| Vedo l’asfalto nero davanti a me, focalizzo ogni minima crepa del bitume infuocato dal sole. Poi una goccia di sudore mi riga la fronte. Non sento niente, attorno a me è il deliro ma io non sento niente. Percepisco che la strada sta iniziando a salire ma non voglio guardare in su. Fin da piccoli ti insegnano a non andare con lo sguardo sette metri più in là della tua ruota. La fatica è un gioco della mente, tu devi solo pedalare per accorciare l’agonia. Apro la zip della pettorina, lanciò via prima gli occhiali e poi le borracce. Qualcuno ne farà dolce cimelio. Ora la strada si è fatta dura, la gravità ti spinge indietro aiutata da tutte le tue paure. Capisco che è arrivato il momento di gettare il cuore al di là della montagna. Slaccio il caschetto e lo lascio cadere, è il segnale. Stringo forte la bandana in cotone nero con teschi bianchi. È arrivato il momento di indossare la maschera del Pirata. Mi volto e guardo i miei avversari, uno a uno, dritto negli occhi. Sono uomini sfiniti, stanchi, privati dell’anima, ma nonostante tutto ciò ognuno di loro è pronto a pugnalarmi con uno scatto improvviso. Oggi però non c’è spazio per nessuno, l’unico bucaniere delle due ruote sono io. Mi alzo sui pedali e inizio una danza che li sfiancherà uno a uno. In pochi riescono a seguire il mio ritmo. Chi lo fa si convince di non essere già morto. Ma è solo un gioco arguto del cervello, all’arrivo sarò io da solo, l’unico trionfatore, l’unico con le braccia al cielo. Ora sento le voci intorno a me, mi invocano, mi spingono, mi acclamano; recitano il mio nome. Il mio nome è temuto dagli Appennini ai Pirenei. Io sono Marco. Marco il Pirata. Rubo alla fatica per dare alla vita. Sono lo scalatore puro con la faccia buona e le gambe d’acciaio. Sono uno controcorrente e il destino mi ha restituito successi e tante macchine in contro mano.
Ora non vedo più niente. Sono sdraiato su un letto scomodo e poco familiare. Ho il braccio sinistro addormentato e non mi sento bene. Piano piano apro gli occhi. Vedo una luce verde provenire dalla sveglia del comodino. Sono le 22.33. Di verde si è illuminata pure la chiave della mia stanza posta esattamente sotto l’ora. D5 Le Rose, questo c’è scritto sopra, anche se qualche lettera sta iniziando a sbiadirsi dall’usura. Un Pirata in un residence non trova giusta dimora. Chiudo gli occhi, ma stavolta sono le lacrime a bagnare il mio viso e non il sudore.
D’improvviso sono in un grande hotel di lusso. Vedo i miei compagni ma non trovo sorriso, io per primo non riesco a farne. Leggo sulle porte girevoli della hall Gran Resort Madonna di Campiglio. È il 5 giugno ma fa freddo, quel freddo che ti viene da dentro. Quel freddo vuoto e insaziabile che non ti spieghi perché parte dall’anima e per buona pace del corpo è impossibile da placare. Guardo il mio orologio sono le 10:10. Tutto sta per finire. Davanti a me un grande via vai di persone, vedo sguardi giudiziosi nei miei confronti. Alcuni sono tranquilli sanno che io con queste voci non ho nulla a che fare. I pirati sono spietati ma non giocano sporco, mai, non è nella loro etica. Poi arrivano quelli, i giornalisti. Sino a ieri mi idolatravano e facevano a gara per descrivere le mie imprese. Oggi sono tutti qui davanti a me con la maschera da ipocriti e falsi. Mi sembrano tanti medici della peste medievali, il loro becco spara fango e ipotesi sul mio nome e intanto gli aiuta a proteggersi dal Pirata. Nessuno mi crede, sono solo. Cedo la maglia rosa e vado via. Ho una forte rabbia dentro me che sfogo tutta contro uno specchio. Maledetto riflesso capace di restituirmi l’immagine di un mozzo alla proiezione di un Pirata. Guardo il sangue scorrere dalla mia mano destra. Mi sono rialzato, dopo tanti infortuni, e sono tornato a correre. Ora però ho toccato il fondo. Questa volta, rialzarsi per me sarà molto difficile. Per un attimo un bagliore accecante e poi mi rivedo. Eccomi lì disteso immobile su quel letto sfatto. Non ho addosso più nessuna maschera, il Pirata che era in me è stato mandato in esilio dalla cattiveria altrui. Ora sono un uomo senza nessuna protezione dalla vita. Ho preso da questa il peggio e questa ha tolto fuori il peggio di me. Mi ha sfruttata e io ne ho ricavato solo dolore. Son caduto nel vizio ma ho portato sempre con me la forza per scattare sugli strappi più difficili. Da morto son risorto a Mont Ventoux e a Courchevel. Ma privato della mia bandana non ero più io, non ero più Marco. Il mondo non è più quello di una volta. Il ragazzo di paese fattosi Pirata è inadatto per lui.
Vedo gente con la maschera da finti salvatori ai piedi del mio letto. Qualcuno è venuto solo a vedere, per continuar a parlare. Ma oggi è il 14 febbraio 2004 e c’è poco da parlare. La storia del Pirata finisce qui, mentre il mondo si riempiva di maschere d’amore; ma il suo ricordo vivrà per sempre nella mente dei tifosi.
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