Cosa è arte e cosa non lo è? L’arte è un business.
Partendo da questi due spunti si potrebbero scrivere libri di riflessioni e ancora non arrivare al dunque.
Se la seconda considerazione è un dato di fatto, la prima è un dilemma irrisolto.
Chiarisco che quanto sto per scrivere è riferito all’arte moderna contemporanea, non all’Arte riconosciuta unanimemente come patrimonio inestimabile dell’umanità.
Mi chiedo spesso quali siano gli elementi propri di un’opera d’arte e ho letto saggi a riguardo per chiarirmi le idee, ma mi sono resa conto che nemmeno gli autori sono riusciti nell’impresa di definire dei parametri con cui l’uomo comune possa orientarsi (ma vedremo che questa confusione è alla base del business).
Cosa distingue un quadro con valore artistico da un semplice pannello decorativo? Cos’è il “valore artistico”? Cosa fa di un manufatto artigianale un’opera d’arte con tutti i crismi?
Non ho la minima idea di quale sia il quid che sposta l’ago della bilancia dalla mediocrità alla straordinarietà, ma so per certo una cosa: può diventare “arte” qualsiasi cosa loro investano di tale titolo.
Con loro mi riferisco ai galleristi con un certo potere e ai critici d’arte. Tutte persone colte, grandi affabulatori (in definitiva, devono vendere), con studi appropriati alle spalle, che hanno il compito di guidare il mecenate smanioso di acquistare nell’intricato e affollatissimo panorama artistico, dove l’offerta è così vasta e varia da confondere.
Ora ci si potrebbe chiedere: c’è davvero bisogno di qualcuno che ti dica cosa deve piacerti? Che quadro metterti in casa?
Sì, perché a questi livelli si parla di “investimento” e non di acquisto emozionale. Solo l’uomo semplice compra un manufatto artistico per il piacere che questo gli dà; il mecenate moderno acquista ciò che un domani varrà di più. Le quotazioni le fanno sempre loro, i mercanti dell’arte.
Bazzico a intermittenza in questo mondo e a livello amatoriale, ma posso testimoniare delle cose:
- Le recensioni si pagano
- Gli articoli sulle riviste d’arte si pagano
- Le mostre si pagano
Un’artista smette di pagare quando inizia a rendere, quando insomma l’investimento che un gallerista fa su di lui inizia a fruttare con le vendite (in media si trattengono il 20%)
Un esempio di tariffario di un critico d’arte consultabile online da chiunque:
commento critico di dieci righe: 50 €
saggio critico: 250 €
intervista con pubblicazione online 80 €
¼ di pagina su rivista specializzata, compresa impaginazione 1000 €
Non c’è nulla di male, sono condizioni chiare che se uno vuole accetta, altrimenti continua a esporre allo stand della sagra della salsiccia del suo paese.
C’è da dire che comunque la selezione viene fatta, primo perché il critico e il gallerista devono comunque mantenere un certo livello di credibilità, poi perché sono in molti a bussare alla loro porta e nella massa si trovano anche le cose di qualità per fortuna.
Questo mese partecipo a due mostre, entrambe con contributo, vi saprò dire se mi arriverà la fattura di quanto pagato o almeno una ricevuta, ma non credo.
È da un po’ che medito una certa cosa e credo proprio che la farò: invece di pagare gente per affittare (è questo il succo del discorso) un metro quadro di spazio espositivo, affitterò direttamente uno spazio da gestire a modo mio in un bel centro storico dove appendere le mie patacche luccicanti e farle vedere al mondo, perché questo era e dovrebbe essere l’arte: comunicazione! Così la gente normale con una testa pensante potrà dirmi “mi piace”, “non mi piace”, “mi emoziona” o “non lo comprerei mai!”. Non si dipinge un quadro per se stessi, ma perché si ha qualcosa da esprimere. È giusta e sacrosanta la voglia di fare vedere i propri lavori, perché altrimenti il messaggio sarebbe interrotto.
Se qualcuno (sempre loro) deve spiegarti perché devi comprare quell’opera lì, vuol dire che qualcosa non va, perché dovresti sapere da solo cosa per te è straordinario e merita il tuo sforzo economico. Se nel campo dell’arte ognuno di noi seguisse solo il proprio sentire, premiando con l’ammirazione e l’acquisto solo ciò che davvero ci colpisce e ci rapisce emotivamente, in modo estatico, allora l’arte contemporanea diventerebbe Arte e l’umanità continuerebbe a creare luoghi meravigliosi pieni di opere meravigliose come quelli che i nostri antenati ci hanno lasciato (gli Uffizi, il British Museum, il Louvre …)
Noi cosa lasceremo? Avete mai visitato un museo di arte moderna contemporanea? Il 90% delle volte che guardo una di quelle opere non la capisco. L’arte non è più comunicazione? Allora che senso (valore) ha, dato che non è neanche più esteticamente apprezzabile?
Vi lascio un paio di link interessanti.
http://affaritaliani.libero.it/culturaspet...html?refresh_cehttp://affaritaliani.libero.it/Rubriche/ca...roft010811.htmlhttp://carlottabalena.wordpress.com/2012/0...m-hirst-a-roma/