| La piccola Proserpina era una bambina infelice. I primissimi ricordi che la sua giovane mente ancora conservava erano luci, colori, prati verdi su cui giocare, il calore del sole sulla pelle... poi era arrivato il buio. Le giornate si erano fatte sempre più corte, finché il sole era tramontato per non sorgere mai più. Il suo villaggio, Cobalto, aveva acceso torce per le strade e le case erano piene di candele, come dei santuari. La popolazione aveva reagito alla sventura come poteva e ormai vivere nella penombra con luci fioche e soffuse era la normalità per tutti. Si distinguevano due parti del giorno: falsanotte, quando si compivano tutte le attività quotidiane, e veranotte, quando si dormiva. L’unico momento in cui gli abitanti del villaggio trovavano sollievo dall’angoscia provocata dal lugubre mantello che li ricopriva era il periodo di luna piena.
Proserpina tuttavia aveva una passione che la aiutava a non farsi consumare dalla malinconia nella sua vita vissuta nell’ombra: la musica. Gli unici momenti in cui era pervasa dalla gioia erano quelli in cui andava sulla spiaggia a suonare la sua lira. Era uno strumento che era stato costruito nell’epoca della luce e la bimba era convinta che ne recasse ancora l’energia positiva. Cantava le inquiete e nostalgiche melodie che componeva ella stessa, accompagnandosi con la delicata musica che le sue mani generavano sfiorando lievemente le corde dello strumento. Il buio aveva forgiato il carattere di Proserpina, rendendola solitaria e schiva. A causa di ciò lei preferiva dedicarsi alla sua arte di veranotte, sulla spiaggia, senza nessuno intorno. Era proibito andare in spiaggia dall’arrivo del buio; era stata la Dama del villaggio stessa a deciderlo, dicendo che era troppo pericoloso; ma Proserpina riusciva sempre a sfruttare la distrazione delle guardie (o forse le guardie, intenerite dalla bambina, facevano finta di non vederla) e si recava sulla soffice sabbia a suonare. Una veranotte come tutte le altre Proserpina stava suonando, e intanto assaporava la dolce brezza che arrivava dal mare e le scompigliava il caschetto di capelli viola e il leggero vestitino bianco. I suoi piedi nudi apprezzavano il piacevole contatto con la sabbia fresca. All’improvviso sentì un rumore e si nascose dietro un cespuglio marittimo che si trovava vicino a lei. Stette immobile, terrorizzata al pensiero di essere scoperta e punita. Vide la Dama della città dirigersi verso il mare con passo fiero e deciso. I suoi lunghi capelli verdi erano sollevati e disordinati dal vento e portava solo una leggera sottoveste nera, quasi un velo. Era a piedi nudi ed era così vicina che Proserpina poteva vedere i suoi piedi sottili con le unghie color sangue affondare nella sabbia. Il suo candore riluceva al chiaro di luna. La bambina pensò che fosse bellissima e che meritasse il potere assoluto che aveva sulla città. La Dama si tolse la sottoveste e si gettò in acqua. Proserpina impallidì. La signora, al contatto con l’acqua, si era trasformata: le sue gambe erano diventate una coda. Sì, avete capito bene, una coda, una coda di pesce che appariva luminosa a contatto con la luce della luna ed era composta da scaglie verdi cangianti. La coda terminava con due potenti pinne. La bambina dovette tapparsi la bocca per non lasciarsi scappare un’esclamazione di meraviglia. Vide la figura allontanarsi nell’acqua velocemente e immergersi nelle profondità marine, increspando appena la superficie, che dopo un istante tornò calma come se niente fosse successo. Proserpina non si rese conto di quanto tempo fosse rimasta sulla spiaggia ad aspettare, ma era ben decisa a non perdersi il magico ritorno di quella creatura. Dopo un indefinito periodo di tempo la bimba vide la superficie dell’acqua muoversi di nuovo e la Dama uscire dall’acqua in forma umana, con una lentezza solenne e con il corpo totalmente ricoperto di alghe verdi che le creavano una sorta di vestito naturale e si confondevano con i capelli. In ogni mano teneva dei grossi pesci arancioni che iniziò a mangiare con una foga animalesca che ben poco si addiceva alla mistica bellezza della sua figura. Proserpina rabbrividì notando che mentre la donna azzannava il pesce crudo scopriva una doppia fila di denti aguzzi che risplendevano alla luce lunare. Finito il suo pasto la donna sorrise, si leccò le labbra soddisfatta, abbandonò le carcasse dei pesci di cui era rimasto ben poco e si allontanò, lasciando sulla spiaggia una lunga scia di alghe. La bambina aveva il cuore in gola. Il magico spettacolo iniziale si era trasformato in un inquietante banchetto. Aspettò il tempo necessario per essere sicura che la Dama se ne fosse andata e poi corse a perdifiato fino a casa. Si scrollò la sabbia di dosso e si mise a letto, ma non riusciva ad addormentarsi poiché continuava a pensare alla scena che aveva visto. Non sapeva con chi parlarne, se parlarne e che cosa fare. Non era nemmeno ben sicura di ciò che i suoi occhi le avevano mostrato. Decise di dimenticare tutto, o almeno di provarci.
Giorni dopo, di falsanotte, Proserpina doveva portare le caprette della sua fattoria al pascolo. Nonostante il buio gli animali potevano ancora pascolare: c’erano delle erbe speciali che si erano adattate alle nuove condizioni di scarsa luminosità. Si trattava dei campanelli di stelle, fiori simili a delle campanule che accumulavano la poca luce che riuscivano ad assorbire dalla luna e poi la moltiplicavano, tanto da diventare esse stesse leggermente luminose. Voi lettori sarete affascinati immaginando uno sterminato campo di fiori luminosi e profumati in modo dolcissimo, ma per Proserpina tutto ciò era normale e non ci faceva caso. Mentre si trovava nel prato di campanelli incontrò Kleobi. Egli era un bambino circa della sua età che da sempre aveva cercato di esserle amico, anche se Proserpina evitava la sua compagnia perché le sembrava troppo sorridente. Inoltre non voleva certo essere amica di un maschio. Come al solito il bambino le si avvicinò con aria amichevole. Aveva in mano un luminovo e lo tese verso di lei esclamando: «Guarda cosa mi ha preso mio padre! Ne avevi mai visto uno? Pare che sia uno spettacolo indimenticabile, vuoi provarlo insieme a me?» Proserpina era sinceramente allettata dall’invito. Il luminovo era un oggetto simile a un uovo ma leggermente luminescente che, se frantumato, creava degli effetti di luce spettacolari, colorati, sempre diversi. Tuttavia decise di non mostrare particolare entusiasmo, non era da lei. «Magari un’altra volta…» sospirò la bambina. Kleobi gettò con forza il luminovo al suolo. Esso esplose in mille lampi di luce blu, che diventavano poi azzurri, viola, oro e formavano figure fantastiche nell’aria: fate, unicorni, folletti… fino a esplodere in un grande fuoco di artificio. Proserpina era rimasta a bocca aperta e il bambino sorrise soddisfatto. «Ascolta, lo so che non ti sto simpatico. Ma ho bisogno del tuo aiuto. Credo che un maleficio si sia abbattuto sulla nostra città, che questo buio non sia effetto di un cambiamento negli astri come vogliono farci credere. Temo che dietro questo ci sia proprio la nostra Dama… dopotutto è da quando è arrivata che c’è il buio, lo sai? Mi puoi aiutare?» Il ragazzo appariva sinceramente preoccupato. E se fosse stata una trappola? Tuttavia Proserpina non ce la faceva più a tenere il segreto, era sicura che se lo avesse tenuto ancora le sarebbe scoppiata la pancia, sarebbe impazzita e avrebbe urlato a tutti quello che aveva visto. Vuotò il sacco. Il ragazzo ascoltò attentamente la storia di Proserpina annuendo talvolta. Alla fine tutto ciò che esclamò fu: «Ora il mistero è risolto!» Kleobi prese per mano Proserpina e la guidò nel fitto bosco di pini marittimi che circondava il villaggio. Correvano a perdifiato e a nulla valsero le richieste di Proserpina di sapere il luogo in cui stessero andando. Quando oramai le gambe della bambina erano piene di graffi e il fiato le mancava, Kleobi finalmente si fermò. «Amadriade! Rispondi, Amadriade!» si mise a gridare. Dopo alcuni richiami di Kleobi, dal tronco di un albero emerse una figura. Era una fanciulla bellissima, dalla pelle marrone, i cui capelli formavano la folta chioma dell’albero e il busto affusolato il tronco. Le sue mani erano fatte di esili rami che terminavano in rose scarlatte. Sorridendo dolcemente a Kleobi la creatura disse: « Sei tornato, mio caro ragazzo.» «Sì, sono tornato e porto buone notizie. Probabilmente questa bambina ha la chiave per capire cosa è successo al villaggio di Cobalto e salvarlo!» La bambina, balbettando perché era ancora sconvolta dall’apparizione della creatura dei boschi, raccontò il suo incontro con la sirena. Amadriade stette un po’ in silenzio e poi iniziò il suo discorso. «Purtroppo ciò che temevo si è avverato. Una strega malvagia viveva in questa foresta, esiliata e temuta da tutti a causa della sua conoscenza della magia nera. La sua vita era avvelenata dal desiderio di vendetta contro il villaggio che le aveva riservato un trattamento tanto degradante, così decise di sfruttare le sue arti nere per diventare la signora incontrastata del territorio. Fece un sortilegio alla città, condannandola al buio eterno. Prese possesso del corpo di una sirena: in questo modo ottenne anche i poteri magici della creatura marina divenendo così ancora più forte, invincibile, immortale. E ora governa da anni nel buio. L’unico modo per sconfiggerla è preparare una pozione magica, ma trovare gli ingredienti sarà molto difficile e la preparazione deve essere perfetta e deve essere opera di due creature pure di cuore, come voi. Qualsiasi aiuto che voi chiederete a degli adulti renderà la pozione inutile. Vi sentite in grado di compiere questa missione?» Kleobi e Proserpina annuirono con foga, tenendosi per mano. «Gli ingredienti della pozione sono questi: acqua di mare, acqua di sorgente, succo di campanula delle stelle, una ragnatela, sangue di licaone, sputo di fata, capelli di un puro di cuore, un frammento di luminovo, lacrima di madre, zampa di pipistrello, unghia di alluce di una zitella, alga rubata ai flutti dalla strega stessa. Mescolate ventisette volte in senso orario in un calderone di rame. Fatela bere alla strega. Anche una sola goccia e il nostro villaggio sarà salvo.» I bambini decisero di partire dagli ingredienti più facili, proseguendo fino a quelli più difficili. Kleobi riuscì a rubare qualche lacrima dalle gote di sua madre, che spesso piangeva rimpiangendo i giorni felici di sole. Per i capelli Proserpina decise di tagliarne qualcuno dalla chioma azzurra di Kleobi. A staccare una zampa al pipistrello ci pensò il bambino: Proserpina era troppo impressionabile. Il calderone era pronto, mancavano solo le alghe, la parte più difficile. I due bambini decisero di recarsi in spiaggia e là anche Kleobi poté assistere alla metamorfosi. Un imprevisto per poco non li tradì: Kleobi era così attratto dalla bellezza della donna che se l’amica non l’avesse tenuto stretto a sé sarebbe caduto vittima del sortilegio. I ragazzi capirono che la strega doveva avere dei poteri ammaliatori e che quindi sarebbe stato compito solo di Proserpina avvicinarsi alla donna e farle bere la pozione. Dopo aver raccolto le alghe cadute dal corpo della creatura completarono il preparato: fecero bollire il tutto, mescolarono ventisette volte e poi il liquido denso e bluastro fu pronto. Proserpina lo versò in una ampolla e si preparò per recarsi al castello della signora. Kleobi avrebbe aspettato fuori pronto a intervenire.
Il castello era gigantesco e pieno di guglie esili e ritorte che si stagliavano contro il cielo. Nel buio appariva più nero della pece e ricoperto di nebbia. Le guardie fecero passare la bambina che sembrava indifesa, cedendo alla tenerezza delle sue richieste spasmodiche di vedere la signora. Quando la strega accettò di vederla, Proserpina poté osservarla per la prima volta da vicino. La sua carnagione era pallidissima e spiccava sull’elegante vestito nero che portava. I capelli verdi, che la signora teneva sciolti, scendevano morbidi fino ai fianchi. Era attorniata da corvi che le si avvicinavano e che la strega coccolava e accarezzava. Proserpina era atterrita dalla sua bellezza spaventosa. Prese un bel respiro e le spiegò che voleva far provare personalmente alla sua signora un elisir di bellezza che aveva appena creato, efficacissimo. Nessuno voleva provarlo, disse, perché pensavano fosse disdicevole occuparsi di pozioni e la umiliavano per il suo interesse. La signora parve avere un lampo di umanità negli occhi freddi. Prese l’ampolla tra le mani sottili e pallide. Ne annusò il contenuto. Fu in quel momento che la sua espressione si fece feroce. «Tu! Sciagurata! Hai osato sfidare la mia ira!» Ma prima che potesse fare alcunché una figura le si gettò addosso. Kleobi. L’ampolla si ruppe e parte del contenuto finì nella bocca della strega. Si sentì un urlo terribile che riempì tutte le sale del castello e rimbombò in tutto il villaggio. Vi fu un lampo di luce accecante. Quando riaprirono gli occhi i due bambini videro quello che rimaneva della strega accovacciata in un angolo: una vecchia rugosa e inerme. Videro anche la sirena dai capelli verdi fuggire verso il mare a una velocità impossibile per una creatura umana. Proserpina tuttavia avrebbe potuto giurare che durante la corsa si fosse voltata indietro e le avesse sorriso. I due bambini si recarono sul terrazzo del castello e da lì assistettero a uno spettacolo che non vedevano da moltissimo tempo: l’alba. Il sole che nasceva dal mare produceva dei colori stupendi nel cielo, colori che i bambini nemmeno più ricordavano. Li ammirarono in silenzio, piangendo e tenendosi per mano.
Voi lettori vi chiederete che cosa successe in seguito ai nostri personaggi e al villaggio di Cobalto. Il villaggio, che era abituato a cavarsela nelle condizioni disperate del buio, aveva affinato così tanto le sue capacità che ben presto divenne ricco e fiorente e si trasformò in una importante città. La strega, oramai una vecchierella inoffensiva, fu perdonata da tutti e si ritirò in una capanna, dove rammendava i vestiti delle fanciulle e a volte preparava per loro un filtro d’amore. Amadriade, la sirena e tutte le altre creature magiche che popolavano la zona tornarono a vivere la loro vita indisturbate, senza doversi più curare delle faccende da umani. E Kleobi e Proserpina? I bambini si godettero finalmente la loro vita insieme, al calore dei raggi del sole tanto desiderato, anche se c’è chi giura di averli visti, oramai anziani, divertirsi insieme al buio con un luminovo.
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