| «Dormi piccola, dormi dal lato del cuore, i sogni verranno belli» le diceva sua madre rimboccando le coperte del lettino. E Paola sognava di fate, di mondi misteriosi, dove tutti erano felici e nel sonno sorrideva beata. Aveva dormito sempre su quel lato, anche quando gli anni erano passati e i sogni erano cambiati: le fate non c’erano più e nemmeno i mondi misteriosi, la felicità sembrava irraggiungibile e sua madre non le rimboccava più le coperte da un pezzo. Al mattino non ricordava più le storie che viveva in sogno, anche se sapeva di aver sognato, ma quella volta accadde qualcosa di diverso che le fece ricordare ogni attimo e le dette un fremito per la scoperta di una nuova realtà. Camminava a piedi nudi nel suo sogno, con addosso una veste così leggera che sembrava fatta di vento. I capelli danzavano nell’aria, lei avida di tutto staccava pezzetti di cielo e li metteva in tasca, frugava tra i cespugli odori da conservare, beveva spremute di raggi di sole che racchiudeva tra le mani, gustandone il sapore di miele. Il silenzio era ricco di un brusio sommesso che scandiva il ritmo della vita; era un sogno bellissimo tutto da conservare. Mentre avanzava, un forte odore di gelsomino la colpì e non seppe perché ma fu trascinata da quella scia, seguì la sua traccia. Ma più si avvicinava e più i colori diventavano tenui e il cielo s’ingrigiva. Infine lo vide in maniera chiara. C’era uno strappo, nel suo sogno, che permetteva il passaggio in un altrove sconosciuto. Non si chiese né dove sarebbe andata né perché, seguì solo quell’odore inebriante di gelsomino. Attraversato lo strappo tutto si presentò diverso. Il mondo era in bianco e nero, il prato si ritraeva sotto i suoi passi lasciando la terra dura e arida, le foglie cadevano tutte insieme ai piedi degli alberi. Era un mondo che si stava sgretolando. Tutto aveva un’aria sinistra, c’era solo quell’odore di gelsomino che lei sapeva di dover seguire. Una voce cercò di fermarla. Si voltò. Una donna correva dietro di lei. «Ma dove va? Non può proseguire, questo non è il suo so…» Non riuscì a sentire il resto, la voce era troppo flebile e lei proseguiva quasi correndo. Finalmente arrivò al cespuglio di gelsomino. Accanto, sopra un sasso, era seduto un giovane biondo. Era così magro che pareva avere occhi enormi, ed era così bello che poteva essere un angelo. «Finalmente sei arrivata, sono giorni che cerco di allargare lo strappo, nella speranza che qualcuno si faccia vivo. Io sono Rico» disse guardandola negli occhi. «Io sono Paola. Perché cercavi qualcuno? Cosa ci fai qui?» «Ho bisogno di aiuto. Vorrei andar via da questo posto. Ho sete!» «Dall’altra parte c’è una fontana, vieni con me» disse lei guidandolo. Arrivati allo strappo del sogno il giovane si fermò. «Non posso venire con te dall’altra parte. Devi portarmi tu l’acqua». Paola corse alla fontana; non aveva niente con sé, chiuse le mani più strette che poté e raccolse l’acqua da portare al ragazzo, ma quando arrivò da lui non ne rimanevano che poche gocce; gli riuscì appena di bagnarsi le labbra. «Devi venire a Vi… Ga… enia.» La voce quasi afona e un suono assordante le impedirono di udire il resto. La sveglia trillava strepitando. La bloccò con la mano e scese dal letto. Che strano sogno. Ricordava tutto nei minimi particolari. Al lavoro ogni tanto si distraeva, rivedeva con la mente le immagini del sogno e immaginava strani e misteriosi segnali nascosti da decifrare. La sera quasi inconsciamente desiderò di rifare lo stesso sogno. E stranamente si ritrovò a ripercorrere le stesse immagini, a passare attraverso lo strappo e tornare da Rico. «Meno male che ti sei ricordata di tornare. Ho fame!» «Aspettami qui, dall’altra parte c’è un albero di mele, te ne porterò una.» Staccò la mela dall’albero; contenta la stringeva tra le mani, non poteva mica sciogliersi. Ma, appena attraversò lo strappo entrando nel sogno di Rico, la mela cominciò a rimpicciolire e quando arrivò da lui in mano le era rimasto solo l’odore del frutto. Lui lo annusò con gli occhi chiusi. Poi con la voce che quasi svaniva, le ripeté: «Ricordati, Vi… Ga… enia...» Si svegliò sudata e agitata. Perché non riusciva a capire le parole del sogno? Il segreto era tutto lì. Se avesse decifrato il messaggio allora ne avrebbe capito anche il senso; ci doveva essere una ragione, nulla accade per caso. Mentre era al lavoro le telefonò sua madre. «Ciao Paola! Dovresti andare a prendere zia Dora all’ospedale, la dimettono oggi. Aspetta ti do l’indirizzo. Dunque Villa Gardenia, via Torrenziale.» “Villa Gardenia, questo nome mi sembra di conoscerlo, ma forse mi sbaglio. No, di sicuro non ci sono mai stata.” Salì in macchina e si diresse fuori città. Parcheggiò nel vialetto antistante alla clinica. Con sorpresa fu investita da un profumo di gelsomini. Avvicinatasi al cespuglio ne colse un rametto e lo infilò nella tasca della giacca di jeans. “E se fosse questo il luogo che mi indicava Rico nel sogno? Villa Gardenia e poi i gelsomini… Potrebbe essere, magari adesso accadrà qualcosa.” Zia Dora era nell’atrio ad attenderla. Paola si guardò intorno attentamente, ma Rico non c’era. “Che stupida! Cosa mi aspettavo? Che lui fosse qui? In fondo era solo un sogno.” «Come va zia?» disse abbracciandola. «Abbastanza bene, dovrò fare delle terapie.» Durante il tragitto Dora non fece altro che raccontare della sua degenza. Paola la ascoltava, ma era distratta dai suoi pensieri. Giunte a casa la zia le disse: «Entra ti faccio un caffè!» Mentre preparava la moka continuava a raccontare. «Sapessi quanta sofferenza ho visto. C’è un giovane in coma e sua madre non fa che piangere giorno e notte. Non ha nemmeno la forza di chiamarlo. Rico, Rico, mormora affranta.» La tazzina di caffè che Dora stava porgendo alla ragazza volò per aria e una macchia scura colorò la giacca azzurra. «Ma cosa fai?» «Come hai detto che si chiama questo giovane?» «Federico, ma la madre lo chiama Rico.» «Zia, mi sono ricordata di un impegno urgente, scusami, devo andare!» Uscì come una furia e risalì in macchina: doveva tornare a Villa Gardenia, vedere Rico. Certo doveva pensare a qualcosa da dire, magari che era una sua amica o una sua ex, altrimenti non glielo avrebbero fatto vedere. Per fortuna trovò un’infermiera gentile che, vedendola così agitata, trovò il modo di farla entrare nella stanza del giovane. Una donna che doveva essere la madre le andò incontro. «Come ti chiami?» «Paola.» «Gli vuoi bene, vero?» «Sì!» rispose Paola accorgendosi, in fondo, che era la verità. «Vi lascio soli» disse, e uscì dalla camera. Lui era lì, ancora più magro di com’era apparso nel sogno, i capelli meno biondi spiaccicati sul cuscino. Era sommerso da tubicini, le mani inerti abbandonate sul letto. Paola ne prese una tra le sue e tenendola stretta cominciò a parlargli. «Rico, sono io, Paola. Hai visto, sono riuscita a trovarti! Ce ne ho messo di tempo per capire... Sono venuta a portati via da quel sogno in bianco e nero. Che compito difficile mi hai dato, ma non aver paura, insieme ce la faremo. Quanta sete e fame di vita c’è dentro di te, amico mio. Vedrai, ti porterò con me a bere alla fontanella della piazza e coglieremo le mele sulla pianta di zia Dora. Adesso però devi fare una cosa importante. Aggrappati alle mie mani, solo così potrò trascinarti oltre lo strappo. Ti prego fallo! Ho anche i gelsomini con me, non senti il profumo? Sono pieni di sole, di luce, di vita. Io resterò qui ad aspettarti.» Poi vennero le lacrime ma Paola le ricacciò e continuò a parlare sottovoce a Rico sempre tenendogli la mano, fino a che avvertì una stretta leggera come un soffio, quasi impercettibile.
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