| BAMBOLINE
Federica scende le scale a passo leggero, Alessandra è già sotto il condominio, tutta incappucciata, che l’aspetta. Sono entrambe in tenuta da jogging, scarpini e tuta da ginnastica, fascia di pile sulla fronte e adesivo catarifrangente all’avambraccio: pronte per correre i soliti 45 minuti in una fredda mattinata di dicembre. “Ciao Ale, scusa il ritardo!” “Ciao, tranquilla, sono appena scesa! Che freddo oggi!” “Sì, si gela, domani mi metto anche i guanti...” Iniziano l’allenamento camminando a passo spedito, si allontanano dal loro condominio e si lasciano alle spalle una vecchia fabbrica chiusa; all’incrocio imboccano la via che le porta alla pista ciclabile, direzione Portogruaro: la percorrono tutte le mattine alle sei, tre km all’andata e tre al ritorno, così ben illuminata e con un marciapiede alto e spazioso. Pian piano iniziano ad accelerare fino a correre a passo leggero: non sono due atlete, ma sono felici di aver scoperto questo metodo di rimettersi in forma insieme, senza spese. E’ inverno e non si arriva a zero gradi, il fiato congela appena esce dalla bocca, ma correre le fa sentire bene, sono felici, ridono e parlano per tutta la strada.
Io le guardo. Abito lì vicino, in una casetta bianca accanto al loro condominio. Dalla finestra della mia camera le vedo quando escono la mattina presto, al buio, tutte intirizzite dall’aria fresca. Poi quando tornano sono calde, vedo il vapore sprigionato dai loro corpi. Le continuo a guardare quando rientrano nel portone e penso che le vorrei davvero, le vorrei proprio tanto.
“Ale! Cosa ti succede?” Alessandra si è accasciata a terra in un attimo, senza un lamento. Federica si inginocchia accanto a lei: “Ale ti prego, parlami!”
C’è una luce fioca che attraversa il buio quando Federica apre gli occhi. Lo fa lentamente, le palpebre sono pesanti, lo sforzo le costa molta fatica. Prova a muoversi: prima le dita, la mano, poi una gamba, il piede, ma i muscoli sono rigidi e i polsi le bruciano. La testa sembra trafitta da mille pugnali, il dolore è intenso e martellante. Pian piano riesce a mettersi seduta, si guarda attorno: c’è Alessandra accanto a lei, stesa a terra, forse svenuta. Federica si avvicina strisciando e la scuote: la sua amica si lamenta piano, ancora a occhi chiusi, ma sprofonda di nuovo nell’incoscienza. Prova a capire dove si trova, a ricordare dov’era prima di finire lì per terra, in quel luogo buio e sconosciuto. Le sembra di trovarsi in una stanza, forse un garage, misero e senza finestre, con una piccolissima fenditura in alto, nella parete di fronte a lei: da lì proviene la luce debole che l’ha svegliata. Sono entrambe ancora vestite da jogging, anche se sporche di terra e con qualche sbucciatura nella maglia e nei pantaloni. Ecco, stavano correndo, adesso si ricorda! Poi Alessandra è caduta a terra… e da lì il vuoto. “Dove siamo? Mio Dio, Ale ti prego svegliati, cos’è successo? Dove ci troviamo?” Federica sussurra, prova a scuoterla, ma Alessandra non si muove. Si sfrega i polsi e le caviglie per riattivare la circolazione, poi sente un rumore. Dei passi. Un cigolio, una porta che si apre. Il cuore si ferma, è impietrita dal terrore, ormai è sicura di essere stata rapita. La porta si apre piano, non l’aveva vista prima perché è dipinta di bianco, dello stesso colore del muro. Entra qualcuno. Un’ombra, una persona. Gli occhi le si riempiono di lacrime, non sa cosa fare, cosa aspettarsi, come reagire. Può tentare di scappare? Può colpire il suo rapitore? E con cosa? Non si regge nemmeno in piedi! L’ombra si avvicina lentamente, lei lo guarda in faccia tremante: è un ragazzino! Avrà tredici anni, forse quattordici, lo sguardo vivace, il viso gentile, le sorride: forse la vuole liberare! “Ti prego aiutaci, non so dove siamo, mi sono svegliata qui, stesa a terra” il suo tono è una supplica, lo guarda negli occhi e il ragazzo le si avvicina, lentamente; piega piano la testa, come per osservarla meglio, poi carica e le sferra un calcio nello stomaco. Non dice una parola, il volto imperturbabile. Federica respira a fatica, è piegata in due dal dolore, il viso quasi a contatto con il suolo freddo. Il terrore si è definitivamente impossessato di lei, piange e non riesce a fermarsi, singhiozza convulsamente. Alza lo sguardo e lo vede sopra di lei, con una siringa in mano, pronto a iniettarle qualcosa. Sente una puntura nel collo, un bruciore terribile e la sua voce che gli dice piano, in un orecchio: “Non volevo farti male, ma tu mi fai arrabbiare. Stai zitta e buona, sei mia adesso”. Federica urla: apre la bocca in una smorfia di dolore misto a orrore, ma nessun suono esce dalla sua bocca, e in un attimo perde i sensi. Chiude gli occhi, la sua mente è vuota, nessun pensiero se non la paura di non svegliarsi più: crede di sognare già quando sente una voce flebile che giunge da lontano: “Mattia! Quante volte devo chiamarti? Sei sempre chiuso in quella cantina! Vuoi salire? E’ pronto il pranzo!” “Arrivo, mamma, un attimo, finisco una cosa veloce!”
Sorrido mentre esco dalla cantina, le guardo ancora un attimo, le mie due bamboline, e chiudo la porta. Salgo veloce le scale per non farmi chiamare due volte, mamma si arrabbia se il pranzo si fredda. Però che successo oggi! Non posso che essere compiaciuto, ne ho prese addirittura due! Papà sarà così felice, così fiero di me.
Alessandra si sveglia piano, gli occhi pesanti e un odore terribile di alcool e medicinali nell’aria. La nausea la sorprende e un conato di vomito la scuote all’improvviso. Si pulisce la bocca con la mano, cos’è successo? Le lacrime le scendono dal viso, forse per l’agitazione, forse per il senso di nausea o perché non riesce a capire dove si trova. Alza appena la testa e già questo le costa uno sforzo immane: si concentra, chiama a raccolta le sue poche forze, respira profondamente e si mette seduta. Ha freddo, è in una stanza chiusa, buia. Apre bene gli occhi e vede un tavolo in mezzo alla stanza, nella penombra, con sopra qualcosa. Una persona, forse. Sì, c’è qualcuno lì steso, immobile. La paura le fa chiudere di nuovo gli occhi, non sa se avvicinarsi o meno. Dove si trova, chi è quel corpo? E’ una persona viva? Poi si scuote, guarda meglio e nota i capelli castani, lunghi e lucenti di Federica, che sporgono fuori dal lettino. Si alza in piedi a fatica, appoggiandosi al muro. Le manca il fiato, ma riesce ad avvicinarsi pian piano alla sua amica: “Fede arrivo” dice con un filo di voce. Federica è sopra il tavolo, immobile. E’ truccata, ben pettinata e ben vestita: ha un abito lungo, scollato, color avorio, e il suo colorito è così rosa. “Fede svegliati, ti prego!” Alessandra la scuote, ma l’amica non si sveglia, resta fredda e immobile. Allora avvicina l’orecchio alla sua bocca: non si sente niente, non respira! L’hanno uccisa, è morta! Poi vede qualcosa subito sotto il seno, un segno, forse un taglio. Apre il vestito con le mani ancora tremanti e resta impietrita: la cicatrice è lunghissima, dal seno all’inguine, molto evidente e molto chiara. Quasi come se non ci fosse più sangue nelle sue vene. Cosa le hanno fatto? La prende tra le braccia e la sente così leggera… come una bambola di pezza…
“Ti sei svegliata, Alessandra? Pronta per diventare la mia bambolina bionda?” la guardo con un sorriso dolce, com’è carina! Dietro di me c’è mio padre: in mano ha tutto il necessario per togliere per bene il sangue, aprire lo sterno, sezionare uno a uno e poi togliere gli organi interni. Solo così resterà bella per sempre! Oh, lei sarà un vero capolavoro! Ormai siamo diventati bravi, ci siamo esercitati tanto con gli animali, però papà preferisce le ragazze: queste due sono state una bella sorpresa per lui, è così felice ed eccitato! Peccato, però: avevo iniettato troppo poco anestetico alla mia bionda Alessandra, e questo vuol dire che sentirà male, poverina.
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