| Narghilè
Da una settimana Nadine non faceva che piangere. Mentre annodava con la solita pazienza i fili del tappeto che stava tessendo, grosse lacrime le scendevano silenziose lungo le guance. Tutto il giorno zitta, senza mai alzare la testa dal tappeto. Nessuno avrebbe potuto aiutarla, né consolarla. Vedendola in quello stato, a sua madre si stringeva il cuore. Piangeva anche lei, di nascosto, facendo attenzione a non farsi vedere. Una mattina non ce la fece più a tenersi dentro tutta quella pena: “Nadine, è successa la stessa cosa anche a me, eppure, come puoi vedere, non è andata male: un buon marito e quattro figli meravigliosi.” Ma Nadine non si convinceva: “Non lo conosco nemmeno quell’uomo e non lo voglio come marito. Piuttosto che diventare la sua sposa mi ammazzo.” Selma rimase impietrita e sentì le sue gambe tremare. La conosceva bene quella figlia, l’ultima arrivata, che ora era poco più di una bambina: dolce e affettuosa quanto si vuole, ma dal carattere forte, che a lei non era mai riuscito piegare. Quando si metteva in testa un’idea, era difficile fargliela cambiare e ora minacciava addirittura il suicidio. “Non puoi parlare tu con mio padre? È tuo marito, lui ti ascolterà”, implorava la figlia. “Ma in che mondo vivi, Nadine? Tuo padre non mi farebbe dire neppure una parola. L’unica persona con cui può accettare di discutere dei problemi della famiglia è tuo fratello Akram, il primogenito, il suo discendente.” Gli occhi di Nadine si spalancarono e la mamma ci lesse una luce di speranza. Akram, perché non ci avevano pensato prima? Solo lui poteva farle smettere di piangere. L’avrebbe trovata lui una soluzione, perché era un uomo speciale, intelligente, colto, dinamico, rispettato da tutti, perfino dal padre. Aveva quindici anni più di Nadine; tra loro due c’era sempre stato un rapporto particolare, un legame molto più profondo di quello che unisce un fratello a una sorella, un padre a una figlia, un marito alla moglie. Akram era un medico dell’ospedale della città. Appena lo vide rientrare, Nadine corse ad abbracciarlo. Da quando era diventata una signorina, frenata dal pudore, non lo accoglieva più con così tanto affetto quando tornava a casa. Stava diventando sempre più bella, la sorellina. L’ovale del suo volto era impreziosito da un dentino scheggiato, un'imperfezione che si era procurata da bambina giocando con l’altalena. Il fratello, felice per l’abbraccio, intuì che lei, la bambina, aveva bisogno di lui. L’aveva aiutata tante di quelle volte quando era piccola che ora non si sarebbe certo tirato indietro: “Cos’è che ti turba, Nadine? Da un po’ di giorni ti vedo triste.” “Nostro padre vuole farmi sposare un uomo che non conosco, un vecchio che ha il doppio dei miei anni. Non ha neppure chiesto la mia opinione. Me l’ha detto a cose fatte, dopo che si era già impegnato. Io non sposerò mai quell’uomo, Akram, ma non so come fare. Solo tu mi puoi aiutare”, gli rispose la sorella che non ce la faceva a trattenere il pianto. Non era un compito facile quello che Nadine chiedeva al fratello. Sapeva bene che la parola data era sacra per Feisal, un uomo che si trincerava dietro la sua autorità per commettere azioni ingiuste, a cui Akram si ribellava. Non gli sembrava giusto costringere una figlia a sposare uno sconosciuto, sicuramente ricco, che non aveva esitato neppure per un attimo davanti alla giovinezza e alla grazia della ragazza. “Nadine, proverò anche l’impossibile, però non sono sicuro di riuscirci”, ma lei, convinta che per suo fratello non esistesse l’impossibile, andò a letto piena di speranza. Anche Akram andò presto a dormire, o meglio a cercare di dormire, perché non riusciva a prendere sonno. Si rigirava nel letto, tanto che sua moglie Rania avvertì la sua agitazione: “Che ti succede Akram? Hai avuto problemi in ospedale?” “No! Mio padre ha promesso in sposa Nadine a un uomo che lei non vuole e io glielo devo impedire.” “Tu e Nadine siete proprio una bella coppia. Per la sorellina anche nel fuoco ti butteresti! Non preoccuparti: tuo padre ti ha sempre dato ascolto e ti ascolterà pure per Nadine. Anche a te aveva trovato una moglie, ti ricordi?, ma tu ti ribellasti e sposasti me, un matrimonio d’amore” gli disse dandogli un bacio e augurandogli la buonanotte. Rania era una donna positiva e, come tutti, riponeva in Akram una fiducia che lui riteneva eccessiva, anche se ne era lusingato. “Fosse così facile come crede lei! Se voglio salvare Nadine, devo trovare il punto debole di mio padre. Tutti gli uomini hanno il loro tallone d’Achille” pensò Akram mentre cominciava a cedere alla stanchezza accumulata durante la giornata. I pensieri si trasformarono in sogni. Nel sogno rivisse un episodio avvenuto realmente cinque anni prima durante una guerra combattuta dal suo Paese, che non riusciva mai a trovare una pace duratura con i Paesi vicini. Una specie di maledizione.
Akram, richiamato alle armi come medico militare, curava i feriti in un ospedale di campo, proprio vicino alla linea di fuoco. Una mattina vide arrivare dentro il tendone suo padre, preoccupato per il figlio. Quando Akram gli chiese il motivo di questa sua preoccupazione, Feisal gli disse che aveva fatto un brutto sogno, un sogno premonitore. Aveva temuto per la sua vita. “E sei venuto qui solo perché hai fatto un sogno?” gli chiese Akram sorridendo. “Non è stato solo per il sogno. Quando mi sono svegliato e ho aperto la finestra, fuori tirava un forte vento che spirava proprio nella direzione del fronte, dove ti trovi tu.” “E cosa significa?” “Caro Akram, i sogni e il vento sono i segni che ci manda Dio. È con questi mezzi che comunica con noi, che ci avverte e ci indica la strada da seguire. I sogni durante la notte e il vento durante il giorno.” “Oggi però i segni che ti ha mandato Dio per fortuna erano sbagliati. Come puoi vedere, sono ancora vivo”, intervenne Akram col solito scetticismo. “Attento a come parli. Dio non commette errori: se stamani mi ha mandato qui, un motivo c’è. Forse voleva che oggi io ti parlassi dei sogni e del vento”, concluse Feisal felice per lo scampato pericolo.
Quando la mattina si svegliò, Akram afferrò che il punto debole di suo padre era proprio quello che per Feisal era il suo punto d’appoggio: il vento. Che fosse un soffio mandato dagli dei era una credenza antica. E non sempre questo soffio era stato un amico. Al contrario! Alcuni millenni prima, gli dei di allora si erano fatti corrompere dal sacrificio di una vergine, Ifigenia, permettendo a un esercito nemico, aiutato dal vento, di invadere la terra dove ora abitavano Feisal, Akram e la loro famiglia. Non sapeva ancora come, ma con l’aiuto del vento avrebbe salvato Nadine. Nel pomeriggio, appena rientrato dall’ospedale, Akram andò in giardino dove suo padre stava fumando il narghilè. Era una bella giornata di primavera, con il sole che faceva risplendere il colore dei fiori. Soffiava una brezza leggera, quasi impercettibile. L’aria profumava di tabacco e di melassa. Akram si sedette su una sedia a rispettosa distanza dal padre. Solo lui era ammesso alla sua presenza quando fumava il narghilè, ma anche lui, prima di parlare, doveva attendere un cenno, che quel pomeriggio tardava ad arrivare. Akram studiava le mosse del padre, che si limitavano al movimento degli occhi, che seguivano la direzione del fumo del narghilè, una direzione mutevole data l’esiguità del vento. Quando arrivò il cenno del padre, Akram, con molto rispetto, gli parlò di Nadine: gli disse che lei era ancora troppo giovane e non era ancora pronta per il matrimonio. I tempi erano cambiati e invitò il padre a ripensare al suo progetto. Feisal guardò il figlio con occhi severi, ma nello stesso tempo con ammirazione. Era davvero un uomo coraggioso: lui, Feisal, non avrebbe mai avuto il coraggio di andare contro la volontà di suo padre. Aveva bisogno di tempo per pensarci su: “Ritorna domani a questa stessa ora e ti darò la mia risposta”, per Akram questo era già un successo. Il giorno seguente, quando i due uomini si ritrovarono di fronte, il vento spirava con maggiore forza. Akram capì che le sorti della partita si giocavano in quel momento e con finta naturalezza spostò la sua sedia, facendo sì da essere investito dal fumo del narghilè. Gli occhi di Feisal seguivano la linea del fumo che arrivava diritto sulla faccia del figlio. Era la risposta che attendeva: attraverso il vento Dio gli stava ordinando di assecondare la richiesta di Akram. L’uomo Feisal non poteva fare altro che ubbidire, a costo di mancare alla parola data. “Ho preso la mia decisione, Akram. Tua sorella è ancora troppo giovane per sposarsi.” Akram baciò la mano del padre e rientrò nella sua stanza. Si affacciò alla finestra soddisfatto e si accese una Marlboro. Non era stato poi così difficile far recedere dal suo proposito il vecchio padre, che in giardino stava ancora fumando il narghilè. Però era triste pensare che il destino di sua sorella fosse dipeso da un soffio del vento. Alzò lo sguardo sul grande albero che riparava Feisal dai raggi del sole. Il vento era completamente cessato e non faceva più muovere le foglie. Inshallah!
Edited by Lupoalfa - 14/6/2012, 09:27
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