Il dolore arriva all’improvviso, lancinante. Per un attimo mi sembra di morire. Sapevo che sarebbe arrivato questo momento, anzi, si può dire che lo aspettavo. Solo che ora non mi sento pronta. Non ancora.
Antonio si accorge che sto male e mi è accanto in un attimo. -Manda via i bambini- sussurro -mandali a Messa con Pierina. Mi sa che è ora.- Pierina è mia suocera, vive con noi. È una brava donna, due volte vedova. Le è rimasto un figlio e Antonio che, a voler esser precisi, non è neanche figlio suo.
Poco dopo Adriano e Rosalia mi vengono a salutare con un bacio prima di uscire, puliti nei loro abiti della domenica e con le scarpe della festa. Mi vengono le lacrime agli occhi, ma non sospettano nulla. Pierina invece ha capito ma non dice niente, mi stringe forte la mano e poi va con loro. Dalla finestra li vedo avviarsi a piedi per la campagna verso il paese.
-Coraggio Sandrina…. Anche Antonio non sa bene cosa dire. Troppi sottointesi, troppo dolore. -Dai sbrigati Tonin, vai via anche tu! Corri a chiamare l’ostetrica!
Finalmente sento la bicicletta partire. Forza Tonin, fai presto. Signore, fa che la signora Giovanna possa venire subito. Oh mamma che male! Nonna, nonnina, nonnetta cara aiutami tu… Respiro profondamente, la testa e i pensieri in un limbo confuso. Nonna ti prego, intercedi da lassù. La contrazione si affievolisce. Il ricordo della mia cara e severa nonna riaffiora. Quanto ha sofferto, povera donna, l’ho capito solo crescendo, quando di soffrire è stato il mio turno.
Di nuovo sento montare la contrazione. Forza Sandra, non pensarci. Pensa a qualcosa di bello, qualcosa di caro. Ecco il volto di Teresa. Teresa cara, che mi facevi quasi da mamma. Il volto di Teresa nella foto della lapide, serena, buona. Teresa guarda giù. Oh, la mamma lo diceva: “Beata Teresa, che è morta prima di tutto questo”. Lo diceva quando ci sono stati i bombardamenti, quando i tedeschi hanno cominciato a mitragliare i nostri partigiani, quando nessuno si è più salvato dalla fame. Teresa guarda giù. Sono stata tanto male quando sei morta. Avessi saputo quanto avrei dovuto soffrire dopo!
La contrazione passa ma Antonio non è ancora tornato. O Signore ti prego, fa che arrivi presto con la signora Giovanna. La signora Giovanna, Dio la benedica, fa la levatrice da tre generazioni. Ha visto nascere tutti, praticamente. Me no, perché sono nata in un altro paese, però ha fatto nascere i miei tre figli. La vita prima di toccare il mondo passa nelle sue mani buone, ormai dure e callose. È stata un punto fermo negli anni di guerra appena passati, l’unica portatrice di notizie di vita. Anche Cesare era stata una buona notizia.
Ecco che torna il dolore. Forte, totale, prende la pancia, i fianchi, le gambe, ammazza il respiro. Un dolore fisico e completo. E mi fa bene. Mi fa bene soffrire fisicamente perché il cuore è già stato spezzato. Mi fa bene per poter pensare a Cesare. Cesare, Cesare, Cesare, il pensiero segue il ritmo del respiro. Il mio piccolo bambino, bello, sveglio, solare. Finita la guerra sembrava che più giù non potessimo andare, avevamo pianto già tutto. Un nuovo bimbo, la repubblica (ne parlavano tutti con entusiasmo)…tutto avrebbe dovuto essere una speranza. Invece è arrivato il morbillo, quando Cesare aveva solo due anni. “Il Signore dà, il Signore toglie”. Respiro. “Il Signore dà, il Signore toglie”. Altro respiro. “Il Signore dà….” sento il campanello della bici, Antonio è tornato. Sì, sento la voce: c’è anche la signora Giovanna. Dio la benedica.
-Sandra, sono qui, stai tranquilla. Poi si rivolge ad Antonio: -Tonio, metti l’acqua a bollire, una bella pignatta. Poi aiutami a portare Sandra in camera. -Come va?- aggiunge poi dolcemente rivolta verso di me -Adesso bene, ma i dolori sono molto forti, e sempre più vicini. Mi aiutano a salire in camera, mentre sono investita da un’altra contrazione. Antonio mi sorregge, E quasi sorrido nel vedere com’è alto rispetto a me, è sempre stato così. Posizionano gli asciugamani, preparano le pezze e la fasce pulite, Antonio porta l’acqua calda così che possa raffreddare. -Andrà tutto bene- si è chinato su di me per posarmi un bacio lieve sulla fronte, prima di uscire, come gli ha chiesto di fare la signora Giovanna. -Tonin ho paura…- sussurro mentre arriva un’altra contrazione. Di nuovo il dolore. Di nuovo la paura. Come quando andava in fabbrica durante la guerra, unica alternativa all’esercito: l’acciaieria per la costruzione di carri armati, sorvegliati dai soldati tedeschi col fucile. Quanti lunghi anni nella paura che non tornasse a casa, con tutti i mitragliamenti e i bombardamenti che ha subito la stazione ferroviaria… Quando il picco passa e riapro gli occhi, Antonio non c’è già più. -Sandra, ci siamo quasi. Non aver paura. Il bambino ha la testa posizionata. Vedrai che andrà tutto bene. La voce della signora Giovanna è sempre stata così rassicurante! Forse perché cosa si ha da perdere in momenti come questi a non crederle? Conviene farlo. Cosa si ha da perdere a non credere in Dio? Conviene farlo: ne abbiamo bisogno. Arriveranno mai anni in cui l’uomo starà così bene da non aver bisogno del Signore? Lo spererei quasi, per i miei figli: spererei davvero che non debbano soffrire più la fame, la guerra, la malattia. Ma so che non succederà mai. -Non ho forze signora Giovanna, non me la sento. -Dai, Sandra, non dire così. Sei sempre stata bravissima. Tra una contrazione e l’altra riposa. Poi, quando arrivano le spinte, grida tranquillamente e assecondale.
Aiuto! Ma come ha fatto mia mamma a partorire sette volte!? E la nostra vicina ne aveva undici, di figli. Qualcuno mi dica come hanno fatto!! Oh mamma, se fossi qui… Grido con tutta la forza che ho in corpo, finché il dolore non passa. Pausa. Respiro. Mia mamma abita ancora al paese dove siamo cresciuti. Sta con i miei fratelli e le loro mogli. Lei è ancora in gamba, mio papà invece è invalido e sta a letto, accudito dalle mie cognate. Anche le mie cognate hanno figli, anche loro ne hanno persi uno ciascuna, ancora piccoli. Perché mia mamma non mi ha spiegato come si fa?! Non ce l’ho con lei perché non mi ha detto cosa avrei dovuto fare con mio marito, quello è una piccolezza in confronto, che si può benissimo imparare da soli. Io avrei voluto che mi insegnasse a sopportare la sofferenza, quella fisica e quella del cuore. Tutti si arrangiano, tutti non ne parlano, tutti ce l’hanno, ma vanno avanti. Io non ho ancora capito come si fa.
Di nuovo l’ondata di dolore, di nuovo grido. E devo spingere, non posso farne a meno. Con una forza che non sapevo (o non ricordavo) di avere, urlando con una voce che chissà da dove mi esce, come se tutte le energie fossero arrivate in quel preciso punto. Sento uscire mio figlio, lo sento sgusciare fuori lasciando dietro di sé la sensazione di vuoto, come di respiro mozzo. E lo sento piangere. Ossignore grazie. Grazie.
Chiudo gli occhi, mi riposo un filo, cosciente dei rumori intorno a me, della signora Giovanna che l’ha preso in mano e sta annodando il cordone… -Sandra, complimenti, sei stata bravissima. E… è una bambina! Ossignore una femmina. Grazie. Grazie.
-Adesso lo sai cosa succede, devi avere pazienza. Inizia la tortura. Espulsione della placenta, schiacciamento della pancia, lavaggi per disinfettare eventuali lacerazioni. Per fortuna la signora Giovanna è proprio brava. Passa poco tempo che ha finito: ha già fasciato la piccola, mi sta aiutando a mettere le bende assorbenti per il sangue che ancora perderò. -Chiamiamo Tonio?- mi chiede poco dopo. -Va bene, lo chiami- le sorrido.
Antonio arriva commosso, impaziente. -Ecco Teresa- gli dico mostrandogli la piccola. Lui non dice niente, si limita a sorridere raggiante. So che anche lui pensa a Cesare, lui che ha sempre avuto il buon senso di andare avanti, di essere allegro con gli altri bimbi, di tenermi il morale alto. “Cesare ci aspetta in cielo”, mi ha sempre detto. E io ci credo? Sì. Certo che ci credo. Cos’ho da perdere? Antonio la solleva delicato, la guarda negli occhi stranamente spalancati. -Sandra, ha gli occhi di due colori diversi! -Ma va Tonin, poi i bambini li cambiano, gli occhi. Resta un attimo perplesso. Poi la culla dolcemente e la porta alla finestra. -Stanno arrivando gli altri.- mi dice.
-Ci vediamo al prossimo Sandra- sta dicendo intanto la signora Giovanna sorridendo. -Oh no!- esalo io esausta. –Non credo proprio! -Dicono tutte così. Vedrai…- mi strizza l’occhio. -Riposa adesso. Mandala a battezzare subito, intanto che non ha ancora fame, così poi quando torna la puoi attaccare al seno. -Signora Giovanna grazie. Dio la benedica. -Se non la finite voi mamme di mandarmi benedizioni, non muoio più!- ride lei facendo per uscire. Poi aggiunge perentoria ad Antonio: - No, non accompagnarmi: state qui un attimo insieme.
Mi sento debole, forse ho un po’ di febbre, le gambe ancora mi tremano, ma sono leggera, sono felice, sono vuota da ogni pensiero negativo. Sento Antonio che mi stringe la mano mentre culla Teresa ed è come quel primo giorno dopo tanti anni, quando l’ho incontrato mentre tornavo a piedi alla filanda, lui sulla bici che pedalava dai campi verso casa. Che gioia quel giorno, forse uno dei più belli della mia vita. Mi ha riconosciuto, è smontato dalla bici e mi ha accompagnato per un bel pezzo di strada. Il giorno dopo ancora e il giorno successivo anche. -I miei fiori?- solo il quarto giorno aveva osato chiedermelo, anche se sapevo che avrebbe voluto farlo subito, ma aveva paura me ne fossi scordata. -Tonin, sono stupendi! Vieni a vederli? E così eravamo tornati insieme alla sua vecchia casa, io in canna alla sua bicicletta, lui che pedalava. Il roseto era cresciuto e prosperava rigoglioso, i tulipani e gli iris sarebbero fioriti di lì a un mese. -Torneremo per portarli alla Madonna- mi aveva promesso. Io l’avevo fatto tutti gli anni, senza la speranza di rivederlo, solo con la preghiera che Maria lo proteggesse. E ora quanta grazia! Quanta felicità sentivo di avere. Mi raccontava tutto, dei suoi nuovi fratellastri, di Pierina, del suo lavoro, di suo papà che era presto mancato, di sua zia che si era sposata. E poi lì al capitello della Vergine del Carmelo ci fidanzammo. -Sandra, ti porterò via presto dalla filanda. Verrai a casa mia. Alla filanda dovevo allevare quantità di bachi da seta, ingrassandoli a forza di foglie di gelso, per poi lessarli una volta che si fossero chiusi nel bozzolo. Ero costretta a lavorare perché sapevamo che la guerra era vicina ed eravamo poveri, ma io detestavo uccidere animali ed Antonio lo sapeva. Ci sposammo per fortuna in fretta, nel ‘39. E per fortuna Antonio poté lasciare i campi per andare a lavorare in fabbrica, dove stavano assumendo moltissimi uomini. Mia sorella Elisa non fu così tempestiva: il suo fidanzato Francesco fu chiamato alle armi e restò via sei anni. Tornò a piedi dalla Germania dov’era prigioniero: era riuscito a scappare, ma dovette continuare a restare nascosto fino alla fine della guerra. Si sono sposati due anni fa. Adesso fa la pettinatrice con mia sorella Maria. Del giorno delle mie nozze con Antonio ricordo mia sorella Teresa… sarebbe morta pochi mesi dopo.
E ora questa bimba porta il suo nome, che era anche il nome della nonna, anche se tutti la chiamavano Tea. Se fosse stato un maschio l’avrei chiamato Cesarino, simile a Cesare ma un po’ diverso. Forse è meglio che sia una femmina.
Sono così stremata che quasi non mi accorgo che i nostri bambini sono tornati, sono entrati in stanza e il papà sta mostrando loro la nuova sorellina. Apro le palpebre, mi sollevo un pochino e li vedo tutti insieme. Che bella famiglia che siamo… mi si apre il cuore. Rosalia ha sette anni, sarà già una bravissima mammina. Adriano ne ha dieci: potrà fare il classico, odioso fratello grande, come i miei hanno fatto con me! Viene in camera anche Pierina, su invito di Antonio, timida, quasi che per troppo rispetto non osi varcare la porta (non credo che mia mamma usi queste accortezze con le sue nuore). Bacia la bambina, bacia me, poi si dà da fare per occuparsi della casa e del pranzo per garantirmi il riposo. E’ davvero una cara donna. Anche lei fa parte della mia stupenda famiglia.
Chiudo gli occhi e mi sento in paradiso. Cesare, prima o poi arriverò davvero in paradiso, e staremo insieme, mio amato bimbo, con il tuo papà e con i tuoi fratelli. Per il momento sto qui, ancora una volta la speranza mi ha fregata ben bene, e sono ritornata ad essere felice.
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