| Mi sento in dovere di esporre al mondo le mie motivazioni che mi portano ad oppormi alla proposta di una seconda spedizione scientifica, all’ avventata caccia dei tesori proibiti di quel luogo. Contro la mia volontà scrivo queste poche righe, un oscuro resoconto della mia esplorazione nella sconosciuta parte di un mondo persiano tanto affascinante quanto terribile. Quello che sto per raccontare con inevitabile riluttanza spero che possa essere un avvertimento a non mettere più piede in quella regione di orrori. Dovrò fare appello alla volontà ed al giudizio di quei pochi studiosi che, leggendo le mie righe, decideranno di fare un passo indietro nonostante la curiosità innata dell’uomo abbia spinto me e i miei sventurati compagni a compiere una delle disavventure più rischiose nelle fauci dell’ignoto.
Come archeologo, lo scopo del mio viaggio in Persia sarebbe stato quello di riportare alla luce i tesori che erano celati nel tempio, procurarmi dei campioni da analizzare per scoprire rituali e usanze di quel luogo fino a poco tempo fa completamente sconosciuto; infatti si trattava di una scoperta al di fuori del comune: uno dei pochi templi che, nonostante la posizione, fosse rimasto intatto dai saccheggiatori e dal tempo.
Partimmo con una piccola spedizione di quindici uomini qualificati tra cui il mio collega, amico e geologo Jacob Milton con il quale intrapresi svariate spedizioni sulle Ande, alla ricerca dei templi delle sanguinarie divinità venerate dalle civiltà precolombiane.
Il viaggio fu estenuante ma fortunatamente si svolse tutto secondo i nostri piani: effettuammo svariati cambi di accampamenti fermandoci ogni tanto dopo aver coperto grandi distanze per rifornirci e riposarci. Dopo lunghe ore di viaggio scorgemmo un enorme stratovulcano da tempo inattivo: il Sabalan. Era infatti su di esso che si recavano in pellegrinaggio gli adoratori degli insegnamenti del profeta Zarathustra, gli zoroastriani. Ed era proprio sulla sua cima che venne scoperto il tempio emerso dal lago misteriosamente prosciugatosi là dove un tempo c’era il cratere di quello che fu un vulcano. Quanto può essere cieca la volontà dell’uomo se come ricompensa alla propria curiosità vede e immagina la gloria tra gli annali della storia! Nessuno della nostra spedizione si pose il dubbio di quell’insolito fenomeno geologico che portò alla luce il tempio, causa del mio eterno tormento, delle mie notti insonni, dei miei incubi e della dannazione della mia anima. Ma resisterò perché il mio compito sarà quello di riportare fedelmente per quanto sia possibile il mio resoconto su quegli avvenimenti bizzarri e controversi che ebbi in sorte di vedere e sopravvivere.
Alle pendici del monte Sabalan incontrammo un gruppo di pellegrini vestiti con cappe color sabbia, volto e mani coperte da bende che richiamavano in maniera molto grottesca le fasciature delle mummie egiziane. Il nostro interprete ci tradusse che costoro sarebbero stati ben accetti a scortarci fino alla cima del monte, in cambio di qualche moneta e di viveri e che saremmo potuti partire all’alba del giorno successivo giusto il tempo per rifocillarci e acquistare dei cammelli da soma al mercato della città più vicina.
Dopo aver fatto rifornimento, ci accampammo per la notte e offrimmo ospitalità ai pellegrini che però rifiutarono. La notte non riuscii a chiudere occhio nonostante la grande stanchezza fisica: avevo i sensi completamente eccitati per l’emozione del viaggio e già fantasticavo sulle meraviglie che ivi avrei potuto trovare. Accesi un lume di candela e feci due schizzi a carboncino di ciò che ricordavo del paesaggio visto nel pomeriggio, fu così che il sonno mi prese alla sprovvista.
All’alba venni svegliato da Jacob, ci preparammo in fretta e ci apprestammo a raggiungere la cima scortati da quelle stravaganti figure incappucciate in pellegrinaggio. Ci mettemmo due giorni per raggiungere la cima del monte e scorgere il magnifico tempio, là dove prima vi era il lago, nel centro esatto del cratere.
Il clima freddo di quel luogo aveva fatto in modo che il lago che vi era un tempo fosse rimasto ghiacciato e avesse conservato alla perfezione la struttura di quel luogo di culto. Il tempio aveva quattro entrate: una per ogni punto cardinale. La pianta del santuario era quadrata con un pilastro ad ogni angolo atto a sostenere la cupola. Presi carta e carboncino e tracciai due schizzi a mano libera di quell’edificio: ovunque nella roccia delle pareti del tempio erano incisi e scolpiti motivi di arabeschi che richiamavano il più moderno stile dell’art nouveau. Questo era molto insolito perché i templi del fuoco fino ad oggi conosciuti non recano alcun decoro sulle facciate esterne.
Mentre ero intento a contemplare il paesaggio e la struttura dell’edificio, ricompensammo i pellegrini anche se non riuscimmo a persuaderli per avere chiarimenti circa la storia del luogo e il loro culto: sparirono silenziosamente lungo le pendici del monte e non li vedemmo mai più.
Quella notte ci accampammo presi da un vago senso di inquietudine ma demmo la colpa all’aria rarefatta della montagna: i cammelli stessi erano turbati e ansimavano agitati intorno al fuoco che avevamo acceso per la notte; una di queste bestie parve tentare di spegnere il braciere pestandolo forte con gli zoccoli.
La mattina seguente ci organizzammo per addentraci nel tempio. Io e Jacob seguiti da quattro assistenti iniziammo a fotografare gli interni del luogo mentre gli altri ci aspettavano fuori per perlustrare, raccogliere campioni e sbrigare i lavori di manodopera nell’accampamento.
La cosa che subito colpì all’occhio di quelle pareti fu la diversità dello stile decorativo rispetto a quelle esterne: all’interno infatti vi era una prevalenza assoluta di forme geometriche semplici sulle altre figure ornamentali; in particolare vi erano cerchi, triangoli e quadrati concentrici che creavano un’illusione ottica di movimento caoticamente vorticoso. Ma la cosa che sicuramente attirava più di tutte l’attenzione erano due immense statue di due colossali idoli poste ai lati di un bellissimo altare circolare. Le due statue, che in più raffigurazioni vidi sui miei libri di mitologia antica, rappresentavano senza dubbio i due spiriti opposti nei loro principi: uno era Spenta Mainyu lo “Spirito Santo” e l’altro Angra Mainyu lo “Spirito Maligno” messi uno di fronte all’altro atti a rappresentare la loro continua lotta antica come l’universo.
Dopo aver a lungo perlustrato gli interni uscimmo fuori dal tempio passando per la porta principale dato che le altre erano sigillate. Con raccapriccio non trovammo i nostri compagni. Il sole stava tramontando e tingeva tutto di un colore vermiglio tale da rendere il paesaggio sovrannaturale. Le tende degli accampamenti erano ancora là dove le avevamo collocate. Ma non vi era più alcuna forma di vita. Perlustrammo in lungo e in largo tutto il perimetro del lago prosciugato; si stava per alzare un forte vento che portava con sé un sacco di quella che sembrava cenere. Riflettemmo a lungo sul da farsi e stabilimmo che per ripararci dalla tempesta sarebbe stato più opportuno trovare riparo nel tempio. Non avevo modo in quel momento di sapere che aspetto avesse la mia faccia ma osservando lo sgomento e il pallore nei volti dei miei compagni pensai che il mio viso non sarebbe stato diverso. Non una parola venne proferita. All’interno del tempio stetti a contemplare a lungo le statue dei due spiriti che in maniera inspiegabile ora apparivano diverse e vagamente minacciose.
Durante la notte capii che nessuno riusciva veramente a prendere sonno. L’indomani saremmo scesi per cercare i nostri compagni e capire perché si fossero allontanati. Qualora dovessero essersi allontanati. Ma sentivo che le cose sarebbero andate diversamente. Avvertivo infatti presagi nell’ombra, i soliti che adesso sono mutati nei terrori costanti e reali delle mie insonnie.
Quella notte nel tempio venimmo scossi di soprassalto da un fortissimo rumore improvviso e drammaticamente ci accorgemmo che l’unica uscita, la porta principale, fosse stata chiusa e sigillata come le altre. Non avevamo più possibilità di uscire da quel posto oscuro. Subito accendemmo le nostre lampade, cercando di sprecare meno olio possibile. I nostri volti erano pieni di terrore, lo smarrimento ci aveva presi e un forte sentimento di morte imminente pendeva sulle nostre teste. Guardai Jacob: il suo sguardo saettava follemente da una parete ad un’altra, sembrava stesse borbottando qualcosa. Mi avvicinai a lui, lo presi per mano … nell’altra notai che stringeva il suo revolver. Cercai di incrociare il suo sguardo ma lui puntò l'arma sui nostri quattro assistenti e aprì il fuoco, massacrandoli. Forse furono quel gesto orribile e quella situazione inaspettata quanto paradossale che mi pietrificarono ma non feci nulla. Lui si rivolse a me: “"andiamo"” e lo seguii come un automa presso l’altare senza ribattere, senza fare resistenza. L’altare presentava una concavità nella quale Jacob pose i corpi delle sue vittime. Stette a lungo a contemplarli, sembrava che per lui tutto questo avesse un senso.
Come se avesse interpretato un interrogativo dal mio sguardo si rivolse a me:"“Quattro. Uno per ogni punto cardinale, capisci?”" non risposi. "“Osserva”" continuò "“luce e tenebra per te sono concetti opposti ma nel loro antagonismo l’una non può esistere senza la sua nemesi. Il sacrificio è necessario. Un piccolo male per una necessità più grande”." E d’improvviso dalla concavità dell’altare si alzò una fiamma bifida le cui punte vennero assorbite dalle statue degli dei. Una nenia grave e remota pareva uscire dalle profondità della terra. Tutto iniziò a vorticare. Persi i sensi.
Mi svegliai di soprassalto, anche se quell’incubo aveva avuto caratteri così vividi, ringraziai il cielo che fosse stato solo un sogno. Ma a fianco a me, ritto in piedi trovai solo Jacob e nessun altro; ero chiuso con lui nel tempio, senza via di fuga, la sola tremula fiamma delle lampada ad olio come unica fonte di luce.
Mi avvicinai all’altare. Intorno ad esso non c’era nulla che potesse testimoniare i segni della combustione che avevo sognato, perché volevo credere di averla sognata, e di ogni passo che mi spingeva sempre più vicina a quella concavità sentivo il forte eco rimbombare per il tempio. Scandivo così quegli attimi che parvero durare ore del mio breve tragitto. Al posto della concavità scoprii con orrore che si era aperto un varco strettissimo, una scala a chiocciola. Cercai di orientare la luce per valutarne la profondità, mi tremavano le mani dallo sgomento, quando Jacob mi puntò il revolver tra le scapole.
“"Scendi"” mi ordinò “"ho ancora due colpi”". Non ebbi altra scelta. La discesa fu lunga e interminabile, mano a mano che scendevo sentivo sempre più caldo. Non ho idea del tempo che trascorsi su quella maledetta scala a chiocciola con quell’uomo che un tempo era mio amico, reso folle dalla suggestione maligna che trasmetteva quel luogo.
Ci trovammo in un corridoio dalla geometria bizzarra, nulla che io possa mai aver visto in alcun libro. Un vento forte portatore di una calura insopportabile ci arrivava dritto in faccia; misi le mani a mo di griglia sul volto per riparami: sembrava di essere dentro ad una fornace. Proprio in quel momento capii che Il corridoio era in realtà un imponente labirinto al centro del quale si ergeva il cuore ancora attivo del vulcano.
Jacob iniziò una lenta e grave recitazione in una lingua a me sconosciuta, ma più procedevamo verso il centro del labirinto e più avvertivo che questa sua specie di preghiera non provenisse solo da lui ma anche da tutto ciò che ci circondava: dalle profondità della terra, dal vento ormai rovente, dal centro stesso del labirinto. Avvertivo le vibrazioni di questo canto nel petto che si propagavano alle membra e la speranza lasciò il posto allo smarrimento e alla rassegnazione più assoluti. Non avevo più alcuna volontà.
Giungemmo infine al centro del labirinto. A ciò che videro i miei occhi accecati dall’immenso bagliore che il posto emanava, stento ancora a crederci io stesso. Ma fu tutto reale, com’è reale il fatto che sopravvissi a tanto orrore. Un gruppo di creature volavano su quell’infuocato abisso che non impropriamente definisco essere l’Inferno: demoni tra i più squallidi e orripilanti, chimere mostruose e strane creature alate metà donna e metà uccello saettavano nell’aere infuocato recitando con voci di tuono quella sorta di invocazione che prima avvertivo arrivarmi dall’ambiente circostante e dalla bocca di Jacob.
“"L’ uomo possiede ciò che loro invidiano"” esordì Jacob “"a costoro infatti manca l’anima: essi sono solo spiriti e in quanto tali sono immortali, ma non hanno possibilità di scegliere per sé stessi: essi, infatti, sono nati malvagi e tali resteranno per l’eternità.. " Mi guardò. Il suo volto era completamente corrotto da una follia malvagia che tradiva la sua natura non più umana. “"Io ho scelto per te, in nome della nostra amicizia che ci legherà per sempre. Tu mi sacrificherai ed io entrerò in comunione con te. La tua carne morirà, i nostri corpi saranno cenere ma… il tuo spirito risorgerà per compiacerti di costoro che saranno tuoi servi. Compi la tua rinascita come l’oscuro messia, portatore in terra della volontà di Angra Mainyu”."
Il vento aumentò ancora d'intensità, l'aria infuocata iniziò a soffocarmi. Le creature orripilanti si tuffarono insieme nell’abisso lavico dal quale successivamente sorse un immenso monolite rovente dalla forma contorta recante incisioni incandescenti in una lingua sconosciuta. Jacob si mise sul ciglio dell’abisso spalancando le braccia. La mia mente e la mia vista vennero stravolte da una serie di visioni infernali a intermittenza, il mio corpo si muoveva da solo, stavo per compiere il sacrificio. Negli attimi lucidi pensai alla nostra spedizione e poi ci fu di nuovo il buio. In una frazione di secondo, quando ero a un passo da Jacob, mi ripresi e richiamai alla mente la visione delle due statue. Il bene e il male, la verità e la menzogna, il fuoco e la tenebra. Angra Mainyu. Spenta Mainyu.
Ancora non capisco come riuscii a evitare il compimento di quell’orrendo rito. La mia mente richiamò lo Spirito buono, Spenta Mainyu, che credevo non avesse potere alcuno nel regno del Male di Angra Mainyu. Ma il bene e il male non possono scindersi e la mia miserevole vita di essere umano venne posta come premio nel gioco dettato dalla sorte tra i due spiriti opposti ma gemelli. Mi trovai in una dimensione sospeso nell’oscurità più completa. Potevo guardare dentro di me e contemporaneamente al di fuori della mia persona. Io e Jacob diventammo una cosa sola, siamo una cosa sola.
La vera agonia della mia ormai miserabile esistenza non sono queste quattro mura dell’ospedale dove mi tengono rinchiuso, né lo spirito del mio vecchio amico Jacob che alberga dentro di me. Il vero tormento è sapere che una nuova spedizione in quel luogo di follia sarà causa dell’annullamento di tutta l’umanità. Verranno aperti i cancelli dell’Inferno, quello che ne scaturirà fuori sarà l’Innominabile, il Blasfemo e porterà corruzione e devastazione in ogni angolo della Terra. Ci sarà l’apocalisse annunciata dai molti profeti, il dolore più profondo, l’agonia più spietata, i sentimenti più oscuri scaturiranno a fiotti dai nostri animi.
Infine tutto sarà annientato con il fuoco e le fiamme.
Edited by Xayde - 6/4/2015, 20:38
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