| “Non esci?” “Devo studiare, ho la maturità quest’anno.” Valentina si alza dal divano e si dirige verso camera sua cercando di rendere credibile la bugia. Non le crede, basta guardare la sua espressione, ma non ribatte niente. Negli ultimi mesi la mamma è diventata molto più tollerante: lo è esattamente da nove mesi e tredici giorni. Accende il portatile; un’occhiata su face book le conferma quello che già sapeva: oggi pomeriggio, come ogni altro pomeriggio dell’estate che sta arrivando, ci si trova in spiaggia. Ma chi non abita al mare cosa cavolo fa d’estate? Non le era mai capitato di pensarci, prima. Apre un libro a caso aspettando che la mamma esca e si unisca all’orda di biciclette dirette verso la spiaggia: i pomeriggi sotto l’ombrellone a chiacchierare con le amiche sono un rito sociale irrinunciabile per lei. Almeno se ne starà fuori dalle scatole fino a questa sera. “Per piacere Vale, porta dentro la biancheria se vedi che tira vento forte, altrimenti si riempie di sabbia.” Aveva smesso di ascoltare al “per piacere” e ha ripreso ad ascoltare alla parola “vento” e all’ancora più inquietante “forte”. “Non credo che farà brutto tempo, è solo per prudenza.” Un tentativo di tranquillizzarla non del tutto riuscito. “Allora non rompere.” “Sempre gentile, brava. Guarda di non lasciare disordine in giro che ho appena fatto i lavori.”
E’ uscita. Adesso Valentina ha tutto un pomeriggio da tenere occupato: magari più tardi potrebbe davvero studiare un po’. Si studia le gambe e le braccia nude che spuntano pallide dai vestiti estivi: oggi a scuola Chiara le ha detto che cominciano a chiamarla pelle di luna, quelli gentili; gli altri non ha voluto sapere cosa dicono. Deve spostare un sacco di robaccia dal ripostiglio prima di riuscire a ripescare la sdraio e a trascinarla fino al terrazzo. Ignora le scatole e le cianfrusaglie sparse in giro, si mette il costume, prende la lozione solare e va a sistemarsi fuori, al sole. Mao la segue e si accoccola all’ombra delle piante. Il cielo è di un azzurro luminoso con qualche timida nuvola che si affaccia all’orizzonte. Non c’è vento, solo una leggera brezza che le porta il profumo del mare. In effetti, è più odore di alghe in putrefazione, quelle che restano per giorni sulla battigia, dopo una mareggiata, in attesa di definire a chi spetti l’incombenza di ripulire il bagnasciuga. E per associazione d’idee le torna in mente Marco. Quello che noleggiava moto d’acqua e con cui ha flirtato per buona parte dell’estate precedente senza arrivare a concludere un tubo, quello sempre gentile e sorridente. E poi c’è quell’altro. Stringe le mani sui braccioli della sdraio, a lui non vuole pensare. Adesso la brezza si è trasformata in venticello, si concentra sulla sensazione carezzevole che le sfiora la pelle, è della giusta intensità per dissipare il calore del sole. Forse dovrebbe mettere ancora un po’ di lozione solare. Mao sta dormendo; non sarebbe una cattiva idea imitarlo: ha sempre pensato di avere un gatto saggio.
Si sveglia di colpo, intontita. Il vento è forte adesso, caldo e saturo di umidità; pioverà di sicuro, un temporale estivo, il primo della stagione. Mao il gatto saggio è rientrato, dovrebbe farlo anche lei. Il vento ha sollevato la sabbia, quella più sottile che ti senti fra i denti. In spiaggia sarà peggio, come l’anno scorso.
Marco stava tirando al coperto la moto dell’ultimo ritardatario. “Resta qua con me, guardiamo il temporale.” Il vento turbinava sollevando nugoli di sabbia, tanto da impedire di tenere gli occhi aperti senza fastidio. Però era la prima volta che Marco sembrava volere veramente la sua compagnia: per il resto dell’estate l’aveva sempre accettata ma mai cercata. “Va bene, prendo le mie cose e avverto le amiche.”
Sul terrazzo il vento ha ingarbugliato i panni e minaccia di ribaltare lo stendibiancheria. Valentina è ancora seduta sulla sdraio, le mani avvinghiate sui braccioli; il vento le fa paura, ma per la prima volta da nove mesi e tredici giorni non vuole rientrare. E’ solo vento.
“E’ solo vento, non avrai mica paura?” Così le disse Marco quando si avvicinò a lui. Erano sotto la tettoia del capanno sulla spiaggia; all’occorrenza potevano andare dentro ma fino a quel momento si stava bene anche fuori. “Ho un po’ freddo.” Come previsto le mise un braccio sulle spalle, andava tutto a meraviglia. “Trasporta anche l’acqua salata oltre alla sabbia,” le accostò la bocca all’orecchio per sovrastare i rumori del vento e del mare grosso, una bella sensazione il suo alito caldo mentre il vento freddo le sferzava il corpo. E poi era vero, avevano le magliette umide.
Le sembra di sentire ancora adesso la maglietta umida aderire sulla pelle; rabbrividisce, il vento è ancora più forte, forma mulinelli in cui si rincorrono foglie, sporcizia e l’onnipresente sabbia. Sente il tonfo dello stendibiancheria che cade a terra. Fa lo stesso rumore della porta del capanno che si chiudeva dietro di loro.
Prima di entrare si erano finalmente baciati. Baciava bene. “Sei in mio potere adesso.” Il tono serio con cui pronunciò quelle parole la fece ridere. “Pensi che stia scherzando?” “Mhmm, sì, direi proprio di sì!” Marco si avvicinò con due passi rapidi. Poteva anche andare più lentamente, lei non aveva alcuna intenzione di muoversi. La schiacciò con il suo peso contro la parete. Quel bacio non le piacque, c’era brama di possesso, e violenza. “Ehi, calmati! Altrimenti me ne vado.” Distolse il viso e gli mise le mani sul petto cercando di spostarlo. Lui non si mosse di un millimetro. “Non puoi dettare nessuna condizione, bella mia.” “Non mi piace la violenza, nemmeno quella verbale. Spostati che adesso me ne vado.” Non voleva avere più niente a che fare con lui: tutta l’attesa e l’eccitazione erano svanite. Però in quel momento pensava ancora che fosse una specie di gioco, di cattivo gusto ma innocuo. “Te ne andrai di qua solo dopo avermi fatto un bel servizio completo, come dico io!” Quell’altro Marco la fissava, gli occhi socchiusi, sogghignando. “Non voglio, lasciami!” Fu quello il primo momento in cui ebbe veramente paura. “Tranquilla, se ti comporti bene poi ti lascio andare. Tanto nessuno ti crederà se dici che non volevi, lo sanno tutti che mi muori dietro!”
Il vento ha portato la pioggia. Si alza in piedi, le gocce pungono come aghi sulla pelle. Mao la guarda da dietro il vetro senza interesse: è un gatto, non si sente in dovere di accudire la sua padrona. E’ quasi nuda sotto la pioggia battente, come quel giorno quando finalmente è riuscita a sfuggirgli approfittando di un attimo di distrazione. Tecnicamente non è riuscito a violentarla, è stato l’unico momento di tutto il racconto in cui la mamma ha tirato un sospiro di sollievo. Stupida. L’ha violentata nell’istante in cui le ha impedito di andarsene, e poi ancora e ancora, tutte le volte in cui si è chiesta se in fondo, in qualche modo, fosse anche colpa sua. “Brutto stronzo bastardo! Non è stata colpa mia, mi piacevi, brutto stronzo! Io non sono un giocattolo da usare! Sono una persona! Le persone si rispettano, e tu non mi hai rispettata. Stronzo!” Ha gridato con tutto il fiato che aveva e il vento ha assorbito le sue parole e la sua rabbia; è un vento forte, amico, ne reggerà il peso e riuscirà a disperderle. La sofferenza è già diminuita. Piange? Non saprebbe dirlo in mezzo a tutta quell’acqua che lava via anche i sensi di colpa.
“Vale? Vale? Ma sei cieca e sorda? Sta diluviando e hai lasciato tutte le finestre aperte!” La mamma è tornata, Valentina non si cura di risponderle; anche se trema per il freddo non vuole rientrare, non ancora. La pioggia è quasi cessata del tutto e il vento le porta un buon odore di pulito, di nuovo. “Vale, amore, cosa fai qua fuori? Sei tutta bagnata.” La mamma la avvolge prima in un asciugamano e poi in un abbraccio. “Anche tu sei bagnata.” “Eh! Ah, ho preferito tornare subito indietro senza aspettare che spiovesse, c’era troppa ressa al bar della spiaggia per stare comoda.” Bugiarda, è tornata per lei. La accompagna dentro e la friziona con l’asciugamano, come fosse una bambina; è preoccupata da morire, anche se cerca di nasconderlo. “Va tutto bene?” Di solito non le fa domande così stupide. “Tutto bene?” Valentina ripete la domanda per capirla meglio: è una domanda impegnativa. Esce di nuovo sul terrazzo, scalza, l’asciugamano avvolto attorno al corpo. La mamma la segue. No, non va tutto bene. Il vento si è calmato, è debole e fresco e porta odore di terra bagnata. Inspira profondamente. “Va un po’ meglio di prima.” “Davvero?” “Davvero.” Dopo nove mesi e tredici giorni comincia ad andare un po’ meglio, davvero. “Mi spiace per la biancheria, l’ho dimenticata.” La mamma non degna di un’occhiata il groviglio di panni impregnati d’acqua. “Dopo li rimetto in lavatrice, non è un problema.” “Penso che domani andrò un po’ in spiaggia, sono troppo pallida.” “Veramente in questo momento sei un po’ rossa.” Valentina si guarda le braccia. “Oh, colpa del vento, non mi sono accorta di essermi scottata.” Ridono. Sì, va decisamente meglio.
Edited by wyjkz31 - 30/6/2012, 21:10
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