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Quella mattina Cenerentola era decisamente sotto tono. Era passato un anno dal giorno del suo matrimonio e molte sue aspettative erano state deluse. Si era svegliata presto con addosso una grandissima sensazione di fallimento. Il principe era già uscito. Lui ignorava completamente la sua infelicità. Aveva giocato con la playstation fino a notte inoltrata. Era andato a letto quando lei già dormiva da un pezzo e se ne era andato prima che lei si fosse svegliata. Si alzò, si stiracchiò e si accorse che sul comodino c’era un biglietto. I suoi occhi si trasformarono immediatamente in cuoricini; “Si è ricordato del nostro anniversario” pensò arrossendo. La felicità lasciò però presto il posto alla delusione; i suoi occhioni si riempirono di lacrime appena lesse il contenuto del biglietto: “Stasera non torno, gioca la Juve”. Le lacrime caddero pesantemente sul pavimento formando due grosse pozzanghere che lei asciugò con uno straccio mentre intonava una deprimente canzone di Gigi D’Alessio. Solo un anno prima aveva creduto alla storia di poter vivere felice e contenta. Ora ne era certa: era stata solo un’illusione. Odiata dalla matrigna, con due sorellastre che non le avrebbero mai perdonato di essere stata scelta come sposa di sua Maestà il Principe, odiata da tutte le donne del Regno per lo stesso motivo, non poteva che provare un profondo senso di solitudine; e il biondo principe non era altro che un uomo. Non aveva la sensibilità di comprendere questo disagio e neanche la capacità di colmare i vuoti di una vita priva di affetti. Se gli uomini fossero stati capaci di ciò, suo padre, per primo, le avrebbe evitato tante umiliazioni e non si sarebbe fatto soggiogare da quella donna verso la quale si era dimostrato un perfetto smidollato. Cenerentola aveva sperato che non tutti gli uomini fossero così privi di personalità come lo era stato suo padre e aveva aspettato il suo principe sognandolo a occhi aperti, cantando in coro con gli animali, sostenuta solo dalla sua fatina. E invece si era ritrovata in questo freddo castello, senza amici e con un marito praticamente sempre assente. E lei, povera Cenerentola, non poteva neanche protestare. «Hai dimenticato che fino a poco fa eri vicino ad un camino a ramazzare? Io ho fatto di te una vera principessa e tu ancora non sei contenta?» Forse invece di tuffarsi a capofitto in questa storia avrebbe dovuto trovarsi un lavoro, mollare matrigna e sorellastre e farsi una decina d’anni di psicanalisi. Ma non aveva avuto il coraggio sufficiente per farlo. Aveva scelto la strada più comoda e ora si trovava in questo castello, più schiava di prima. Neanche i suoi amici topini potevano farle compagnia perché a palazzo erano vietati i topi. Uscì di corsa dal castello, non riusciva a smettere di piangere e non voleva che la regina la vedesse in questo stato. Prese un cavallo e andò a farsi un giro per la foresta. Le lacrime le scorrevano pesanti sul volto schizzando su tutti i passanti. Cavalcare l’aiutava a calmarsi. Cavalcò per più di un’ora fin quando non arrivò in una radura, dove sorgeva una minuscola e graziosa casetta: entrò e capì che ci viveva qualcuno. C’erano infatti sette piccole sedie impolverate, sette piattini sporchi, sette camicie sporche e polvere e ragnatele dappertutto. Si raggomitolò su un letto e, dopo aver pianto disperatamente, si addormentò distrutta. Quando si svegliò, accanto a lei c’erano sette nanetti che la guardavano sorpresi. «Come è bella» disse Mammolo; «Deve essersi persa» disse Dotto; «Approfittiamone e facciamoci dare una pulita alla casa!» disse Pisolo; «È già la seconda che passa di qui, quando ci siamo trasferiti in campagna non credevo che ci fosse così tanta vita» disse Gongolo. Nel sentire le parole di Gongolo e nell’incrociare lo sguardo curioso di Cucciolo, Cenerentola capì immediatamente di essere in pericolo; stare da sola con sette maschi così poco abituati alla vita sociale poteva essere imbarazzante; decise quindi di fuggire anche di lì. Strada facendo incontrò un ranocchio. “È la svolta” pensò, “lo bacio, si trasforma in un principe, lascio mio marito e scappo con lui!” Lo baciò. Il ranocchio si “emozionò” moltissimo ma purtroppo rimase ranocchio con grande delusione di Cenerentola che lo fissava sorpresa. «Quando la smetterai di credere alle favole? È arrivato il momento di ristabilire un contatto con la vita terrena» disse una voce proveniente da un cespuglio. Era il Grillo parlante che l’ammoniva severamente: «Invece di piangerti addosso per tutta la vita avresti dovuto affrontare le avversità e reagire agli abusi. Riesci a comprendere che hai sempre sbagliato tutto? Hai lasciato che gli altri facessero di te quello che preferivano limitandoti a piagnucolare di tanto in tanto! Vergognati! Non ti è mai passato per la mente di assumere un ruolo attivo nella vita? Perché non hai mai dato la scopa in testa alla matrigna e alle sorellastre? Perché oggi non hai organizzato qualcosa per il tuo anniversario invece di aspettarti che lo facesse tuo marito?» «La fai facile tu» disse Cenerentola, «sono cresciuta con questa educazione, mi hanno raccontato solo favole di principi, principesse e castelli, ho subito dei traumi, non ho studiato; se bastassero le parole di un grillo per cambiare atteggiamento allora gli psicoterapeuti cambierebbero tutti lavoro. Per assimilare i tuoi insegnamenti, per metabolizzarli e farli miei avrei bisogno di dieci anni di psicanalisi e di un quintale di Prozac!» «Il fatto che tu ammetta i tuoi limiti è davvero già tanto, parlerò con la fatina perché perfezioni il suo incantesimo. Non è sufficiente essere bella, avere dei bei vestiti e delle belle scarpe. Sono necessarie anche l’intelligenza e l’autostima per affrontare il mondo» disse il Grillo deciso. «Esiste una magia così?» domandò Cenerentola incredula. In quel momento si sentì una musichetta stupida, credo di Raffaella Carrà, e apparve la fata, evidentemente infastidita: «La magia fa tutto quel che vuoi tu bididibodidibu!» «Eccola là! È arrivata! Dove avevi la testa la sera del ballo? Ti sei scordata un pezzo; senza cervello e senza autostima, a questa se la mangiano viva!» disse il grillo. «Oh! Che sbadata! Bene, possiamo aggiungere quest’altro tassello. Però, Cenerentola, devi promettere che non piangerai più per ogni sciocchezza e soprattutto che non vedrai mai più Cento vetrine altrimenti l’incantesimo si scioglierà e tu diventerai una velina di Striscia la Notizia» disse la dolce fatina. «Oh madre, ho sempre sognato di essere la velina bionda» disse Cenerentola. «No, no, no. La ragazza non ragiona. Fai l’incantesimo e lascia perdere. Tu, Cenerentola, prometti e non ti preoccupare, vedrai che andrà tutto bene» aggiunse il grillo supplichevole. «Prometto, non guarderò mai più Cento vetrine e non piangerò mai più per le cose futili.» La fatina iniziò a canticchiare bididibodidibu mentre una luce fortissima promanava dalla sua bacchetta e l’aria si riempiva di profumi e colori: «In questa testa vuota un cervello comparirà, l’autostima subentrerà e lo psicanalista sparirà!» Quando la magia terminò, Cenerentola rimase sola con il ranocchio, il quale era ancora in condizioni decisamente imbarazzanti. Lei non gli diede peso, montò sul cavallo e lo lasciò con un palmo di naso. «Mondo trema, Cenerentola sta atterrando!» Tornò correndo verso casa. Ora capiva che la sua felicità dipendeva soltanto da se stessa e che doveva smettere di essere così passiva e lamentosa. Mentre realizzava questa verità, per strada incontrò il lupo cattivo vestito da nonna. Cenerentola gli mostrò immediatamente il dito medio e scappò via soddisfatta. Giunta al castello, in reggicalze nero e perizoma attese il rientro del suo principe. La stanza era immersa in un profumo di muschio bianco e in una musica avvolgente: “The look of love” di Diana Krall. «Cosa ti succede cara?» ebbe il tempo di chiederle il principe, già molto soddisfatto per la vittoria della Juve. «Buon anniversario» disse lei prima di tappargli la bocca con un bacio. Con al piede una vecchia scarpina di cristallo diede un calcio alla porta sulla cui maniglia dondolava il cartello “Do not disturb” e da quel giorno visse felice e contenta.
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