Abaluth - Scrivere, leggere, arte e cultura

L'ora più buia - Elio Errichiello

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 7/11/2012, 18:40
Avatar

Member

Group:
Member
Posts:
660
Location:
Milano

Status:


Un incubo dopo l'altro. Molto angosciante. le citazioni (Poe, Shakespeare) sono perfettamente spiegate dalla battuta finale: "Ah, dimenticavo. Le ho portato un nuovo libro." Senza quella avrebbero rischiato di essere uno sfoggio di erudizione.
Buona scrittura, efficace nel trasmettere la paura. Qualche indulgenza ad aggettivi ridondanti, che può essere facilmente eliminata, come pure alcuni dubitativi ("dovetti svegliarmi", "doveva essere mancata la corrente" e altre simili) che io sostituirei con decise affermazioni: mi sveglai, era andata via la corrente ecc.
 
Web Contacts  Top
caterina.russo
view post Posted on 8/11/2012, 16:08




Complimenti! Mi hai fatto venire l'ansia di star sola a casa al buio :P
Ci vuole una grande maestria a mantenere la tensione alta anche se ti dilunghi troppi in alcune parti.
Mi hanno infastidito un pò tutte le citazioni... bastava Poe.
E infine usi spesso frasi simili tipo "in quello stesso istante" , "nello stesso momento in cui" ... prova a impostarle diversamente.
Comunque sei stato molto bravo.
In bocca al lupo
 
Top
Sata G Vanessa
view post Posted on 9/11/2012, 13:25




Ciao Elio, il tuo racconto mi ha ridotta a leggere con la stessa ansa che provava il protagonista. Il tuo modo di scrivere comunica bene le sensazioni, e le situazioni che avanzano nella storia. Mel finale invece anche secondo me sei andato un po' veloce, perché passi dal momento di suspence alla calma improvvisa; secondo me potevi giocare con l'arrivo di quella donna, farla apparire come se fosse un fantasma e poi, dopo aver dato anche questo brivido, smentire :)
Ottima prova ed in bocca al lupo :)
 
Top
luciastefania
view post Posted on 10/11/2012, 19:04




ciao elio, mi manchi tu! Non ho notato cambiamenti quindi credo tu non abbia revisionato il racconto che era ed è buono. Utilizza dei clichè dell'horror, come il buio, una persona in casa, il disorientamento ecc ma non stancano e non sfigurano per niente.
Peccato che sia stato l'ennesimo incubo ma perlomeno non ti sei limitato al fatto e l'hai contestualizzato nella malattia/senilità.
Gustoso e appassionante, non lo cambierei di una virgola
 
Top
view post Posted on 22/11/2012, 22:49
Avatar

Fabrizia

Group:
Administrator
Posts:
862

Status:


È iniziato tutto l’altro giorno, quando una donna mi ha dato quel libro. Era una bella edizione, vecchia di almeno mezzo secolo, il dorso di pelle scura, le pagine un po’ ingiallite, e quell’odore ruvido che si sprigiona mentre passi le dita sulla carta. “Racconti”, di Edgar Allan Poe. Una lettura terribilmente affascinante, che deve aver acceso la mia fantasia.
“Ero spossato, mortalmente spossato per quella lunga agonia; e quando alla fine mi slegarono e mi permisero di sedere, sentii che i miei sensi mi abbandonavano. La sentenza, la paventata sentenza di morte, era stato l’ultimo distinto accento che m’era giunto alle orecchie. Dopo di che, il suono delle voci inquisitorie sembrò immergersi nel brusio confuso di un sogno. Quel suono portava al mio spirito l’idea di rotazione, forse perché l’associavo nella mia fantasia col frullìo di una ruota di mulino…”
Leggevo “Il Pozzo e il pendolo” quando mi accorsi che ormai mi stavo consumando gli occhi da ore su quelle lettere sbiadite, le parole mi si aggrovigliavano nel cervello e le pupille secche già mi bruciavano al calore della lampada. Posai il libro sulla scrivania e spensi la lampadina, infilandomi sotto le coperte. Nella stanza non c’era un filo di luce, le persiane erano serrate come al solito. Mi rotolai un paio di volte su me stesso, cercando la posizione giusta, ma stranamente non ero a mio agio. Di solito mi abbandono subito al sonno, ma forse il mio animo era troppo eccitato. Mille pensieri mi affollavano la mente: pensavo al primo racconto, perché l’orango aveva ucciso le signore della rue Morgue? Era un animale che amavo, e ora lo trovavo sinistramente inquietante. Poi pensai che ciò che trovavo inquietante era che Madame L’Espanaye e sua figlia non sapevano che quel giorno sarebbero state massacrate: erano in casa loro, si sentivano al sicuro. Non c’è niente di peggio di quando l’orrore si intrufola in casa tua.
Questi pensieri mi toglievano il sonno, rendendomi nervoso. Quando sentii le palpebre farsi pesanti, un rumore mi fece scattare, facendomi balzare il cuore in petto. Doveva essere caduto qualcosa a terra, qualche libro, ce ne sono centinaia in questa stanza. Provai a guardarmi intorno ma il buio era totale, allora allungai le mani verso l’alto e le fissai aspettando che gli occhi si abituassero all’oscurità. Me ne stavo così disteso quando notai quali strani riflessi facessero le mie mani lungo il soffitto: muovevo le dita e pareva di vedere un albero spoglio contorcersi, aggrovigliarsi, distruggersi. Fermai le mani, qualcosa era cambiato, ora pareva che le ombre disegnassero un ragno, le zampe avviluppate, confuse. Le mie dita erano ferme, ma le zampe si muovevano. Chiusi gli occhi e tirai un sospiro. Quando si è stanchi e il sonno non arriva la coscienza può fare brutti scherzi. Feci finta di nulla e mi riavvolsi nelle coperte.
Più agognavo il mondo dei sogni più il sonno mi evitava. Ormai ero cosciente di ogni rumore nella stanza, qualche insetto che ronzava vicino alla finestra, e quel maledetto orologio sembrava volermi torturare, il suono prima era lieve, ma ora mi martellava i timpani. Alzai la testa per guardarlo: inutile, non si vedeva niente. Ma in quello stesso momento sentii di nuovo un rumore, sembrava che qualcosa avesse urtato la finestra, magari un uccello. Stavo già pensando “Maledetto, mi hai fatto paura” quando con la coda dell’occhio mi parve di vedere un’ombra. Mi bloccai, immobile. Il cuore mi martellava contro la cassa toracica, ora sentivo solo quello, l’orologio l’avevo dimenticato. Probabilmente non avevo visto nulla, per di più ero sdraiato, ma a me era sembrata una dannatissima ombra.
Decisi che dovevo alzarmi, e così feci, andando subito ad accendere la luce. La stanza era vuota, e mi sentii un idiota per essermi alzato. Diedi comunque un’occhiata in giro, e vidi che i Racconti di Poe erano caduti dalla scrivania. Li rialzai e poi decisi di andare a prendere un bicchier d’acqua. Nel corridoio sentii il suono confortante del russare di mio padre proveniente dalla camera dei miei genitori. Non nascondo che ero spaventato, e quel rumore fastidioso mi ricordava che non ero solo. Andai dritto in cucina e mi versai dell’acqua. Poi accadde una cosa orribile: portai lo sguardo verso la porta della cucina; c’era qualcuno, ne sono certo, ma fu solo un attimo, perché in un battito di palpebre l’ombra si spostò rapidissima oltre il cono di luce. Io restai immobile, stringevo il bicchiere così forte che le nocche dovevano essere sbiancate.
Stavolta ero sicuro di aver visto qualcosa, ma non sapevo cosa. Pensai a un ladro, ma non avevo visto un uomo, solo una figura… “Sei solo stanco” pensai dopo un po’, quando riuscii a posare il bicchiere e a rilassare i muscoli. Ma la paura non mi aveva abbandonato: non ebbi il coraggio di avventurarmi in soggiorno e mi diressi verso la mia stanza. Spensi la luce uscendo dalla cucina, e mi ritrovai di nuovo al buio, solo nel corridoio. Non mi liberavo dall’idea che qualcuno mi stesse seguendo, l’orrenda sensazione che qualcosa fosse lì dietro di me.
Cercavo solo di non pensarci, volevo solo addormentarmi e rivedere il sole. Mi tuffai di nuovo sotto le coperte. Avevo la strana impressione che qualcuno mi stesse fissando, seduto nascosto nel buio nell’angolo della stanza, dove non potevo scorgerlo neppure strizzando gli occhi. Mi sistemai su un lato e aspettai che le palpebre diventassero pesanti. La stanchezza mi vinse, finalmente sentii che il sonno mi stava accogliendo con dolcezza, aprii ancora un paio di volte gli occhi, come stordito, e mi addormentai avendo negli occhi l’immagine agghiacciante di un volto che mi fissava disteso sul cuscino accanto a me, ma ormai ero come ubriaco e mi abbandonai alle malie di Morfeo lasciando da parte le paure.
Dovetti svegliarmi non molto tempo dopo, sudato e assalito dagli incubi. Quel volto non era un sogno, l’avevo visto prima di addormentarmi e aveva tormentato il mio inconscio con visioni oniriche raccapriccianti. Mi alzai subito dal letto madido di sudore e provai ad accendere la luce, ma l’interruttore non dava segni di vita. Doveva essere mancata la corrente. La casa d’un tratto mi parve più buia e silenziosa. Andai in corridoio e allora mi resi conto che non sentivo mio padre russare. Ero inquieto, decisi di controllare la stanza dei miei. Entrai in silenzio, aprendo la porta lentamente, feci qualche passo alla cieca. In quel momento dovette mancarmi il respiro: il letto era vuoto, i miei genitori non c’erano.
Crollai sulle ginocchia e toccai le lenzuola: erano intatte, come se nessuno ci avesse dormito. Ora respiravo a pieni polmoni, sembrava che nella stanza non ci fosse abbastanza aria solo per me. Nello stesso momento mi accorsi che stavo singhiozzando. Chiunque fosse entrato in casa mia li aveva presi. Non so perché ma nella mia testa sentivo ripetere una frase che avevo letto in Amleto. Questa è l’ora più malefica della notte, i cimiteri sbadigliano, e l’inferno alita il suo contagio al mondo. Ora potrei bere sangue ancora caldo, e fare cose che il giorno tremerebbe a vedere.
Ero preda di allucinazioni febbrili, una paura arcana, l’ancestrale sgomento di trovarsi soli nel buio. Capii che non era quello a spaventarmi, ma l’angosciosa sensazione di non essere solo, l’idea che un’immonda presenza mi incombesse alle spalle. Potevo sentirla adesso, il suo alito caldo sul collo sudato, sapevo che se mi fossi voltato i miei occhi non avrebbero visto nulla, ma non importava poiché il mio cuore l’aveva già sentita. Ero precipitato nel pozzo, dovevo tirarmene fuori.
Non so perché, andai in bagno. Volevo sciacquarmi la faccia, imbrattata di sudore e lacrime. Ora che ci penso non notai nemmeno che c’era già una luce accesa, una luce sfocata, sulfurea. Mi tuffai col viso sotto il rubinetto, strofinai bene la faccia quasi volessi lavarmi di dosso quella paura. Quando alzai lo sguardo urlai a fatica, con la bocca impiastrata. Fissavo nello specchio un viso che non era il mio, la faccia butterata più vecchia di almeno vent’anni, i capelli ingrigiti sembravano quelli di mio padre, gli occhi infossati e rossi come braci. Lo specchio parve rimandarmi quell’urlo, e tra gli occhi di quell’uomo che fissavo si aprì un’incrinatura, e presto una ragnatela di crepe avvolse quel volto.
C’era qualcosa sul collo dell’uomo che guardavo oltre lo specchio, qualcosa che premeva sotto la pelle, cercava di uscire. Mi toccai il collo e sentii qualcosa, un parassita che mi strisciava nell’epidermide. Lo vidi schizzarmi sul braccio, provai a colpirlo come si uccide una zanzara, ma quello si ritrasse, e poi spuntò fuori come un fungo nero dalla testa di ferro. Sentii un bruciore infernale e urlai di nuovo, lo specchio si infranse ancora, ora era una grande tela cubista; il mio volto distorto mi fissava corrucciato, poi l’uomo dello specchio allungò le mani verso di me. Io non avevo mosso un muscolo, feci un passo indietro perplesso, e quello invece avanzò, gli occhi erano due fessure di fuoco. Gridai, ma l’urlo mi si strozzò in gola. Tra i mille riflessi nello specchio avevo visto una figura strisciarmi alle spalle e sparire nel corridoio, ora era più distinta, quasi umana, ma poco più che un’ombra, indifferente al mio terrore. Quando mi girai non c’erano che tenebre. Non avevo bisogno di voltarmi per sapere che lo sguardo dell’uomo nello specchio era ancora fisso su di me, potevo sentirlo bruciarmi sulla nuca.
Lo ignorai e mi avventurai nel corridoio. Ormai avevo perso ogni controllo, non c’era niente fuori del battito frenetico del mio cuore. Mi trovai di nuovo nella mia stanza, senza riflettere. C’era un suono assordante che riempiva l’aria scura, come se un gigante selvaggio picchiasse un grande tamburo. Veniva dalla parete: non potevo aspettare, dovevo guardare l’orologio, l’alba era come una meta agognata, un’amica leale che mi avrebbe trascinato via da quell’orrore. Staccai l’orologio dalla parete, fissai a lungo il quadrante per metterlo a fuoco. La lancetta si muoveva lentamente, ogni rintocco una martellata, ma non andava nel verso giusto. Il tempo, il mio unico alleato, la mia sola speranza, mi stava prendendo in giro. Le lancette giravano al contrario, volevano dirmi che il mio incubo non sarebbe mai finito. Lo gettai a terra disperato.
Quando si perde anche la speranza non resta niente. Feci un passo e inciampai in qualcosa: quel maledetto libro era caduto di nuovo. Mi ritrovai per terra, e non seppi fare di meglio che raggomitolarmi in un angolo e chiudere gli occhi. Non avevo più la forza di guardare e non vedere niente. Sapevo che c’era qualcosa nella stanza, qualcosa che si trascinava nel buio, mi stava addosso, mi soffocava. Sapevo che non potevo fare nulla, ogni fibra del mio essere era stata presa dalla paura.
Non credete ai poeti che parlano dell’amore, o a qualche filosofo che parla dell’odio. Non esiste alcun sentimento più intenso e acceso della paura. La paura creò gli dei, hanno detto. È una passione violenta e atroce, che ci lacera dentro, e con una rapidità sorprendente. Quando il terrore ci coglie, anche se per pochi attimi, ci consuma, offusca la nostra mente e ci attanaglia le viscere. I nostri pensieri cessano di esistere, dimentichiamo tutto, qualsiasi cosa avessimo provato; amore, odio, dolore scompaiono in un istante. Tutti i sentimenti possono essere soppressi dalla nostra volontà. Eppure la paura non può essere sottomessa dalla nostra mente nel momento in cui si scatena, ci paralizza facendoci scoppiare il cuore. Non crediate che esista chi ha coraggio senza timore, la vera paura è quella che non possiamo affrontare. La paura è in ciò che non vediamo, in ciò che non conosciamo o non possiamo comprendere. La paura si nasconde nel buio, dietro le barriere dell’ignoto.
Mi affannavo in queste riflessioni, abbandonandomi a dolci pensieri di morte, nel nulla assoluto della tomba, nel riposo senza sogni in cui nessun timore può toccarci. O almeno questo speravo. Un tocco freddo, gelido mi sfiorò la mano, la ritrassi di scatto. Poi qualcosa mi sussurrò all’orecchio, un sospiro penoso che mi fece rabbrividire. L’inferno è vuoto. Tutti i diavoli sono qui. Mi sorpresi a pensare ancora a Shakespeare.
Delle dita ghiacciate mi strinsero il braccio, mi lamentai, non riuscivo a urlare, ma strinsi gli occhi più forte. Non volevo vedere: qualunque cosa fosse non volevo sapere. Il libro che avevo in grembo sembrava ribollire, si spalancò e ne venne fuori un alito di morte. Gli spiriti mi danzavano intorno, si facevano beffe di me.
Poi improvvisamente vi fu un rumore sordo, più forte di tutti gli altri, più forte del tamburo nel mio petto, più forte delle lancette che battevano sull’incudine invisibile, più forte di quel silenzio assordante. Era vicino alla porta di casa. La presa sul mio braccio si ritrasse, i Racconti si richiusero di botto. Qualcosa stava entrando in casa, qualcosa di tremendo, ne ero certo.
Sentii uno schianto in cucina, frastuono di pentole e cocci, sbattere di porte. Qualunque cosa fosse, stava venendo da me, mi stava cercando, fiutando come una preda. Sentivo i suoi passi nel corridoio, si trascinava come un boia, lenta, inesorabile. Avvertii il suo respiro pesante quando fu sulla soglia, sembrava affannato, pensai che non riuscisse più a trattenere il suo desiderio famelico. Non ne potevo più, dovevo vedere, dovevo sapere. Alzare le palpebre fu come sollevare un macigno. E me la vidi davanti, una figura alta, massiccia, più scura delle tenebre, una forma vagamente umana, un capo mostruoso nascosto nell’ombra. L’ancella della Morte è venuta a prendermi, pensai. Quella allungò le mani, e io non riuscii a trattenere un sussulto. È arrivato il momento, mi dissi, posso chiudere gli occhi.
Sentii uno schianto, un fragore tremendo. Volevo aggrapparmi alla vita, volevo ritrovare la forza, potevo sentire il sangue pomparmi con violenza nelle vene. Con una disperazione selvaggia trovai il coraggio di riaprire gli occhi per affrontare il mio destino. Una luce abbagliante come di mille fuochi mi accecò all’istante, mi coprii il viso con le mani, confuso.
«Signore...»
Una voce di donna mi arrivava alle orecchie come un’eco lontana. Gli occhi si abituarono alla luce e vidi una signora robusta che torreggiava su di me, con un enorme cappello pieno di fiori a coprirle la testa ingrigita.
«Signore sono io» mi disse in modo gentile. «Sta bene?»
Mi guardai intorno. Ero in un angolo della mia stanza. Le persiane erano spalancate, la luce del giorno inondava la finestra. Il letto era disfatto, l’orologio in mille pezzi in un angolo, e alcuni libri giacevano dimenticati al suolo.
«Che ore sono?» chiesi, e non riconobbi la mia voce.
«È mezzogiorno passato, signore» mi rispose la donna. «È ora di alzarsi.»
«Dove sono i miei genitori?» li avevo quasi dimenticati, ora ero stato colto da un’angoscia profonda.
«Signore», la donna sembrava corrucciata, «i suoi genitori sono morti da anni, non lo ricorda?»
«Mio Dio…» Mi portai le mani al viso piangendo, ma in cuor mio mi sembrò di aver sentito quella frase centinaia di volte.
«Venga con me signore» La donna mi aiutò ad alzarmi. «Ha bisogno di riposare. Ha di nuovo dimenticato di prendere le sue medicine, non è vero?»
«Non me lo ricordo» piagnucolai.
«Non si preoccupi. Ora ci penso io.» Mi sorrise. «Ah, dimenticavo. Le ho portato un nuovo libro.»


 
Top
Elio Err
view post Posted on 22/11/2012, 23:36




non mi è ben chiara la formattazione dell'ultima parte:

CITAZIONE
«Signore...»
Una voce di donna mi arrivava alle orecchie come un’eco lontana. Gli occhi si abituarono alla luce e vidi una signora robusta che torreggiava su di me, con un enorme cappello pieno di fiori a coprirle la testa ingrigita.
«Signore sono io» mi disse in modo gentile. «Sta bene?»
Mi guardai intorno. Ero in un angolo della mia stanza. Le persiane erano spalancate, la luce del giorno inondava la finestra. Il letto era disfatto, l’orologio in mille pezzi in un angolo, e alcuni libri giacevano dimenticati al suolo.
«Che ore sono?» chiesi, e non riconobbi la mia voce.
«È mezzogiorno passato, signore» mi rispose la donna. «È ora di alzarsi.»
«Dove sono i miei genitori?» li avevo quasi dimenticati, ora ero stato colto da un’angoscia profonda.
«Signore», la donna sembrava corrucciata, «i suoi genitori sono morti da anni, non lo ricorda?»
«Mio Dio…» Mi portai le mani al viso piangendo, ma in cuor mio mi sembrò di aver sentito quella frase centinaia di volte.
«Venga con me signore» La donna mi aiutò ad alzarmi. «Ha bisogno di riposare. Ha di nuovo dimenticato di prendere le sue medicine, non è vero?»
«Non me lo ricordo» piagnucolai.
«Non si preoccupi. Ora ci penso io.» Mi sorrise. «Ah, dimenticavo. Le ho portato un nuovo libro.»

prima dopo le virgolette c'è la lettera minuscola, poi viene usata la lettera maiuscola.. io credo sarebbe meglio usare sempre la minuscola dopo le virgolette. poi nell'ultima frase credo sia più giusto che il punto stia dopo le virgolette e non all'interno, cioè «Ah, dimenticavo. Le ho portato un nuovo libro».
Cosa ne pensate?
 
Top
view post Posted on 23/11/2012, 12:14
Avatar

Fabrizia

Group:
Administrator
Posts:
862

Status:


Per il punto dentro o fuori dalle virgolette dipende dalla convenzione usata nei dialoghi, io ho deciso di seguire questa, uniformando tutti i racconti:
https://abaluth.forumfree.it/?t=61610115

Per quanto riguarda minuscola e maiuscola si usa la minuscola quando la battuta e il testo seguente fanno parte della stessa frase, come
«Signore sono io» mi disse in modo gentile.

si usa invece la maiuscola quando si tratta di due frasi diverse, perchè il testo descrive un'azione, legata alla battuta ma non da un verbo "dire", come in:
«Mio Dio…» Mi portai le mani al viso piangendo

Però con la tua osservazione mi hai fatto notare un paio di cose che mi erano sfuggite:
«Dove sono i miei genitori?» li avevo quasi dimenticati,
che deve essere
«Dove sono i miei genitori?» Li avevo quasi dimenticati,
e
«Venga con me signore» La donna mi aiutò
che deve essere
«Venga con me signore.» La donna mi aiutò

Quindi il tutto diventerebbe:

«Signore...»
Una voce di donna mi arrivava alle orecchie come un’eco lontana. Gli occhi si abituarono alla luce e vidi una signora robusta che torreggiava su di me, con un enorme cappello pieno di fiori a coprirle la testa ingrigita.
«Signore sono io» mi disse in modo gentile. «Sta bene?»
Mi guardai intorno. Ero in un angolo della mia stanza. Le persiane erano spalancate, la luce del giorno inondava la finestra. Il letto era disfatto, l’orologio in mille pezzi in un angolo, e alcuni libri giacevano dimenticati al suolo.
«Che ore sono?» chiesi, e non riconobbi la mia voce.
«È mezzogiorno passato, signore» mi rispose la donna. «È ora di alzarsi.»
«Dove sono i miei genitori?» Li avevo quasi dimenticati, ora ero stato colto da un’angoscia profonda.
«Signore», la donna sembrava corrucciata, «i suoi genitori sono morti da anni, non lo ricorda?»
«Mio Dio…» Mi portai le mani al viso piangendo, ma in cuor mio mi sembrò di aver sentito quella frase centinaia di volte.
«Venga con me signore.» La donna mi aiutò ad alzarmi. «Ha bisogno di riposare. Ha di nuovo dimenticato di prendere le sue medicine, non è vero?»
«Non me lo ricordo» piagnucolai.
«Non si preoccupi. Ora ci penso io.» Mi sorrise. «Ah, dimenticavo. Le ho portato un nuovo libro.»


 
Top
Elio Err
view post Posted on 23/11/2012, 13:58




se è questa la convenzione che seguite per me va bene ..
 
Top
view post Posted on 23/11/2012, 14:15
Avatar

Fabrizia

Group:
Administrator
Posts:
862

Status:


Ok :)


 
Top
38 replies since 28/10/2012, 14:54   520 views
  Share