile. Potrebbe essere acqua. Ha un odore l’acqua, Prof? - domandai dubbioso. - Certo, anche l’acqua ha un suo profumo. Però diventa un odore fastidioso, sembra muffa dopo un po’ di permanenza nei contenitori. E’ difficoltoso conservarla. Questo profumo è quello della nebbia, Pensaci, si riconosce facilmente: ha un vago sentore di inverno, di nuvola. Non credi? - mi guardò come se fossi il suo studente preferito e questo mi piacque molto. Non era un caso che nelle sue materie eccellessi. Richiuse il barattolo e lo ripose sulla scaffalatura togliendo dell’inesistente polvere dalla sommità. Lycopersicum diceva l’iscrizione del vaso che avevo in mano in quel momento. Annusai. - Pizza! - sì, era pizza. - Non proprio, è pomodoro - mi smontò. - Come fa a rapire gli odori, Prof? - domandò il mio compagno di banco. - Oh, è semplice. L’unico ingrediente indispensabile è il vento. È l’alleato più prezioso. Il vento è amico e maestro. - prese a spiegare - Vedete quelle pezze all’interno delle ampolle? Sono delle semplicissime stoffe bagnate. La fibra è di cotone. Il cotone assorbe molto bene gli odori e li trattiene a lungo. Poi serve quest’attrezzo - scostò una tenda e ci mostrò una sorta di treppiede con dei ganci alle estremità dei 4 bracci posti paralleli al suolo. - Occorre bagnare per bene la pezzuola, si appende qui, vedete? Poi si espone il trespolo nella zona che ci interessa e si aspetta che il vento dell’imbrunire arrivi, spiri e sospinga i profumi verso il nostro tester impregnando il tessuto. Siamo fortunati da queste parti, il vento arriva tutte le sere. Si aspetta che il tessuto si asciughi, ma non completamente. Questo è il punto più difficoltoso. Deve restare umidiccio. Poi s’inserisce nelle ampolle. Ogni tanto, durante il periodo di “acquisizione”, il vaso va riaperto, prima per 30 minuti, il giorno dopo 10 e il terzo giorno si può sigillare - ci spiegò. Presi un altro barattolo. - Posso annusare il vento di “Nix”? - il Professore mi esortò con un gesto della mano aperta. Aspirai. Un odore secco m’invase le narici e finì direttamente nello stomaco. - Che vento è questo? - ero sconsolato, non riuscivo a riconoscerne nessuno. - Oh, quello dovresti conoscerlo bene, è il vento della neve - era molto paziente il Professore oltre che stravagante. - È vero! - esclamai. Lo avevo sentito così spesso in inverno e la nonna ci avvertiva sempre all’imminente arrivo della neve annusando l’aria che scendeva dalle montagne. Come avevo fatto a non capirlo? - Ce l’ha l’odore del fuoco? - Daniele, il piromane. - Sì ma non lo annuso spesso. Rovina l’olfatto, è troppo intenso. Alcuni profumi sono impossibili da catturare, come l’acqua che si rovina subito mentre il fuoco è così semplice che non mi entusiasma più - sembrava rattristato. - Cos’è questo odore? - chiesi prendendo un barattolo posto in un angolo. - Aprilo, chiudi gli occhi e annusa. Per indovinare questo ci vuole un po’ di poesia. Coraggio. - il suo tono pacato era sempre un invito a non fermarsi, ad affondare sempre le mani nel fango in cerca del segreto sommerso. Nelle narici si diffuse un odore molto intenso, vaporoso, rotondo. Quasi stordiva. All’esterno l’etichetta diceva: Lena. - Quello è il profumo di mia moglie, è il suo bagnoschiuma: mughetto - sorrise un po’ imbarazzato. - Si conservano per sempre gli odori? - chiesi. - No, purtroppo no. Ogni tanto vanno rinnovati, ricatturati. Più li annusi e più li prosciughi. Annusammo ingordi e stupiti per tutto il pomeriggio. Pane, sole, catrame, miele, papaveri, smog. Ogni sorta di odore trovava posto sugli scaffali del Professore. In seguito diventammo gli assistenti del Professore, i suoi studenti, di nuovo. Ci costruimmo un trespolo un poco traballante e passammo l’estate catturando gli odori portati dal vento che mancavano al Professore. Eravamo diventati anche noi dei rapitori di vento. Dei catturatori di essenze, degli studiosi della vita. Rapimmo Gloria: la più bella e profumata ragazzina mai vista. Rapimmo lo stagno, i conigli, le aringhe, la soffitta e avemmo il piacere di vedere i nostri profumi catalogati e archiviati assieme agli altri. Sono passati tanti anni da allora, ho perso le tracce del Professore e di Daniele, ma mi piace immaginarli col trespolo in una mano e un contenitore in vetro nell’altra nei pomeriggi ventosi, gli occhi socchiusi, pazienti a caccia di profumi nuovi, affamati di vento profumato.
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