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Storia di Alì che per aver morso morì

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view post Posted on 23/5/2012, 20:29
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Fabrizia

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Storia di Alì che per aver morso morì
Atka


Quindi il colpo riecheggiò giù nel candore del fiume e correndo su fili d’erbe si alzò su fino alle cime dei pini e dei castagni e svanì, infine, fischiando verso il campanile che silenzioso e alto pareva scalare il costone della montagna.
Alì era disteso a terra finito, la sua carcassa ora cadeva nella buca e veniva misericordiosamente coperta da fredda terra scura.
Il suo amico lo aveva seppellito come un buon cristiano in fondo al campo e aveva posto una croce con la scritta “qui giace Alì che per aver morso morì”.
Non ce l’aveva con lui Alì anzi ora che non era più legato e chiuso dentro la carcassa si sentiva libero, veramente libero, ed era sicuro che quei brutti sogni non lo avrebbero più svegliato nel bel mezzo del suo riposo.
Il suo amico lo aveva anche sotterrato, trattato come un buon cristiano, lì in quella distesa verde tra profumi di bosco e gorgoglii di acqua; lì dove dopo qualche anno sarebbe arrivata una strada prima sterrata e poi asfaltata e le poche cascine sarebbero state ristrutturate e addossate le une alle altre per farne un piccolo borgo abitato.
Ma Alì ora che con i suoi occhi di vento poteva vedere molto in avanti sapeva che in fondo al campo sul pendio la sua carcassa avrebbe riposato tranquilla per molto tempo, in quanto lungo il fianco del bosco nulla ci si poteva costruire.
Il suo amico si allontanava ora a testa bassa con il fucile appeso alla spalla e Alì con le sue zampe di vento, libero e giocoso come un tempo, gli corse dietro e festoso gli fece svolazzare i bordi del vecchio cappotto consunto.
Alì se ne era uscito un giorno dal bosco dopo la ritirata dei tedeschi con gli ultimi strascichi di un inverno freddo e rigido; magro e ciondolante, stremato, si era accasciato accanto ad un muro in sasso dove batteva un po’ di sole.
Non si sarebbe più alzato per nulla al mondo, se la sentiva dentro quella fame che gli attanagliava le viscere da giorni ed ora il freddo gli aveva irrigidito le zampe; sarebbe rimasto fermo ormai stremato ad attendere che i suoi fantasmi lo portassero via.
Sognava Alì dormendo su un fianco, mimava una corsa muovendo le zampe, mostrava le zanne, gli occhi socchiusi gli tremavano, si svegliava poi di soprassalto con una raffica di mitra nelle orecchie.
Quel giorno però non ce la fece a balzare sulle zampe, battè la testa a terra qualche volta e poi semplicemente la tirò su e si guardò attorno con occhi impauriti e furiosi: il suo incubo lo aveva raggiunto e ora era lì davanti a lui e lo fissava, Alì cercò di alzarsi ma non ce la fece, l’altro si chinò verso di lui e lo accarezzò sulla testa.
Il cane era dubbioso, non sembrava che quest’uomo volesse fargli del male anzi gli offrì un tocco di pane che affamato Alì divorò.
L’uomo raccolse il cane e di peso lo portò accanto al camino nella casa di pietra mentre Alì ne annusava gli odori di fumo, sottobosco e polvere da sparo, ne aveva paura ma l’odore di morte e cattiveria non trovava posto tra gli odori di questa persona.
Messo al caldo e sfamato con quel poco che si poteva togliere alla miseria e alla fame di quel periodo, Alì trovò di nuovo la sua forza ma mai la tranquillità.
In questo mondo nuovo Alì ringraziava a suo modo, seguiva il suo salvatore nella caccia notturna, sorvegliava il pollaio, scendeva in paese con le figlie del suo amico… poi però arrivava l’ora del riposo e Alì saliva lungo la scala a pioli fino al letto del suo amico e allora gli incubi tornavano, si susseguivano e lui ululava, ringhiava all’orrore notturno.
E sempre dopo il suo risveglio burrascoso una mano nel buio lo rassicurava, nulla in realtà era successo e se era in realtà successo apparteneva al passato.
Alì ora solleticava sul collo il suo amico sotto forma di spiffero d’aria dispettoso entrato dalla finestra, lo obbligava ad alzare il colletto della camicia logora mentre discuteva con la figlia: «Non è colpa del cane, sicuramente era stato picchiato più volte» e lei rispondeva: « Comunque sia è meglio così, non si poteva continuare» e lui ribatteva sottovoce «Ora non avrà più paura».
Alì spiffero di vento dalla porta accostata giocherellava con l’orlo della gonna rattoppata della figlia, sapeva perché lei parlava così, quel giorno erano in paese: lei seduta su di un muretto riposava con una fascina di legno sul dorso mentre lui sonnecchiava al sole.
Al solito nel suo dormiveglia apparve un fantasma, attraverso gli occhi socchiusi vide il lungo cappotto nero e il bastone che si stavano avvicinando, sempre più vicino, troppo vicino e Alì balzò per difendere se stesso e la figlia del suo amico dalla minaccia di morte incombente; in realtà aveva aggredito un’anziana signora che malferma sulle gambe si appoggiava ad un bastone per camminare.
Questo incidente era costato caro al suo amico: un lungo viaggio in bicicletta sino alla residenza della signora e dei soldi – che non aveva – ma lui aveva perdonato Alì.
Ora che era uno spiffero di vento Alì cercava di giocare un po’ con la figlia del suo amico che sempre lo aveva trattato con diffidenza sicuramente a causa della bestia che vedeva in lui, le arricciava il grembiule mentre lei lo risistemava sul tavolo per cercare di rammendarlo.
Erano giorni tristi e duri fatti di freddo e fame, pesante lavoro nei campi per averne in cambio poco cibo e molta fatica: pochi stracci rammendati allo sfinimento erano gli abiti, cuciti, scuciti e ritagliati per finire la loro vita come suole di scarpe in straccio, le uniche scarpe che ci si poteva permettere.
Un tempo per Alì il buio strisciava fuori dal bosco fino alla soglia della porta della casa di pietra, da lì si insinuava su per la scala a pioli fino alla camera da letto; Alì non riusciva a prendere sonno in quelle notti allora usciva sul prato e faceva la guardia al pollaio.
La volpe quasi sempre ci provava a scavare sotto il recinto del pollaio, allora Alì balzava da dietro il muretto in sasso e con lei correva nel bosco.
Non aveva cuore Alì di farle del male, lui che conosceva la fame, così anche ora che era solo un filo di vento rimaneva sospeso lì tra il pollaio e il muretto in attesa della volpe e ancora, quando la sentì scavare, soffiò velocissimo verso di lei e poi le corse dietro nel bosco tra i profumi di resina e fronde ondeggianti, giù nel sentiero fino alla valle e poi con un balzo sulla vecchia roccia scintillante e ancora su, verso il cielo di stelle urlò un felice ululato – Alì era finalmente libero – la volpe si fermò e controllò con il muso a punta tutti i dintorni ma si convinse che poteva essere solo il vento; nella casa di pietra un’eco lontana risvegliò dal suo sonno l’uomo amico che pensò “forse è stato un sogno” prima di riprendere a dormire coprendosi le spalle.
Alcune notti il suo amico le passava al lavoro, Alì non sapeva in cosa consistesse però lo seguiva e restava sveglio con lui.
Quelle erano le notti migliori, in cui si sentiva più utile; tra una faccenda e l’altra il suo amico si sedeva accanto al fuoco e ogni tanto si addormentava, allora Alì appoggiava la sua testa con le orecchie a punta sulle ginocchia del suo amico ed emetteva un leggero guaito fino a quando non lo svegliava; al mattino presto poi tornavano a piedi attraverso il bosco verso casa.
Una di quelle mattine dall’aria fresca e pungente di umidità sulla via del ritorno lui e il suo amico incontrarono un uomo sul sentiero scosceso e scivoloso, l’uomo si mise a parlare con voce forte e tono imperativo, Alì annusava l’aria e l’aria odorava di sangue e polvere da sparo… nella mente di Alì i ricordi ebbero il sopravvento e la paura che qualcosa di male potesse accadere al suo amico lo fece balzare sull’uomo che odorava di morte.
Non poteva sapere Alì che quell’uomo era un cacciatore con della selvaggina nello zaino fermatosi per chiedere indicazioni.
Ora che era vento Alì, non sapendo come tenere sveglio il suo amico durante il lavoro notturno, soffiava sulle finestre chiuse e poi si tuffava giù per il camino fino a schiantarsi sulle braci e farle crepitare e se ancora non bastava, raffreddava il naso al suo amico sino a quando non si risvegliava dal torpore in cui era caduto.
Si era sempre chiesto Alì quali fossero i pensieri di quell’uomo quando ancora stava nella sua carcassa piena di brutti ricordi, ricavava con il suo sesto senso percezioni che non sapeva decifrare; allora gli stava vicino accoccolandosi accanto a lui per dargli conforto, lo stesso che lui riceveva quando gli incubi lo assalivano.
Adesso che Alì era simile a vento poteva vedere meglio nel pensiero del suo amico: così tante risposte colmavano i vuoti che Alì riempiva accocolandosi vicino a lui per dargli conforto.
La guerra null’altro aveva fatto se non impoverire ulteriormente un territorio già povero e dalle scarse possibilità di sviluppo. Molti uomini e ragazzi erano partiti come soldati o erano alla macchia come partigiani, qualche famiglia aveva passato il valico ed era entrata in territorio neutrale svizzero.
Le truppe tedesche battevano il territorio sicure del fatto che in molti nascondessero e rifornissero di viveri i partigiani; oltre alla fame e alla paura si percepiva un forte senso di solidarietà: si cercava di sopravvivere come meglio si poteva e quel meglio era poche volte una riga sopra la miseria nera.
La fame era così tanta che i ragazzini nelle loro “marachelle” spesso dissotterravano le patate appena seminate dalle donne per mangiarle seduta stante e i meli selvatici, nel periodo in cui mettevano le prime gemme e fiorivano, diventavano “sorvegliati speciali” per essere immediatamente spogliati dei loro piccoli e acerbi frutti.
Il cibo era razionato e distribuito alle famiglie in quantità prestabilite da una “tessera” regolarmente vidimata al ritiro del cibo.
Oro e gioielli, ammesso che ce ne fossero in quella miseria, dovevano essere consegnati alla Patria per sostenere la guerra.
Frequenti perquisizioni a sorpresa condotte da parte dei tedeschi nelle case e nelle stalle dei paesi e degli alpeggi miravano a scoprire traditori, fuggiaschi e partigiani. Non di rado durante queste perquisizioni i soldati tedeschi si appropriavano di galline e capre e quant’altro per sfamarsi.
Alì era un loro cane selezionato e addestrato come i suoi simili alla guardia e alla difesa, alla ricerca e infine all’assassinio per mezzo dei suoi artigli e delle sue zanne. Rimaneva appostato con il suo branco di uomini e cani nei boschi alla ricerca di altri uomini da sbranare o a cui far sparare per poi abbandonarne il cadavere lì dove cadeva.
Nei paesi non rimanevano che vecchi e bambini e alle donne toccò rimboccarsi ulteriormente le maniche.
I lavori nei campi e nelle stalle gravavano in toto sulle loro spalle e per fronteggiare la crescente fame si cercava di lavorare sempre di più: si incrementavo le semine e i raccolti, si sperava nella clemenza del tempo che non piovesse troppo o troppo poco; si pregava che i magri capi di bestiame aumentassero di numero e tornassero tutti dagli alpeggi.
L’attività di alpeggiatore era svolta dai vecchi e dai bambini che salivano in alta quota all’inizio dell’estate e tornavano nel tardo autunno; durante questo periodo vivevano di quanto prodotto dal bestiame, il latte che lavoravano per ottenere formaggio e burro; qualche volta scendavano in paese con questi prodotti per scambiarli con farina e pane.
Chi restava in paese zappava, seminava, raccoglieva, tagliava e portava nei fienili il fieno e raccoglieva legna per l’inverno; si tosavano le pecore, con la lana lavorata si facevano maglie e si raccoglievano le foglie secche per il letto degli animali e per farne materassi per i cristiani.
In queste frenetiche attività che iniziavano anche prima dell’alba e si protraevano fin dopo il tramonto era coinvolta, come tutte le donne del posto, la moglie del suo amico che purtroppo un giorno non fece più ritorno dai campi.
Così vuole il ciclo della vita che il vecchio muoia per far posto al nuovo, che la morte sopraggiunga più o meno aspettata per natura o per mano dell’uomo.

Il cassetto tarlato scricchiolò mentre si chiudeva; nella vecchia casa in sasso, fredda e polverosa, regnava il silenzio; seduta sulla vecchia sedia di legno la ragazza aprì la busta trovata nel cassetto; Alì refolo di vento dispettoso giocherellava con la frangia di capelli castani, lei non ne sembrava disturbata mentre era assorta nella lettura.
Alì conosceva le parole scritte sopra il foglio, le aveva sentite nella testa del suo amico mentre le scriveva.

“Così tanto avevo detto e fatto in gioventù, subito dopo la guerra, da non essermi reso conto del trascorrere del tempo.
I giorni si sono succeduti e le stagioni sono cambiate e con poco si è sempre cercato di campare.
Poi il tempo, stufo di essere ignorato, ti bussa nelle ossa e ti rendi conto che, mentre lo ignoravi, lui ti rigava il volto, induriva i legamenti e ti curvava la schiena e allora inizi a vederlo quel tempo invisibile per tanto tempo… inizi a calcolarlo ma ormai è come la scorta di cibo di una volta, quando c’era la guerra, scarseggia.
E se hai fatto un buon lavoro, se sei stato attento nell’organizzare e consumare con ordine e accuratezza, quel poco che ti resta sarà ancora utilizzabile.
Non sempre è facile, per forza qualcosa è andato a male, ti rassegni e fai pulizia.
Ho portato i miei figli sulle spalle, i nipoti in braccio e ora, a fatica, porto me stesso lungo questa via fatta di silente rassegnazione alle scorte in dispensa che velocemente diminuiscono o si deteriorano.
Leggo lentamente sul giornale, con gli occhiali, delle bufere che sconvolgono gli animi di oggi, battuti e inariditi come i campi dopo il taglio delle messi e mi chiedo se avrete il carattere per tornare a rinverdire dopo l’inverno.
Forse il cibo delle vostre dispense non nutre più la voglia di vivere che lentamente si assopisce e spero che non muoia o non la lasciate morire questa vita che dicono più facile perché non manca il cibo o non si è in guerra… certo forse è solo una guerra diversa e non si è in grado di capire come lottare se il nemico non è di fronte ma dentro l’anima.
Ho desiderato una vita più facile almeno per i miei figli e ancora questo desiderio non si è avverato, vedo il tempo peggiorato e annebbiato; ora che non posso più lottare con le mie mani dispenso parole di vita vissuta sperando che possano adattarsi al vostro mondo che sembra cosi diverso da un tempo ma che in fondo è fatto di persone che cercano di sopravvivere.
Così vorrei dire a chi ho portato sulle spalle e tra le mie braccia e a me stesso che il rinnovarsi e l’adattarsi sorridendo e il lasciar correre rende notevolmente più facile l’aver voglia di vedere il domani.”

La ragazza ripiegò con cura il foglio ingiallito e si guardò attorno; Alì sapeva che né lui né il suo amico né sua moglie potevano più essere guardati con gli occhi, ma aveva già notato più di una volta che prima di andarsene lei guardava sempre verso il bancone vicino al fuoco dove il suo amico e sua moglie rimanevano presenti come vecchia polvere e poi alla base della cassapanca dove Alì refolo di vento dispettoso, sostava in attesa del saluto sorridente della ragazza.


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Sei sempre della stessa idea? Il racconto deve essere firmato solo con lo pseudonimo Atka?


 
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