Abaluth - Scrivere, leggere, arte e cultura

Questa notte

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view post Posted on 6/11/2012, 12:10
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Sado duro e puro, un po' troppo cruento per i veri amatori del sangue, che deve scorrere senza troppe ossa rotte. Mi sembra però che ti sei fermata a metà strada con le torture, una mezzoretta in più ci saebbe stata bene.
Mi è sfuggito qualcosa. Da dove salta fuori quel taglierino?
 
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francesca vernazza
view post Posted on 10/11/2012, 22:52




Ciao il tuo racconto è uno dei più spaventosi che ho letto finora, sei in pieno tema per il concorso. :D

Però come ha detto mezzomatto dovevi continuare ancora di più con le torture così avrebbe messo ancora più paura.
Direi che è scritto bene ed è anche
scorrevole. :D
Ti faccio i miei complimenti!!! :D
 
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view post Posted on 22/11/2012, 22:47
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Fabrizia

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«Propongo un brindisi.»
Lei si porta i capelli dietro le spalle con un gesto aggraziato della mano. «Volentieri.» Si allunga sul tavolino per afferrare la bottiglia di bollicine francesi. «E a che cosa?»
Con quel movimento le spalline del suo vestitino nero scivolano un po’ di lato, scoprendo centimetri seducenti. Quando torno sul suo viso la trovo a sorridermi, maliziosa, col braccio ancora sollevato in attesa della mia risposta.
«A te sarebbe scontato, a noi troppo azzardato.» Mi sporgo a mia volta per avvicinare i due calici. «Facciamo quindi a questa notte, che ha incrociato le nostre strade.»
Lei cerca qualcosa nei miei occhi e poi, convinta, riempie i bicchieri.
Approfitto di questi secondi per chiedere a me stesso quando mai mi capiterà ancora, due ore dopo aver aiutato una donna con la batteria del suv andata, di ritrovarmi disteso nel salotto di casa sua a bere un Dom Perignon accompagnato da salmone crudo.
«A questa notte allora» e mi porge lo spumante.
Faccio tintinnare i bicchieri, un po’ stordito dai riflessi del vino, da quelli del suo sorriso e da questa villa tutta vetri e punti luce.
«Può essere che questo mi stia già dando alla testa?» le chiedo agitando il bicchiere, giusto per far finta che il gioco lo stia reggendo io.
Lei ride portando la testa all’indietro e mostrandomi il suo collo sinuoso.
«È una delle tue avances?»
Faccio spallucce.
«Sicuramente meglio di quelle di prima, lungo la provinciale» continua lei, sorridendomi e reclinando la testa di lato.
“Sicuramente meno spudorata delle tue” vorrei dirle, ma mi limito a pensarlo.
«Vieni» fa lei sollevandosi come farebbe una piuma sospinta dal vento, «prendiamoci un po’ d’aria» e si avvia verso una terrazza.
Fuori tira una leggera brezza, piacevolmente tiepida. Lei mi indica qualche pianta che sta poco più sotto, nel giardino, ma io neanche l’ascolto, rapito dalle forme che assumono le sue labbra.
«Non so ancora come ti chiami» le chiedo interrompendola.
Lei si blocca, poi sorride. «Sofia.»
Mi avvicino d’un passo e lei d’improvviso corruga la fronte e si gira di scatto verso la vetrata.
«Che c’è?» faccio io.
«Non hai sentito?» bisbiglia lei.
Si affaccia sul salone.
«Veniva da di là.»
«Io non ho sentito nulla» confesso, ma le passo davanti ed entro in casa.
Le luci si spengono e piombiamo nel buio.
Sofia urla alle mie spalle e sento l’adrenalina infuocarmi. Resto immobile e tendo i sensi per captare rumori o movimenti.
Nulla.
Faccio per spostarmi e in quello sento qualcosa fendere l’aria: qualcosa di duro mi colpisce al volto e vacillo all’indietro. Mi accuccio portandomi la mano sul naso in preda a un dolore acuto.
Cazzo che male.
Un pezzo di legno! Mi hanno tirato addosso un soprammobile di legno.
Sento dei movimenti vicino a me.
Mi volto indietro per afferrare Sofia e scappare prima che questi ladri ci ammazzino o sequestrino, ma lei non c’è. Esco in terrazza muovendomi carponi più veloce che posso ma non è nemmeno qui.
Dio come fa male il naso, dev’essere rotto. Ora che son stati scoperti spero che se ne vadano.
«Aiuto!»
È Sofia e il grido sembra provenire dal piano superiore.
Chi sono ’sti pazzi? Potrei saltare giù dalla terrazza, è alta solo mezzo metro sopra il giardino. Ma perché farmi ammazzare per una che conosco appena?
Un altro urlo e un’altra richiesta di aiuto, seguita da un tonfo sordo.
No, non posso scappare e comunque di sicuro hanno un palo che li aspetta all’uscita.
Mi rialzo, stando aderente al muro.
Le luci del giardino mi rivelano una finestra in fondo alla lunga terrazza e mi ci fiondo subito: è spalancata, ecco da dove sono entrati. Scavalco e sono in un bagno. Mi sposto il più silenziosamente possibile e mi affaccio alla porta: dà su un corridoio alla cui fine c’è una scala che porta al primo piano. Controllo a destra e sinistra: nessuno.
Il cellulare, dove l’ho lasciato? È sul tavolo in soggiorno, merda.
Ma quanti saranno? Sento un liquido caldo sotto il mento: è il sangue che mi cola dal naso.
Ancora rumori dal piano superiore, ne approfitto e scivolo verso le scale. Salgo. La casa è davvero enorme… Sapessi almeno orientarmi. Giungo in un altro corridoio sul quale affacciano quattro stanze. Sento un urlo soffocato, mi giro per individuare da dove arriva e istintivamente mi riparo il volto col braccio: sembra un portafoto in argento quello che mi ha colpito e che ora cade giù per le scale. Riesco a vedere una figura che rientra in una stanza.
Almeno non sono armati. Mi faccio coraggio e corro in quella direzione. Arrivato alla porta mi affaccio e subito mi ritraggo per evitare di essere colpito. Prendo fiato per entrare ma dietro di me tuona un colpo di pistola, fortissimo e terrificante in quel buio silenzio.
La gamba, mi hanno sparato alla coscia sinistra. Cado in ginocchio. È la fine, lo so.

Nonostante i miei gemiti sento dei passi dietro di me. Mi ha sparato alle spalle, il maledetto. Ma non mi lascerò ammazzare così: punto un piede a terra per alzarmi ma esplode un altro colpo.
Mi schianto a terra.
Mi ha colpito alla spalla sinistra, se ancora ce l’ho. Non vedo più nulla, solo puntini rossi che danzano davanti agli occhi e dalla mia bocca non escono che rantoli soffocati.
Qualcosa si appoggia piano sulla spalla colpita, credo un piede.
«Vaff… ah!»
Non riesco a finire la parola che l’uomo mi sale sulla spalla.
«Fa male?»
Per un attimo quasi non sento più dolore: è una voce gentile a chiedermelo, femminile, è… Sofia?
Volto la testa di lato perché di più non riesco a muovermi. È vicina, con un piede nudo sopra di me e in mano una rivoltella che mi punta contro. Non vedo chi c’è dietro di lei, se c’è. Si abbassa e disegna un cerchio sulla mia guancia con la canna della pistola. Brucia, ma non è nulla in confronto al resto. L’immagine di lei si sfuoca mentre mi sorride. Si avvicina ancora di più e mi sussurra all’orecchio: «Non morire subito, devo ancora divertirmi…» e mi lecca il lobo dell’orecchio.
«Ma…»
«Sssh… Risparmia il fiato per urlare tesoro. Vado a prendere qualche giocattolo e arrivo subito.»
Guizza via, leggera come il suo vestitino nero, e la sento a malapena scendere le scale.
Non posso crederci. Se voglio vivere devo fare qualcosa. Provo ad alzarmi ma la spalla ferita non regge, ricado e sbatto il naso. Il dolore mi provoca le vertigini. Sento il cuore che pompa nel tentativo di tenere alta la pressione del sangue, provocando solamente un’emorragia più veloce. Uso la mano e la gamba buona per trascinarmi in una stanza, forse riesco a chiudermi dentro.
«Ma che fai?»
La sua voce mi sembra all’altezza del pavimento, credo sia ferma sulle scale.
«Che sciocchino, ora ci penso io.»
Vedo sempre più buio. A destarmi è ancora la sua voce.
«Eccomi qui!» civetta felice. «Così non andrai da nessuna parte.» Non riesco a girarmi ma sento qualcosa puntarsi sul piede della gamba buona e un attimo dopo rumore di ferro che batte sul ferro.
Urlo senza neanche accorgermene.
«Guarda cosa mi hai fatto fare» mi rimprovera, ma il tono è eccitato. «Come farò a spiegare questo buco nel parquet?» Si distende vicino a me, per guardarmi negli occhi.
«Dovrò chiamare un falegname» mi spiega, tenendosi il viso sollevato con un palmo; «e magari se sarà gentile potrò ringraziare anche lui a modo mio» continua con voce calda.
«Non uccidermi» riesco solo a dire.
Mi sorride e mi bacia sulla fronte. «Non subito. Pensa, ho acceso il camino giù, così posso scaldare i ferri e cauterizzarti le ferite. Resisti mi raccomando.» E si alza.
«Non sarai mica uno di quelli che si taglia la lingua a morsi per farla finita?» mi chiede con tono distratto mentre sento che si sposta attorno a me. «Perché strappare i denti con la tenaglia è un lavoraccio e vorrei evitarlo.»
I suoni dei suoi passi alle mie spalle sembrano rintocchi mortali. Si siede sopra la mia schiena, a cavalcioni. Il suo corpo caldo riscalda il mio, ormai quasi freddo.
Credo si stia accendendo una sigaretta.
Uno sbuffo.
Le sue mani si appoggiano al mio collo e cominciano a massaggiarlo.
«Sei così nervoso» e scende giù per la schiena, «ti perdi tutto il piacere.»
Si abbassa su di me e sento i suoi seni sulle spalle. Soffia il fumo verso di me.
«Così va meglio?» Mi spegne la sigaretta dentro l’orecchio. Cerco di colpirla con una testata ma vado a vuoto; continuo a dimenarmi per il dolore, la rabbia e la disperazione ma ottengo solo altra sofferenza.
Riappare davanti a me tenendo in mano un taglierino e un flacone di ammoniaca.
«Quale scegli?» mi chiede come se la decisione fosse tra una scarpa rossa e una nera.
«Allora?» mi sollecita impaziente.
«Le… ferite…» riesco solamente a biascicare, esausto.
«E va bene.» Molla tutto e scende giù, lasciandomi l’ombra del suo profumo.

Uso tutte le mie forze per rimanere cosciente, eppure a svegliarmi è l’ustione alla spalla che mi fa sobbalzare.
«Fermo» mi cantilena come fossi un bambino. L’aria è già satura dell’odore di carne bruciata.
«Sofia» riesco a bisbigliare.
«Dimmi.»
«Mi spiace… ma credo di … non farcela.» Riprendo fiato. «Posso chiederti…»
Tintinnano i ferri sul pavimento, si precipita accanto a me e mi fissa.
«Girami… e baciami.»
Sembra un po’ delusa. Dopo un po’ la sento fasciarmi la gamba, togliermi quello che mi aveva conficcato nel piede e bendarmi anche quest’ultimo.
Infila le mani sotto di me e con un sforzo mi fa ruotare prima sul fianco e poi sulla schiena.
Studia il mio volto, o meglio quella maschera di dolore che ne ha preso il posto.
«Pensavo di giocare un po’ di più, ho sbagliato a spararti due volte.»
«Baciami… poi fammi quello… che vuoi.»
S’illumina.
«Potrei cucirti le labbra! Se poi rompi i punti urlando ti bacerò ancora.»
Deglutisco e chiudo gli occhi. Sento i suoi capelli soffici sul mio collo e sul mio viso, e finalmente le sue labbra fresche poggiarsi sulle mie.

Libero il braccio buono, che tenevo sotto la gamba, e con tutta la forza che mi è rimasta sferro un colpo in direzione della mia faccia, sperando di colpirle il collo. Sento il taglierino che stringo nella mano entrare nella sua carne con rumore secco e liquido al tempo stesso.
Apro gli occhi e mi ritrovo nei suoi, spalancati e immobili. Credo che l’uno sarà l’ultima immagine dell’altra. Entrambi andati incontro alla morte alla ricerca di un sottoprodotto dell’amore.


 
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