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Il Riflesso - Mariano Gatti, Consigliato l'ascolto di: Chopin Nocturne no.20

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view post Posted on 6/11/2012, 16:07
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Lessico, grammatica, tono, ambienti, personaggi, situazioni, tutto mi suggerisce '800, siamo nell'800. Perfino l'avatar dell'autore. Direi che questo racconto appartenga al genere gotico classico. Ottima la successione degli eventi, mai tediosa, e il tema, con perfetto accostamento del carattere del protagonista con la meccanica dell'incidente mortale. Però siamo ormai nel secolo XXI e anche la scrittura non può rimaner ferma al passato, anche se elegante ed efficace.
Non ho capito perchè il burocrate segna con un puntino rosso le monete che porta nel borsello.
 
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francesca vernazza
view post Posted on 10/11/2012, 21:56




Ciao il tuo racconto mi è piaciuto, non ho notato nessun errore.

Secondo me è scritto bene anche perchè l' hai scritto con un linguaggio ricercato che fa apprezzare ancora di più la storia.!!!!!! :D
A me ha messo anche tanto i brividi!!! :D
Buona fortuna !!!!!!!!!!!! e in bocca al lupo!!!!!!! :D
 
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view post Posted on 22/11/2012, 22:53
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Fabrizia

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Non so come sia potuto accadere.
Eppure son sempre stato un tipo metodico, regolare, attento a ogni minimo dettaglio. Pensate un po’ che se mi chiedeste cosa farò tra una settimana a quest’ora saprei rispondervi in maniera a dir poco brillante, elencando ogni minimo particolare della giornata. Questa mia dote, o meglio questa mia ossessione, questa malattia, mi ha sempre portato a cercare, trovandolo infine, un lavoro – tra l’altro anche ben retribuito – da bibliotecario.
Annoverare, rilegare e organizzare son da sempre stati la mia passione, tant’è che da piccolo mi affibbiarono l’adorabile soprannome di “piccolo burocrate”. Dio! Adoravo essere chiamato così.
Quando venivano a farci visita gli amici o i parenti catalogavo tutti e anche quando questi decidevano di passare con noi il Natale – ma anche le altre festività – ero sempre io ad assegnare a tutti compiti e mansioni. Sempre io a stabilire dove si sarebbero dovuti sedere per la cena, chi avrebbe affettato il tacchino, chi proposto il brindisi, chi fatto i complimenti alla cuoca per le ottime pietanze gustate... e allora come è potuto accadere?
Se è vero che sono così attento a tutto – e credetemi lo sono – non è possibile che si sia verificata una tale disgrazia qui, in casa mia, senza che io non l’abbia prevista in precedenza. Senza che io sapessi già tutto prima ancora che accadesse.
Può darsi che sia pazzo. Può darsi che voglia addossarmi colpe che non ho, ma più ci penso e più sono convinto nell’affermare che la causa della maledizione che ha colpito questa casa è mia, mia e mia soltanto.
Forse voi che leggete questo mio diario potete aiutarmi. Si! Voi di sicuro potrete rassicurare quest’anima in pena. Vi prego! O questo maledetto demone mi porterà per sempre via con sé.
Vi spiegherò come sono andati i fatti e lascerò a voi l’ardua sentenza.

Conobbi mia moglie in tenera età, quando le preoccupazioni di questo mondo ancora non mi spaventavano.
Me ne innamorai subito, al primo sguardo e ricordo che lì, alla stazione, non appena posai gli occhi sulla sua graziosa figura, su quel suo splendido vestito nero a pois bianchi, capii che non avrei mai amato altra donna che lei.
Seppur il nostro fosse un matrimonio combinato sono sincero nell’affermare che non avrei potuto trovare, in vita, una donna migliore di lei. Una donna che mi facesse sentire importante e amato così come mi sentivo ogni volta che ero in sua presenza. No, non avrei potuto trovare niente di così sublime neanche se l’avessi scelta io di persona, e ringrazio il Signore per la sua misericordia ogni volta che ci penso.
Amava la letteratura, l’arte e il teatro, ma la cosa che più di tutte la entusiasmava era di sicuro la pittura. Oh! Quanto vorrei che poteste vedere un suo quadro. Quelle sue pennellate sublimi. Su quella tela bianca, immacolata, riusciva ogni volta a imprimere la sua anima candida, ma al contempo forte e decisa. Aveva molte passioni, ma per fortuna di tutti i suoi amori quello più grande ero io.
Ci sposammo non appena raggiungemmo la maggiore età e quando finalmente andammo ad abitare nella nostra casa cominciò il periodo più bello e gratificante di tutta la mia vita.
Ogni volta che tornavo dalla biblioteca lei era sempre sull’uscio ad attendermi pronta a mostrarmi qualche nuovo dipinto o qualche sonetto appena composto e io, ogni volta, ero sempre sul punto di piangere dall’emozione. Ero davvero felice. Malgrado la mia malattia riuscii – in quegli anni – a vivere la mia vita con serenità e tutto solo grazie a lei.
Com’era possibile che la vita, così ingrata e meschina, m’avesse fatto dono di una così pregiata rarità?
Passarono gli anni e le cose tra di noi non fecero che migliorare.
Ogni giorno era sempre più bello di quello precedente. Le chiacchierate in giardino sempre più stimolanti e interessanti. La casa, inoltre, era sempre piena del calore dei nostri amici e le festività rappresentavano sempre lieti eventi nei quali riunirci per assaporare il dolce gusto della vita.
Non v’era nulla al mondo che avrebbe potuto intaccare un rapporto così puro e sincero. Nulla! O almeno questo era il mio pensiero, ma devo a malincuore ammettere che mi sbagliavo e un giorno, infatti, cambiò tutto.

Una sera, dopo aver cenato, mia moglie mi diede una notizia che per chiunque su questa terra, eccetto me, sarebbe stata motivo di gioia e conforto infiniti: era incinta.
Non saprei descrivere con precisione cosa pensai nell’istante stesso in cui mi fece quella rivelazione. Di certo posso affermare che non fu piacevole, tutt’altro, fu a dir poco irritante ed ella dovette accorgersi di questa mia riluttanza poiché all’improvviso si rattristò, forse proprio a causa della mia espressione di disgusto.
Non prendetemi per un mostro, non è che non mi piacciano i bambini. È solo che credo nell’amore tra due persone e penso che quando se ne intromette una terza – seppur sangue del proprio sangue – le cose comincino a cambiare. Gli equilibri della coppia vengono spezzati e le speranze lasciano il posto alle preoccupazioni. Allora tutto cambia, niente resta come prima ed è proprio quello che avvenne.
Lei non l’ha mai voluto ammettere, ma dal giorno che scoprì di essere incinta le cose tra di noi cominciarono miseramente a precipitare.
Non dipingeva quasi più e perse interesse per l’arte e la letteratura. Smise di scrivere poemi d’amore e cominciò a evitare la compagnia di chiunque, anche dei nostri più cari amici.
Stava, pian piano, isolandosi dall’intero mondo e io non ne capivo il motivo.
Per quanto riguarda me, invece, venni all’improvviso privato di tutto l’amore ch’ella m’aveva donato sino a quel maledettissimo giorno. Ormai l’unica cosa di cui le importasse era quel bimbo, frutto della discordia, che le cresceva in grembo.
Possibile che da un giorno all’altro tutto l’amore che si prova per una persona possa svanire così velocemente? Possibile che tutta la passione e tutti i sentimenti che si avvertono nell’anima possano azzerarsi da un giorno all’altro? No! Non è possibile. Sono fermo e sicuro nell’ammettere che se capitasse una cosa del genere, se una persona all’improvviso non dimostrasse più il suo amore, vorrebbe dire che, in realtà, non ha mai amato.
Dunque lei non era più la donna di cui mi ero innamorato e cominciarono allora ad assalirmi degli oscuri pensieri. Se non mi amava più, se non mi aveva mai amato, io non volevo più vederla. La sua sola presenza era per me motivo di angoscia e frustrazione. I suoi passi, il suo respiro, le sue parole, ormai mi erano divenuti insopportabili.
Soffrivo troppo e cominciarono, ahimè, le liti.
Dapprima furono solo rare quanto insignificanti sfuriate di odio. Poi, col passare del tempo, divennero sempre più frequenti, sempre più violente. Una volta, addirittura, fui quasi sul punto di colpirla al capo con un vaso ma per fortuna riuscii a fermarmi in tempo.
Per quanto potessi detestare il fatto che non mi amasse più e per quanto male mi facesse ogni giorno, io continuavo ad amarla. Io l’amo ancora. Per questo credo di non averla uccisa io... no! Sono sicuro di non essere stato io.
Si è trattato solo di un fortuito incidente. Nessuno ha colpe. Nessuno! E prima di giudicare lasciate che vi spieghi come sono andate le cose.
Dopo l’ennesima violenta lite io e mia moglie decidemmo, di comune accordo, di separarci. Lei avrebbe per sempre lasciato quella casa ed avrebbe portato la sua ingrata figura – nonché quella del maledetto demone, causa di tutto – via dalla mia vita.
Purtroppo però accadde il peggio.
Mentre attendevo che scendesse le scale per darle un ultimo saluto – tutti ne meritano uno – scivolò su qualcosa e precipitò per l’intera scalinata.
Morì sul colpo e con lei, ovviamente, morì anche quell’abominio.
La cosa strana fu che osservare il suo corpo senza vita in una pozza di sangue non mi turbò più di tanto. Anzi, non lo fece affatto. Non quanto mi angustiò, invece, un macabro particolare che rinvenni sulle scale: tre monete.
Che rilevanza poteva avere il ritrovamento di quelle monete? Erano mie. Sì! Ne sono sicuro.
Dovete sapere che, a causa della mia malattia, ogni volta segno con un puntino di pittura rossa tutte le monete che porto nel borsello e quelle che trovai quel giorno, purtroppo, erano state tutte segnate.
Come si erano venute a trovare sulle scale? E se fosse scivolata su di esse? Questo avrebbe fatto di me un assassino.
Non è possibile che me le avesse rubate, mia moglie non conosceva il posto dove nascondevo il borsello. Eppure erano le mie.
Possibile che le avessi messe lì di proposito per ucciderla e non lo ricordo? No. É impossibile.
Sì, è vero, mi aveva fatto soffrire come un cane. È vero che mi aveva umiliato in più occasioni e straziato il cuore come nessuno fece mai prima di lei, ma io l’amavo ancora, ve lo giuro. Io l’amo ancora!
No! Non posso essere stato io. No! Non sarei mai potuto arrivare al punto di ucciderla. Non ne sarei mai stato capace. È impossibile!
La portarono via mentre io, sbigottito e incredulo, osservavo ancora con attenzione quei maledetti dischi d’oro.
Se n’era andata per sempre.

Sono ormai trascorsi nove anni dalla sua morte e in questo lungo periodo non ho fatto altro che lasciarmi morire su questo marcio materasso che presto, spero, diverrà la mia tomba.
In tutti questi anni ho sempre cercato di dare una risposta agli interrogativi che ancora mi tormentano non trovando, tuttavia, ancora alcuna risposta.
Quel demone attende che io lo ammetta, che io confessi il mio omicidio.
Ma non posso farlo. Non posso esser stato io!
Eppure, come vi ho detto prima, sono un uomo morboso e preciso. Un assassinio del genere può essere partorito solo da una mente fine e precisa come la mia. Inoltre, ho scoperto che quelle tre monete se disposte una vicina all’altra come a formare una linea orizzontale combaciano con il diametro della pianta del piede della mia povera e defunta consorte.
Chi altri, se non io, avrebbe potuto pensare una cosa del genere?
Chi avrebbe avuto l’accortezza di posizionare quei cerchi lucenti nell’esatto punto in cui ella avrebbe poggiato il piede e firmato così la sua condanna a morte?
Solo io. Ma non è così!
Questi sono i fatti. Ve li ho riproposti nella maniera esatta in cui si sono svolti. Vi prego ora! Se vi siete fatti un’idea, se avete scoperto cos’è realmente accaduto, vi imploro di riferire la vostra sentenza a questo demone. Lasciate che sappia. Sono nove anni ch’egli mi osserva, inquisitore, ogni volta che mi avvicino ad uno specchio.


 
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Dumah
view post Posted on 22/11/2012, 23:46




Come mai hai fatto ciò? :P
 
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view post Posted on 23/11/2012, 12:03
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Fabrizia

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