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Congedo

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view post Posted on 21/5/2012, 21:57
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Fabrizia

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Congedo
Paolo Dapporto


Quando la mattina presto, dopo la sveglia, arrivavamo all’alzabandiera, Congedo era già lì che ci aspettava con la coda ritta. Non perché fosse un cane con particolari sentimenti patriottici, almeno non ne aveva mai dato prova, ma perché, dopo l’alzabandiera, gli allievi del corso ufficiali di complemento della caserma di Ascoli Piceno andavano alla mensa per la colazione e qualcosa da mangiare capitava pure a lui.
Congedo era un bastardone venuto fuori da un intreccio di tante razze (labrador, pastore tedesco, mastino napoletano, tanto per dirne alcune) che aveva generato un campione unico per bruttezza, in linea con l’estetica della caserma. Sgombriamo subito il campo dagli equivoci: come avrete già capito, non era uno di quei cani eroici, tipo mascotte del reggimento, che si sacrificano per salvare i soldati o che portano messaggi importanti negli scenari di guerra, anche perché, per mia e sua fortuna, questa storia si svolge in un periodo di pace.
Viveva nella caserma che da tempo lui aveva eletto come la sua grande casa e ci faceva i comodi suoi, perché si sentiva il padrone. Quando passava davanti al monumento dei caduti, alzava la gamba destra e pisciava proprio dove erano riportati i nomi di soldati morti nelle guerre mondiali, mentre quella grossa la depositava tutti i giorni sotto il fusto del cannone posto come ornamento e segno di potere davanti alla casa del colonnello comandante. Non lo faceva per spregio, ma solo perché questi erano i posti più comodi per i suoi bisogni.
Graziano, un soldato della mia squadra, la quarta, non sopportava il comportamento di Congedo e si sfogava con me.
«Perché gli ufficiali permettono questo scempio? Non si rendono conto che questo cagnaccio disonora l’intera caserma?» Non è neppure il caso che vi dica che Graziano era fascista come la maggior parte degli allievi. A quei tempi essere fascista era un titolo di merito che apriva le porte dell’esercito.
«Ma che t’importa? Se non se ne preoccupano colonnelli e capitani, a noi che ce ne frega? Per me Congedo è una nota di colore in questa cappa grigia. Tu non lo sopporti solo perché è un cane libero.» Gli rispondevo così, più che altro perché non volevo mai dargliela vinta, come lui non la dava mai vinta a me.
«Tu sei comunista e parli sempre come un comunista. Mi chiedo cosa hai inventato alle selezioni per farti prendere in questa scuola con le idee che hai» mi rimproverava, e ci mettevamo a ridere, perché, può sembrare strano, ma io e Graziano eravamo diventati amici. Lui fascista e io comunista.
La sera, prima di dormire nelle nostre brande di ordinanza, sempre lo stesso saluto: «Buonanotte compagno!» a cui lui rispondeva con un «Buonanotte camerata!»
La strana amicizia con questo ragazzone, che proveniva da un paese della Lombardia più ricca, me la spiegavo con un approccio scientifico, chimico-fisico: i diversi si attraggono. Graziano, laureato in legge, aveva un’idea che derivava più dall’etica che dalla scienza: i fascisti e i comunisti erano gli unici individui che avevano il coraggio delle proprie idee. Gira e rigira però le conclusioni erano le stesse.
«Quando c’è da menare le mani, io e i miei amici camerati ci troviamo di fronte solo voi comunisti, mentre gli altri, socialisti, democristiani, repubblicani, liberali, si rintanano impauriti nelle case, hai capito?» I comunisti erano nemici che stimava, che meritavano l’onore delle armi. Io, per la verità, quando nella mia città c’erano state manifestazioni e disordini tra opposte fazioni, ero tra quelli che non uscivano di casa. Mi veniva il sospetto di essere diventato socialista senza che me ne fossi accorto, ma a Graziano non lo dicevo, perché preferivo che pensasse che fossi un combattente dall’altra parte delle barricate.
Congedo non era il nostro unico punto di disaccordo in questa caserma incassata tra le colline marchigiane, dove d’inverno era così freddo che la sera ci giocavamo le coperte a poker. Graziano aveva una stima spropositata, una vera adorazione, per il caporalmaggiore Romani, il nostro caposquadra, mentre per me era un vero pezzo di merda, che, come gliene lasciavi l’occasione, ti metteva in punizione. Una volta mi affibbiò tre giorni di consegna, con studio serale obbligatorio, perché avevo lasciato il mio armadietto aperto. Ma che gliene poteva fregare di un armadietto socchiuso? Tutt’al più sarebbero stati cavoli miei se mi avessero rubato qualcosa, e invece no! L’armadio aperto era un segnale di disordine che, per il caporalmaggiore, meritava una severa punizione.
Ci godeva quando aveva l’occasione di punire qualcuno, come il sergente del film di Kubrick “Full metal jacket”, quello che tartassa senza dargli tregua il soldato “Palla di lardo” fino a condurlo alla tragedia finale. Per fortuna in quella nostra caserma di palle di lardo non ce n’erano, perché, con quello che ci davano da mangiare, eravamo diventati tutti magri e malaticci. Mi ricordo che spesso per cena c’era la mortadella sperimentale di Maddaloni, famosa tra i soldati di tutta Italia per il colore viola e per il sapore sconosciuto perché non l’ha mai mangiata nessuno.
Per raccontarne un’altra, questo Romani, ancora non lo conoscevamo bene, passando una sera per la nostra camerata, ci fece mettere sull’attenti e rivolto a un allievo, un mio concittadino famoso per le sue battute, gli dette un ordine preciso: «Allievo, mi presenti la forza!» a cui Carlo, il concittadino, rispose sorridendo, dopo aver guardato le nostre facce: «Altro che forza, le presento la debolezza», frase che costò una settimana di consegna a lui e tre giorni a tutta la quarta squadra, perché la battuta di Carlo aveva provocato una risata generale.
Tra le punizioni e la poca voglia di uscire, - cosa si fa la sera d’inverno in giro per Ascoli Piceno? - non andavamo quasi mai in libera uscita. Nello spaccio della caserma c’erano sedie, tavoli e bottiglie di birra fresca. Uno di questi tavoli era sempre occupato dal caporalmaggiore Romani che se ne stava seduto da solo e non scambiava mai una parola con nessuno, una tristezza da quadro. Graziano una sera fece l’atto di sedersi al suo tavolo. Lui gli fece capire con un gesto che non era proprio il caso.
«Tu non ci vuoi credere, ma è proprio un pezzo di merda» gli ripetei anche quella sera, ma Graziano non mi ascoltava: «Ho sbagliato io. È giusto che lui mantenga le distanze con gli inferiori di grado. L’esercito si fonda sulla gerarchia.»
Proprio in quel momento Congedo fece il suo ingresso nello spaccio. Dopo aver fatto il giro tra i tavoli, si fermò sotto quello del caporalmaggiore Romani e si accucciò vicino ai suoi piedi. Il Romani gli fece una carezza furtiva sulla testa, che Congedo contraccambiò spiaccicandosi ancora di più sul pavimento.
«Io no e il cane sì» mi sussurrò all’orecchio Graziano, a cui risposi con una risata.
Nacque un’amicizia, per non chiamarlo amore, come nessuno avrebbe mai immaginato tra due individui così diversi. Congedo la notte dormiva accanto alla branda del caporalmaggiore, cioè nella nostra camerata, russando così forte che mi ero dovuto comprare i tappi per gli orecchi, di giorno usciva fuori con noi, la quarta squadra, per le esercitazioni e non si staccava mai dal Romani, il quale, per la verità, non si sprecava troppo in complimenti, così come Congedo: sempre vicini, ma a rispettosa distanza, senza smancerie. Noi allievi non ci considerava per niente: se qualcuno gli lanciava un sasso, come si fa con i cani, se ne guardava bene dall’andarlo a recuperare. Secondo me, lui, amico del capo, si considerava come un nostro superiore e, se avesse potuto, ci avrebbe dato anche lui qualche giorno di consegna. Quando, durante queste esercitazioni all’aperto, arrivava l’ora del pranzo, mangiava insieme a noi ed era l’unico che faceva festa al rancio, al limite della commestibilità. A Congedo piaceva anche la mortadella di Maddaloni.
Graziano era allibito: «Per me è inconcepibile che una persona come il Romani, che tiene tanto all’ordine e alle regole, dia tutto questo spago a un cane così.»
Io me la ridevo: «Te l’avevo detto che gli estremi si attirano: la fisica non sbaglia mai. Questi due hanno in comune solo la merda: il Romani è fatto di merda, Congedo la merda la fa tutti i giorni sotto il cannone del colonnello comandante.»
Sì, perché la novità, che si era venuta a creare tra i due, non aveva per niente modificato i loro comportamenti: il caporalmaggiore era diventato ancora più intransigente con gli allievi che puniva di continuo, Congedo, ora che aveva trovato cibo assicurato, pisciava e cacava ancora più di prima e nei soliti posti.
Finché un brutto giorno Congedo non entrò nello spaccio, non venne a dormire in camerata, non si presentò all’alzabandiera e, ancora più sorprendente, non fece i suoi bisogni sul monumento dei caduti e sotto il cannone del colonnello. Era letteralmente sparito, come spariscono i soldati il giorno del congedo. Il Romani, disperato, abbandonando pudori, precauzioni, distinzione di gradi e di ruoli, lo cercò dappertutto, negli angoli più remoti della caserma, nei campi circostanti, tra le canne che crescevano alte nel greto del fiume che scorre lì vicino.
Tra gli allievi girava la voce che il colonnello comandante, vedendo quello che c’era tutti i giorni sotto il suo cannone, avesse perso la pazienza e avesse ordinato di far portar via quel cane dalla caserma. Il Romani andò a cercarlo presso il canile municipale, ma Congedo non c’era. Si mise a rapporto col capitano della compagnia, che allargò le braccia e gli disse che lui non ne sapeva niente e comunque si mettesse l’animo in pace: non era proprio il caso di fare tutto quel chiasso per un cane brutto e ignorante come quello. Ma il caporalmaggiore era deciso a tutto, anche ad andare a parlare col colonnello comandante.
Gli unici momenti in cui questo ufficiale superiore si degnava di mostrarsi alla truppa erano di sabato pomeriggio nel locale del cinema della caserma. Non perché amasse il cinema, ma perché in quel locale radunava tutti, ufficiali, sottufficiali e allievi, per parlare dei caduti di Cefalonia. Per lui i caduti di Cefalonia erano l’esempio che tutti i soldati dovevano seguire, eroi morti per tenere alto l’onore della patria. Graziano si commuoveva tutte le volte, io solo la prima volta, perché poi, a sentire sempre la stessa storia, è difficile far scendere le lacrime.
Comunque, tornando al Romani, lui decise di fermare il colonnello e di parlargli senza essersi messo a rapporto, prima che arrivasse sul palco e iniziasse il discorso sui caduti. Non l’avesse mai fatto! Il colonnello, che stava cercando la giusta ispirazione (Graziano si era sistemato in prima fila), avvertendo quanto fosse blasfemo l’accostamento tra gli eroi di Cefalonia e quel detestabile cagnaccio che gli sporcava il davanti della casa, schizzò su, anche se era già in piedi, incazzato come si incazzano solo i militari, gli chiese nome e cognome e gli preannunciò una punizione esemplare, che dopo qualche giorno si concretizzò in dieci giorni di consegna.
“Radio truppa”, la voce della caserma che non sbaglia quasi mai, dopo alcuni giorni, dette al Romani la notizia definitiva: il comandante aveva fatto sopprimere Congedo, che era diventato incompatibile con la caserma. Io voglio sperare che non sia vero e che questa voce sia stata fatta circolare ad arte perché il caporalmaggiore si rassegnasse. A questa notizia rimase male anche Graziano; vorrei anche vedere: io una persona la guardo bene negli occhi prima di sceglierla come amico.
Ma il Romani sempre peggio. Smise, sì, di cercare Congedo, ma cominciò a bere. La sera rientrava in caserma ubriaco fradicio, il giorno non si interessava più alle esercitazioni degli allievi, che seguiva con distacco, e soprattutto non puniva nessuno. Il suggerimento che ci dava era più o meno questo: «Fate quello che volete, basta che non mi rompiate i coglioni. Ora conto solo i giorni che mancano al mio congedo.»
Graziano non lo sopportava più, la quarta squadra si stava squagliando, a me invece il Romani faceva pena e non lo consideravo più un pezzo di merda.
Una domenica pomeriggio mi feci coraggio e gli chiesi se gli andava di venire al cinema in città. Davano “Il dottor Zivago” e non lo volevo perdere. Graziano mi disse che, se veniva il caporalmaggiore, lui sarebbe restato in caserma e così, a vedere quel film, andai solo con il Romani.
Dio, com’era bella quella attrice, mi pare si chiamasse Julie Christie. Per alcuni giorni rimasi innamorato di lei, poi la sua immagine sfiorì dalla mia mente, nel senso che non mi venivano più in superficie i lineamenti del suo volto, e l’amore finì. Anche il Romani, di nome si chiamava Fabio, rimase colpito da questa donna. Sulla strada del ritorno verso la caserma me ne parlava con entusiasmo: quanto è brava, che occhi, che gambe. Davo quasi per scontato che nella sua testa lei potesse soppiantare Congedo.
Quando gli chiesi se avesse una ragazza al suo paese (viveva in una cittadina della provincia di Roma) mi rispose: «No! Una vera ragazza no, solo delle amiche» e diventò tutto rosso, ve lo assicuro, il grande caporalmaggiore Fabio Romani, terrore degli allievi ufficiali, era arrossito come uno studentello liceale degli anni ’50.
Cominciai a dargli del tu, mi sembrava naturale tra due ragazzi di poco più di vent’anni. Lui non disse nulla, ma continuò a darmi del lei. Io il tu e lui il lei. Ecco la chiave di tutto, del suo comportamento e delle punizioni che ci dava: la rivalsa per un senso di inferiorità nei confronti dei suoi allievi che presto sarebbero diventati ufficiali, mentre lui se ne sarebbe tornato a casa col grado di caporale, anche se maggiore.
L’immagine di Julie Christie non riuscì a soppiantare Congedo nella sua mente. Quella domenica in città era stata solo una piacevole parentesi. Continuò a bere più di prima e di giorno girava per il piazzale e le camerate come se non avesse una meta precisa, sguardo assente e barba lunga. Non ce la faceva proprio più a resistere tra i muri della caserma.
Lo mandarono a casa, congedo definitivo, quindici giorni prima della scadenza. Io e altri tre allievi della quarta squadra lo accompagnammo alla stazione in un pomeriggio freddo, noi imbacuccati nei cappotti di ordinanza, lui in abiti civili, come non l’avevamo mai visto.
Graziano lo aveva salutato in caserma con una frettolosa stretta di mano.




Edited by abaluth - 22/5/2012, 18:21
 
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Lupoalfa
view post Posted on 22/5/2012, 13:38




Ho letto il testo. Solo due osservazioni:

1 - Al rigo 54, la frase così come è stata riscritta non si regge (Forse non si reggeva nemmeno come l'avevo scritta io. Suggerirei di modificarla così: ...uscire, - cosa si fa la sera d'inverno in giro per Ascoli Piceno? - non andavamo...

2 - Al rigo 76 va tolta una D eufonica sbagliate: ...tanto spago a un cane...

Grazie per il lavoro che state facendo!
 
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view post Posted on 22/5/2012, 17:23
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Fabrizia

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Modificato, grazie! :)


 
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2 replies since 21/5/2012, 21:57   42 views
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