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L'isolamento - Francesco Corigliano

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RedRedemption
view post Posted on 2/11/2012, 18:51




Aggiornato :)
 
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rafmontes
view post Posted on 2/11/2012, 21:37




Ciao,
concordo con i miei amici e soprattutto con davide. però non è scritto male, anzi.
infine non mi piace il finale
scusami
rafmontes
 
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RedRedemption
view post Posted on 2/11/2012, 21:53




Credi che il finale sia migliorato rispetto alla precedente versione?
 
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marcosanti74
view post Posted on 3/11/2012, 02:43




Ciao, RedRedemption.
Domanda: Perché è in galera questo uomo? Cosa ha fatto?
Ti spiego il perché della mia domanda.
L'uomo da te descritto non sembra un carcerato, ma una femminuccia(scusatemi donne;)).
Il carcerato, sopratutto se portato in isolamento, non è uno stinco di santo. Quindi, immagino che abbia visto e provato molto dolore nella sua vita. E quindi mi stona tutta questa paura.
Se tu avessi accennato all'uomo che era prima di entrare in carcere o detto semplicemente "ero un commercialista impicciarolo", io, lo avrei visto fin da subito come tu l'hai descritto, e non mi avresti mandato in confusione :D
Credo, purtroppo, che il problema più grave non sia questo, ma bensì un finale che non mi convince affatto.
Hai descritto bene.
Sei avanzato lentamente nel buio e poi...alla fine? il colpo di scena dov'è?
Sei tu che mi hai portato a pretenderlo.
Mi porti all'eccitazione maggiore e poi…? Tutto qua , è solo paura del buio?
Tutto quello che ti scrivo è un mio parere personale, e se lo faccio così "focoso", è perché credo che il tuo sia un racconto con delle potenzialità, ma che il finale le stronca.
Pensaci su, c'è ancora tempo.
Ciao e in bocca al lupo
 
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rafmontes
view post Posted on 3/11/2012, 08:28




Ciao,
sì, decisamente preferisco questo finale,
bravo!
rafmontes
 
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RedRedemption
view post Posted on 3/11/2012, 12:34




La chiarezza non rientra negli intenti di questo racconto. Come già detto in altri commenti, credo che sapere chi sia quest''uomo, e perché venga trattato così, non serva a rendere migliore il testo. Ciò su cui volevo concentrarmi sono la sua solitudine e le sensazioni che prova sapendo che - e questo credo di averlo reso più chiaro, almeno un minimo, rispetto alla precedente stesura - non è solo nella cella, e che ciò che è con lui nella stanza gli sta andando addosso.
Oltretutto, mi sembra che adesso il finale sia un minimo più incisivo, e meno vago di quello precedente. Forse sbaglio.
Comunque, ci penserò ancora, anche se non penso di voler cambiare ulteriormente :\ grazie però per i suggerimenti ^^
 
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justadream12
view post Posted on 3/11/2012, 23:47




Red, ho letto il tuo racconto dopo la modifica e l'ho trovato impeccabile o quasi.
Sicuramente alcune imprecisioni le hai corrette, su suggerimento dei compagni, molto puntuali e precisi.
A me non resta che dirti che non solo ho avuto i brividi ma ho proprio tremato. Il buio denso e imperscrutabile è quanto di più pauroso ci sia la mondo (hai visto "Il silenzio degli innocenti"?). Il buoi non ti da alcuna chance, non ti permette di valutare le distanze, il tuo nemico o quant'altro si trovi in esso.

Belle e azzeccate le descrizioni e gli stati d'animo, di cui quelle che preferisco:
1.
CITAZIONE
Incassate nelle fondamenta dell’edificio, le segrete erano la zona più antica, secondo alcune stime risalente addirittura all’alto Medioevo; stanzette minute, a volte scavate direttamente nella roccia, umidissime e puzzolenti. Laggiù si respirava un’aria stantia, rafferma, quasi fosse sempre la stessa da quando il convento era stato trasformato in carcere, secoli addietro.

2.
CITAZIONE
In pochi istanti, ancora con l’orecchio teso ai suoni al di là della porta, si riconobbe completamente e assolutamente solo.

Magistrale questo stringersi delle parole, spezzarsi delle frasi, ripetizioni. Tutto volto a creare nel lettore l'angoscia:
CITAZIONE
Passo, e passo. Non sembrava neanche che i rumori si avvicinassero. Forse non erano passi, forse era davvero qualcos’altro, di esterno alla cella. L’idea portava un insospettabile sollievo; essere solo, lì dentro, gli sembrava la cosa migliore al mondo. Solo, assolutamente solo, senza nessuno che camminasse. Chi aveva bisogno di qualcuno, lì? Era solo. Era solo?
No. Sentiva distintamente, e non con l’udito, che qualcuno c’era. E che in realtà si avvicinava. Avvicinava.
Si ritrovò a camminare ancora, anzi a correre lungo il muro verso la porta. Non poteva controllarsi, e riconobbe di essere nel panico. Dimenticò anche di mettere una mano avanti a sé.

;

Un morto che avanza, poi, una trovata davvero astuta:
CITAZIONE
Non potevano vederlo, certo; ma il rumore? Il suo stesso camminare e la botta contro il muro e la sua voce e tutto quel girare di testa…i passi, tanti, più di una persona, più d’un morto avanzare, correre ora verso di lui.

Bravo, bravo e bravo. Che dire di più?
Ottimo racconto.
 
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trama83
view post Posted on 5/11/2012, 15:08




Ciao Red! Il tuo racconto è piuttosto ansiogeno, l´ho letto stanotte e, seppur assonnata, son arrivata alla fine, quindi sei riuscito a mantener vivo l´interesse! Solo che poi non spieghi niente, ho letto che è quello che volevi e forse è anche azzeccato ma io ho bisogno dei "perché"! (mio limite di donna!).
In bocca al lupo!
 
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view post Posted on 6/11/2012, 04:24
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Trama e personaggi: ottimo
Grammatica: eccellente
Corrispondenza alla traccia e al genere prescelto: ottimo
Giudizio finale esteso: Scritto molto bene, giusto qualche d eufonica impicciona e nulla più! Molto interessante la trama, e interessante anche il tuo modo di creare i richiesti brividi, ovvero dilungandoti in descrizioni che potrebbero sembrare rallentare la storia ma, a mio avviso, ciò non succede perché mi hai anticipatamente portato con te e il secondino in isolamento, e quindi sto vivendo insieme a voi l'angoscia del momento. In questo caso, più ti dilunghi, più mi fai rabbrividire.
Un'ottima prova, sicuramente tra i migliori racconti in gara :)
 
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RedRedemption
view post Posted on 6/11/2012, 13:07




Grazie a tutti per i commenti, siete gentili e precisi. Sono molto contento :)

@justadream, il film l'ho visto quand'ero piccino e mi aveva abbastanza inquietato! Ma non lo ricordo bene :\
 
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view post Posted on 6/11/2012, 14:48
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Ottima scrittura, buona evocazione dell'orrore della situazione, attesa di qualcosa di terribile che dovrà succedere, ma che non succede. Prigioniero troppo docile, carceriere troppo educato. Finale troppo tranquillo. Il prigioniero si limita a non snetire più niente. Ci si aspettava una morte più orribile. Il racconto lascia la bocca insoddisfatta, come sentire odore d'arrosto e poi sul piatto ti portano il lesso.
 
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luciastefania
view post Posted on 10/11/2012, 16:58




ciao!
ero convintissima di aver commentato questo racconto ed invece... effettivamente no!
Questa seconda versione si legge più velocemente. Anche la prima non era male ma c'erano troppe ripetizioni. Vedo che nonostante tutto hai voluto tenere il Voi tra carceriere e carcerato :lol:
è scritto molto bene, molto e ammetto con invidia che un paio di passaggi, come ad esempio quando sente "il suono" nonchè l'idea dei passi, che cominciano un po' alla volta e poi si moltiplicano mi sono piaciuti TANTO!
ti posso solo criticare "negativamente" su due cose: manca ancora una vera e propria conclusione ma questo è quanto volevi, ormai l'abbiamo capito e seconda cosa, direttamente collegata a quest in realtà, sembra tutto una gran bella prefazione ad un racconto, non un racconto in se!
Però mi piace e credo proprio di votarti!
 
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francesca vernazza
view post Posted on 10/11/2012, 22:26




Ciao a me piace più questa che la vecchia versione!!! :)
La storia mette i brividi già all'inizio quando non si capisce perchè lo mettono in isolamento, e anche l'ambientazione fa venire paura. :)

Solo che potevi far succedere qualcosa di più alla fine,
Per il resto è scritto bene e non ho notato errori. :D
Buona fortuna :D
 
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view post Posted on 22/11/2012, 22:30
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Fabrizia

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«In isolamento, vi dico.»
«Ma perché?»
«Sentite, non è colpa mia, va bene? Hanno ordinato così. Andiamo.»
La guardia lo afferrò dalla collottola, tirandolo su, e lo costrinse a camminare; percorrendo il corridoio, le catene che si trascinava dietro facevano un gran fracasso.
«Forza,» fece il carceriere, «non rendete le cose peggiori di quel che già sono. Muovetevi. È tardi.»
«La fate facile, voi. Sono io quello col ferro ai piedi. E voi non volete dirmi il perché dell’isolamento…»
«Perché, perché» ribatté l’altro, fermandosi ad aprire una porta e spingendo avanti il prigioniero, «sapete meglio di me come funziona qui. Non c’è sempre un perché. Ora, scendete.»
La porta dava su una piccola stanza, illuminata a malapena da una minuscola grata; nel pavimento si apriva invece una scala a chiocciola che scendeva giù, nelle profondità delle segrete. Lui ci era già stato e non gli piacevano proprio: per quanto potesse essere sgradevole una cella, la sua era di certo preferibile alla zona sotterranea del vecchio carcere. Incassate nelle fondamenta dell’edificio, le segrete erano la zona più antica, secondo alcune stime risalente addirittura all’alto Medioevo; stanzette minute, a volte scavate direttamente nella roccia, umidissime e puzzolenti. Laggiù si respirava un’aria stantia, rafferma, quasi fosse sempre la stessa da quando il convento era stato trasformato in carcere, secoli addietro.
E ora lo prendevano dalla sua cella e lo cacciavano lì dentro. Perché?
Era vero che la politica della prigione era strana, ultimamente; gente presa e spostata in altri locali, gente liberata, gente sparita nel nulla. La cosa inquietava un po’ i prigionieri, e già avevano iniziato a girare storie su scambi di persone, omicidi, anche una vecchia leggenda su certi riti oscuri praticati nel convento medievale…ma in tempo di guerra, si sapeva, c’era sempre una gran confusione e una gran voglia di chiacchierare.
Giunsero alla fine della scala, e presero il vecchio corridoio che conduceva alle celle; vide molte porte chiuse, segno che altri erano stati portati in isolamento.
Meccanicamente si fermò davanti alla prima porta aperta, sicuro che gli toccasse entrare; ma la guardia lo spinse oltre.
Lo condusse per altri corridoi, androni, sale; non avrebbe mai detto che i sotterranei del carcere potessero essere così estesi.
E iniziò ad inquietarsi. Se prima era quasi seccato dal doversi sorbire qualche giorno d’isolamento, ora la noia faceva posto alla paura e a tutte quelle storie sulla gente scomparsa nel carcere; certo, quando c’era un’esecuzione lo si sapeva subito… ma se le guardie avessero voluto far tutto di nascosto? Se l’avessero ucciso lì, e basta? Perché poi?
La guardia continuò a guidarlo per anfratti e cunicoli, finché non giunsero ad un’altra scalinata; diritta, scendeva in profondità e nel buio. Il carceriere prese una torcia dal muro, e sguainò il coltellaccio che portava legato alla cinta.
“Ecco,” pensò il prigioniero, “adesso mi ammazzano qui e mi lasciano a marcire nei sotterranei”, e stava già per urlare.
Ma l’altro lo anticipò. «Scendete, per favore.»
«Dove mi portate?»
«In isolamento. Scendete, per favore.»
«Volete uccidermi?»
«Oh, ma che dite? Ve l’ho detto, andate in isolamento.»
«Ma le celle vuote, prima…»
«Sentite, vi ho già chiesto cortesemente di non rendere le cose più pesanti. Vi assicuro che non devo uccidervi.»
«E il vostro coltello, allora?»
«È per precauzione.»
«Per cosa?»
«Per favore, non costringetemi a usare la forza. Scendete.»
Titubante e dubbioso, iniziò a scendere le scale. I gradini erano umidi, ricoperti di muffa, ma si capiva che erano di una pietra diversa rispetto al resto delle segrete. Mattoni più grossi, più chiari.
Incespicò un paio di volte nelle proprie catene, trattenuto dalla guardia che gli impedì di cadere. La discesa continuò per un bel po’, alla sola luce della torcia; poi, giunti alla fine, la guardia lo spinse ancora oltre l’ultimo gradino, sul pavimento anch’esso in mattoni, davanti ad una porta di legno dall’aspetto vetusto.
«Lì,» disse la guardia tirando l’anta, «lì dentro. Entrate.»
«Fa freddo qui sotto.»
«Vi porterò una coperta, dopo. Ora entrate.»
Si fece coraggio e varcò la soglia, immergendosi nel buio più completo. Non c’era assolutamente nessuna fonte di luce nella stanza, e la torcia del secondino riusciva appena a illuminare l’ingresso. Stava già per voltarsi e chiedergli di portarlo altrove, quando la porta si richiuse alle sue spalle lasciandolo da solo nell’oscurità.
L’aria puzzava di vecchio e l’umidità pareva raggiungere direttamente le ossa; nel buio completo l’uomo si avvicinò alla porta, tastando il legno. Udì i passi della guardia allontanarsi, su per le scale, perdersi lontano.
In pochi istanti, ancora con l’orecchio teso ai suoni al di là della porta, si riconobbe completamente e assolutamente solo. Solo, in una cella vecchia centinaia di anni, sotto chissà quanta terra e quanta pietra, in un posto in cui avrebbe dovuto passare chissà quanto tempo.
Intuì di stare già tremando, più per la tensione che per il freddo. Ancora in piedi davanti alla porta, cercò di calmarsi e di razionalizzare la situazione.
“Bene,” si disse, “ti hanno messo in isolamento, in una cella vecchia e buia in cui dovrai restare un bel po’. Di solito si tratta di due o tre giorni, ma è meglio non farsi illusioni. Ora, resta tranquillo, e inizia a vedere quant’è grande questo posto.”
L’idea di rendersi conto della larghezza del luogo gli piacque molto, gli sembrò un buon punto di partenza per iniziare a passare il tempo.
Fu con una certa determinazione, quindi, che prese a tastare il muro subito alla sua destra, tenendosi la porta alle spalle. Avanzò camminando piano, tenendo una mano davanti a sé e una sulle vecchie e muffose pietre. Dopo cinque passi incontrò l’altra parete, l’angolo; fece lo stesso percorso in senso opposto, ripassando davanti alla porta, incontrando l’altro muro a distanza uguale.
“Sembra,” considerò, “che la stanza sia quadrata, o al massimo rettangolare.”
Dall’angolo scelse di seguire il muro, per capire quale fosse la lunghezza della camera. Avanzò quindi nella stessa maniera, aspettandosi di trovare il fondo della stanza dopo quattro o cinque passi.
L’aria stantia iniziava a pesargli nel petto, il respiro gli veniva a fatica; e si innervosì lievemente quando si accorse che la stanza era più grande di quel che potesse aspettarsi. Aveva già fatto almeno una decina di passi, infatti, senza incontrare né muri né ostacoli di alcun tipo. Perché metterlo in isolamento in una cella così grande? Da solo, poi…
Continuò a camminare: quindici, venti, venticinque passi e ancora il fondo non si vedeva. O meglio, non si toccava, dato che il buio lì dentro era assoluto. Gli venne in mente che forse la stanza aveva pianta irregolare, e immaginò che dal muro opposto a quello che ancora toccava con la mano partisse una parete obliqua, che andasse a chiudersi in diagonale davanti a lui, sicuramente a poca distanza, ormai, tre, al massimo quattro passi…
Invece ne fece altri dieci, di passi, e non trovò nulla.
Si fermò. Chiaramente c’era qualcosa di sbagliato, in quella cella. Forse non era proprio una cella d’isolamento, forse era un magazzino, o una cisterna riadattata… o una cisterna e basta. Ma perché metterlo lì? Da solo. Ripensò ancora una volta alle storie sui prigionieri spariti nel nulla, dimenticati negli anfratti della prigione. Baggianate.
Eppure? Perché era lì? Lì e non in una cella normale? Il respiro gli si fece ancora più pesante quando avvertì uno strano olezzo nell’aria; un tanfo sottile, acido, ben distinto dalla puzza di chiuso e di umido…
Lo disgustò abbastanza. E lo fece sentire ancora più affranto; ebbe l’impulso di buttarsi a terra e piangere, ma riuscì a trattenersi. “Piangerò vicino alla porta”, si disse istintivamente, e trovò la cosa stranamente rassicurante.
Si mescolavano in lui, infatti, la tristezza per la propria condizione di solitudine e l’inquietante sensazione di trovarsi in mezzo al nulla. Il contatto col muro era incredibilmente rincuorante, più di quanto gli sembrasse lecito aspettarsi da un muro. Del resto, non aveva mai trovato dei muri rincuoranti, prima di allora… neppure nel carcere normale, lì sopra.
Girò su se stesso e prese a fare la strada al contrario, in direzione della porta. Non poteva aprirla, sicuramente, ma era pur sempre l’unica cosa che rappresentasse il mondo fuori dalla cella; la cella, l’oceano di buio che al momento lo opprimeva così orribilmente. Trovò ulteriore conforto pensando al momento in cui ne sarebbe uscito, finalmente, e si sarebbe lamentato con la guardia di quel trattamento incredibile. Ammesso che gli fosse consentito protestare, certo.
Pensava e camminava, a ritroso accanto al muro. Poi sentì il rumore.
Un rumore alle sue spalle, indefinito, lontano, secco e veloce insieme. Senza rimbombo, o eco.
Concluse che fosse uno dei tanti rumori del vecchissimo edificio, o magari qualcuno che si muoveva ai piani di sopra… sempre che ci fossero dei piani di sopra, dato che per quanto aveva camminato con la guardia, si poteva dire che la cella fosse lontanissima dal nucleo centrale della prigione.
Nel buio, ancora, sentì un suono. Un rumore veloce, un passo.
“Chi c’è”, pensò.
«Chi c’è?» urlò, senza voltarsi, e un brivido gli percorse le ossa mentre aspettava la risposta.
Ma non udì niente; e intuendosi ancora i brividi addosso, avvertì una goccia di sudore percorrergli la schiena. Si aspettava forse una risposta, lì sotto? Se ci fosse stato qualcun altro lì dentro, lo avrebbe chiamato non appena lo avesse visto entrare nella stanza. E comunque, questo ipotetico qualcuno sarebbe sicuramente stato vicino alla porta. Indubbiamente. Immaginò una fine della cella, in cui l’altro prigioniero, seduto, fermo, sdraiato, immobile, lo aveva visto entrare e stanco per…
Ma ecco, un nuovo rumore, un nuovo passo. Sentì più forte l’odore disgustoso di prima. Forte, intenso, nauseante.
Si voltò, e «chi c’è» ancora disse.
La risposta fu, questa volta, un altro passo. E un altro. E un altro. Si accorse di avere iniziato a tremare e di stare anche ansimando. «Chi è là?», urlò.
Passo, e passo. Non sembrava neanche che i rumori si avvicinassero. Forse non erano passi, forse era davvero qualcos’altro, di esterno alla cella. L’idea portava un insospettabile sollievo; essere solo, lì dentro, gli sembrava la cosa migliore al mondo. Solo, assolutamente solo, senza nessuno che camminasse. Chi aveva bisogno di qualcuno, lì? Era solo. Era solo?
No. Sentiva distintamente, e non con l’udito, che qualcuno c’era. E che in realtà si avvicinava. Avvicinava.
Si ritrovò a camminare ancora, anzi a correre lungo il muro verso la porta. Non poteva controllarsi, e riconobbe di essere nel panico. Dimenticò anche di mettere una mano avanti a sé.
E di colpo sentì l’odore acido, fortissimo; poi si accorse di essere disteso a terra, con un forte dolore alla fronte una sensazione di calore sul volto.
Aveva battuto al muro, il muro dove stava la porta. Era vicino all’angolo, e nonostante un fortissimo giramento di testa riuscì a mettersi seduto e rannicchiarsi.
Gli sembrò di avere i sensi amplificati; perfettamente avvertiva il freddo delle pietre su cui poggiava le spalle, l’umidità dell’aria, l’odore, la puzza del suo sangue mista a quella dei cadaveri in putrefazione, e il suono di passi, passi che si avvicinavano. Passi, sicuramente passi, piedi nudi uno davanti all’altro nel buio.
Non potevano vederlo, certo; ma il rumore? Il suo stesso camminare e la botta contro il muro e la sua voce e tutto quel girare di testa… i passi, tanti, più di una persona, più d’un morto avanzare, correre ora verso di lui.
Ansimava, e tremava, e ansimava sentendo il sapore ferroso del sangue tra i denti. I morti!
I morti? Ma quali morti? Era da solo, lì. Nessun passo, nessun odore, solo la sciocchezza e la stupidità della paura… si ricordò della coperta che gli aveva promesso la guardia. Gli venne da sorridere, ma non lo fece.
Non poté proprio, in nessun modo, sorridere, e fissò soltanto il buio davanti a sé. Distintamente nell’oscurità quelli correvano, senza respirare, o ansimare anche loro, niente, senza emettere nessun suono se non quello degli odiosissimi passi.
Allora urlò, al limite dell’orrore; urlò, sperando che qualcuno lo sentisse, al di là della porta, al di là dei muri, la guardia, la coperta, lontano. Il suono della sua voce si perse nello scalpiccio di quei passi furiosi; e ancora, prima che i passi e l’odore gli fossero addosso, gridando e sempre chiedendo: «Chi c’è? Chi c’è?», sperò che almeno loro, almeno i morti gli rispondessero: «Tu! Ci sei tu!»
Ma non udì niente, proprio niente, mai più.


 
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RedRedemption
view post Posted on 23/11/2012, 00:40




Perfect :)
 
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45 replies since 16/10/2012, 14:28   535 views
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