Abaluth - Scrivere, leggere, arte e cultura

Posts written by abaluth

view post Posted: 24/11/2012, 19:37 Salve! - Presentazioni
Ciao, benvenuta! :)
Vedrai che imparerai subito...


view post Posted: 24/11/2012, 13:31 Ebook Brividi - Concorso letterario Brividi
oh, benissimo :)
tutti avevano già pubblicato il loro nome, mancavano luciastefania e Atropos...
quindi, direi, nome per tutti!


view post Posted: 23/11/2012, 22:14 Ebook Brividi - Concorso letterario Brividi
@davide e nunzia :)

@marco: il segno di punteggiatura di solito è uno solo; spesso la combinazione di più segni è usata un po' a sproposito e basta uno solo dei due...


view post Posted: 23/11/2012, 12:14 L'ora più buia - Elio Errichiello - Concorso letterario Brividi
Per il punto dentro o fuori dalle virgolette dipende dalla convenzione usata nei dialoghi, io ho deciso di seguire questa, uniformando tutti i racconti:
https://abaluth.forumfree.it/?t=61610115

Per quanto riguarda minuscola e maiuscola si usa la minuscola quando la battuta e il testo seguente fanno parte della stessa frase, come
«Signore sono io» mi disse in modo gentile.

si usa invece la maiuscola quando si tratta di due frasi diverse, perchè il testo descrive un'azione, legata alla battuta ma non da un verbo "dire", come in:
«Mio Dio…» Mi portai le mani al viso piangendo

Però con la tua osservazione mi hai fatto notare un paio di cose che mi erano sfuggite:
«Dove sono i miei genitori?» li avevo quasi dimenticati,
che deve essere
«Dove sono i miei genitori?» Li avevo quasi dimenticati,
e
«Venga con me signore» La donna mi aiutò
che deve essere
«Venga con me signore.» La donna mi aiutò

Quindi il tutto diventerebbe:

«Signore...»
Una voce di donna mi arrivava alle orecchie come un’eco lontana. Gli occhi si abituarono alla luce e vidi una signora robusta che torreggiava su di me, con un enorme cappello pieno di fiori a coprirle la testa ingrigita.
«Signore sono io» mi disse in modo gentile. «Sta bene?»
Mi guardai intorno. Ero in un angolo della mia stanza. Le persiane erano spalancate, la luce del giorno inondava la finestra. Il letto era disfatto, l’orologio in mille pezzi in un angolo, e alcuni libri giacevano dimenticati al suolo.
«Che ore sono?» chiesi, e non riconobbi la mia voce.
«È mezzogiorno passato, signore» mi rispose la donna. «È ora di alzarsi.»
«Dove sono i miei genitori?» Li avevo quasi dimenticati, ora ero stato colto da un’angoscia profonda.
«Signore», la donna sembrava corrucciata, «i suoi genitori sono morti da anni, non lo ricorda?»
«Mio Dio…» Mi portai le mani al viso piangendo, ma in cuor mio mi sembrò di aver sentito quella frase centinaia di volte.
«Venga con me signore.» La donna mi aiutò ad alzarmi. «Ha bisogno di riposare. Ha di nuovo dimenticato di prendere le sue medicine, non è vero?»
«Non me lo ricordo» piagnucolai.
«Non si preoccupi. Ora ci penso io.» Mi sorrise. «Ah, dimenticavo. Le ho portato un nuovo libro.»


view post Posted: 23/11/2012, 12:00 Ebook Brividi - Concorso letterario Brividi
Grazie a tutti :)

Atropos, tu mi devi sette camicie! ^_^


view post Posted: 23/11/2012, 11:50 Filastrocche - Scrittura
Chi è al coperto quando piove
è ben matto se si muove,
se si muove e se si bagna
è ben matto se si lagna.




P.S. Volevo precisare che questa filastrocca non è mia, ma mi è venuta in mente subito pensando alle filastrocche, e ve l'ho voluta ricordare, molti già la conosceranno...




Edited by abaluth - 23/11/2012, 12:36
view post Posted: 22/11/2012, 22:57 Risultati concorso - Concorso letterario Brividi
In questi giorni mi sono dedicata all'editing dei racconti selezionati per l'ebook.
Ho aperto la discussione Ebook Brividi con alcune indicazioni.


view post Posted: 22/11/2012, 22:54 Risveglio Mortale - Nunzia D'Aquale - Concorso letterario Brividi
Un corvo si alzò in volo, gracchiando. Un folata di vento spalancò l’imposta esterna della piccola finestra. L’uomo si svegliò di scatto, in un bagno di sudore. Il respiro in affanno, il battito del cuore accelerato. Rivoli di gocce salate colavano dalla fronte e rigavano il volto pallido, dirigendosi poi verso il cuscino oramai completamente umido. Spalancò gli occhi e quel che vide nella stanza fu soltanto la parete accanto al letto, dove la luce tenue della luna proiettava le ombre inquietanti dei rami del grande castagno, fuori nel giardino. Sembravano tante braccia lascive e serpeggianti che tentavano di afferrarlo. Richiuse le palpebre nel tentativo di ricacciare via quell’immagine angosciante, ma non poteva cancellare quell’incubo orrendo, quell’uomo senza volto che implorava aiuto. Si alzò, lentamente, si fece il segno della croce e recitò l’Ave Maria. Trascorse ore insonni fino all’alba quando qualcuno bussò lievemente all’uscio.
«Buongiorno padre.» La perpetua entrò nella stanza, con un piccolo vassoio.
«Grazie Adelina» rispose il sacerdote, senza neanche guardarla; seduto sulla sponda del letto cercava di riprendere il controllo della sua mente, ancora irretita, stordita da quel sogno così strano.
«Padre, vi sentite bene?» gli domandò la donna, avendo notato la sua espressione stanca.
«Sì, non preoccuparti, solo un brutto incubo.»
«Scusate se vi importuno, ma sembrate avere qualcosa che vi turba, non è vero? Chiese dolcemente la donna.»
«Non so Adelina, sono due notti che faccio lo stesso brutto sogno ma ricordo solo che un uomo, senza volto, mi chiede aiuto urlando. Non so spiegarmi il significato.» La perpetua rimase in silenzio, poi annuì con il capo.
«Padre, lo sa che le persone appena morte, non riescono a lasciare questa terra se hanno qualcosa in sospeso?»
«Che intendi dire Adelina?» chiese stupito l’uomo.
«Voglio dire che… vi ricordate che due giorni orsono avete celebrato il funerale del falegname, Vittorio?»
«Sì mi ricordo, ma questo che cosa c’entra?»
«C’entra eccome, Padre…»

Il sacerdote la fissò incredulo; le storie che riguardavano le anime in pena erano solo credenze popolari, frutto di antichi retaggi profani; non voleva dare importanza a quelle parole, tuttavia inconsciamente ripensò al sogno e d’improvviso ebbe una visione chiara di quella persona che gli era apparsa. Era proprio il falegname, Vittorio. Ricordava ora la sua capigliatura folta e riccia, di un colore aranciato; aveva gli occhi vitrei, lo sguardo spaventato e un’orribile maschera di terrore sul volto, ma lo riconobbe, era proprio lui.
«Mio Dio! Signore mio! Esclamò, facendosi il segno della croce. La perpetua annuiva.»

Un infarto improvviso aveva colto Vittorio, il falegname del paese, durante il suo lavoro, mentre era intento a inchiodare le pareti di una bara di castagno. La moglie lo trovò bocconi sulla sponda della cassa, con ancora il martello in mano. I funerali furono celebrati il giorno dopo. A mezzogiorno la bara giaceva sul fondo del fosso, a diversi metri di profondità.
«Padre, si vede che ha lasciato qualcosa in sospeso in questa vita, oppure ha portato con sé qualcosa nella tomba che deve essere restituito alla famiglia!»
La donna osservava il sacerdote, che oramai era sprofondato in una sorta di trance. Uscì con discrezione, senza aggiungere nulla e si diresse verso la casa del defunto.

Il cuore riprese il suo battito normale. Il sangue ricominciò a fluire regolare nelle vene, il calore si diffuse nel corpo ancora immobile. Vittorio provò una sensazione di torpore, come se riaffiorasse alla coscienza dopo un lunghissimo sonno. Schiuse piano gli occhi. Il buio era completo, avvolgente, penetrante. Provò a muovere un braccio, ma lo sentì pesante, come se vi fosse attaccata una zavorra. Alzò lentamente una gamba, ma il percorso compiuto dall’arto fu brevissimo. Il piede urtò contro qualcosa di duro. Aprì completamente gli occhi, ma il buio era talmente intenso che ebbe il sospetto di essere diventato cieco. Sentì le viscere contorcersi, il panico inondargli il cervello, straripare come un fiume in piena dentro la testa. Si sollevò con il busto, pochi centimetri, poi la sua fronte trovò qualcosa di duro e ruvido, sembrava legno. Improvvisamente la verità gli esplose dentro, divampò come una fiammata svegliandolo dal torpore. Iniziò a dimenarsi, con tutte le sue forze. Con le braccia tentò inutilmente di spingere verso l’alto. L’irrazionalità prese il sopravvento. Le dita in un frenetico movimento iniziarono a graffiare il legno, si spezzarono, il sangue iniziò a colargli sul volto. Il ginocchio destro si frantumò per l’urto violento. Con la testa, come un toro scatenato nell’arena, si scagliò contro il massiccio coperchio di legno. Un taglio profondo, simile a una ruga, si aprì sulla fronte. Il sangue uscì a fiotti, gli riempì gli occhi e la bocca spalancata in cerca di ossigeno. Ma l’aria era ormai quasi del tutto assente. Il respiro si fece sempre più affannoso. Poi perse i sensi e quell’antro buio sprofondò di nuovo nel silenzio.

La perpetua parlò con i familiari di Vittorio, convennero che si sarebbe dovuta riaprire la tomba per verificare se nella bara fosse rimasto qualcosa da restituire al mondo dei vivi.
«Non se ne parla nemmeno! Ma che vi salta in mente? Riaprire la bara!» Il sacerdote sembrava irremovibile.
«Vittorio è tornato in sogno perché ancora il suo spirito vaga su questa terra e ha bisogno di aiuto!» insisteva la perpetua. I familiari del defunto rimanevano in silenzio. Il sacerdote dopo tante insistenze li congedò, aveva bisogno di stare solo, di pregare e di chiedere consiglio al Signore.

Il falegname riprese conoscenza. Sentì nella bocca il sapore dolciastro del sangue. La vescica aveva ceduto, il liquido era colato nella parte inferiore del corpo. Ormai non riusciva più a respirare. Sentiva l’odore della terra, immaginava i vermi e tutte le creature che attendevano avide il suo corpo. Ma la paura fece il suo corso, e il cuore che prima solo apparentemente si era fermato si contrasse un’ultima fatidica volta. Esalò un ultimo rantolo e gli occhi sbarrati rimasero ad osservare il buio eterno.

Il sacerdote aveva forti dubbi, non avrebbe voluto compiere quell’atto che lui considerava inutile, ma d’altro canto l’inquietudine che aveva dentro lo spingeva a fare l’opposto. Si raccolse in preghiera per tutta la notte. Al mattino prese la sua decisione, mandò a chiamare il custode del cimitero e gli comunicò che a mezzogiorno sarebbero andati alla tomba di Vittorio; gli disse di condurre con sé anche tre inservienti in quanto c’era necessità di aprire la bara, forse dentro era rimasto qualcosa di importante. Più tardi la perpetua si recò dalla famiglia del falegname e all’ora prefissata, insieme alla moglie e al figlio di Vittorio, si ritrovarono davanti alle cancellate del cimitero dove trovarono in attesa il sacerdote. L’aria si era fatta grigia e pesante. Nuvole nere, cariche di pioggia, sostavano sul limitare dell’orizzonte; presto si sarebbe scatenato un temporale, si avvertiva nell’aria che odorava già di pioggia.
I tre inservienti iniziarono a scavare. Le prime gocce inumidirono la terra e, man mano che la pioggia aumentava d’intensità, divenne difficile continuare a togliere il fango denso che si andava formando. Le pale cedevano sotto il peso della terra bagnata. Lampi e tuoni squarciavano l’aria, le donne tentavano di coprirsi la testa con lo scialle di lana, mentre il sacerdote e il figlio di Vittorio rimanevano immobili sotto la pioggia. La tensione cresceva, i tre uomini completamente zuppi d’acqua si fermarono, guardando con aria interrogativa il sacerdote, ma egli fece cenno di continuare, ormai bisognava arrivare fino alla fine. Si intravide il colore del legno. La moglie iniziò a singhiozzare, il sacerdote recitò una preghiera. Delle corde robuste furono fissate alle maniglie della pesante cassa che con fatica fu issata sul bordo della fossa, la quale si riempiva rapidamente della pioggia incessante. Il custode iniziò a schiodare il coperchio; lampi improvvisi accendevano il paesaggio tetro; l’odore della terra e dei fiori marci saturava l’aria intorno. I tre uomini con uno sforzo enorme sollevarono il legno impregnato d’acqua e lo scaraventarono sul suolo, talmente era pesante. Tutti rimasero immobili; i loro volti si contrassero in smorfie di sorpresa e orrore, nessuno osò dire una parola. Vittorio giaceva scomposto in quell’angusto spazio, le gambe sovrapposte in maniera innaturale, le braccia contorte sopra il volto insanguinato, una lunga ferita che squarciava la fronte da parte a parte e la bocca spalancata, protesa in quell’urlo straziante di terrore. Un urlo che nessuno avrebbe mai udito. La moglie impressionata e impaurita non resse all’emozione troppo forte e scappò via, seguita dal figlio. La perpetua guardò il sacerdote, scuotendo il capo e lentamente si allontanò recitando una preghiera. L’uomo rimasto con i tre inservienti fissava quel corpo e la grazia di Dio gli illuminò la mente. Comprese quello che era successo e si rammaricò di non aver avuto la possibilità di salvare quell’anima in pena. Diede l’ordine di richiudere la cassa, mentre gli uomini ancora tramortiti dalla scena rimanevano immobili sotto la tempesta d’acqua che si era scatenata.
«Presto, altrimenti si riempie! Rimettete tutto a posto, ormai non c’è più nulla da fare.»
Prese la via del ritorno. Si domandò il motivo di quanto accaduto, ma il suo cuore non trovava risposta. Si affidò con fiducia al Signore, Lui solo sapeva, Lui solo predisponeva il destino degli uomini. La bara fu ricoperta con il pesantissimo coperchio e calata con molta difficoltà a diversi metri di profondità, sommersa completamente dall’acqua. Tornò giù, nelle viscere della terra, dove era destinata. Una bara robusta, indistruttibile e spessa tre centimetri; la conosceva bene Vittorio, l’aveva costruita con le sue stesse mani.


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